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  • Resoconto teleriunione  20 dicembre 2022

Situazioni senza precedenti

La teleriunione di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo la ripresa dei contagi in Cina.

La linea "zero Covid", ribadita all'ultimo congresso del PCC tenutosi ad ottobre, pare essere stata cancellata a favore di un più o meno esplicito "liberi tutti". Il presidente Xi Jinping, nel suo discorso introduttivo, aveva confermato gli sforzi del partito per la guerra popolare contro la Covid, ma le proteste scoppiate nel giro di poco tempo in tutto il paese, a partire dalla fabbrica della Foxconn a Shenzhen (un polo industriale dove sono concentrati circa 200mila operai) le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, hanno portato ad una retromarcia. Di fronte alla crisi il governo cinese ha infatti deciso di ridurre le restrizioni e i controlli, favorendo però l'impennata dei casi e delle ospedalizzazioni, in particolare a Pechino, metropoli con oltre 20 milioni di abitanti: secondo alcune stime, la metà dei cittadini della capitale risulta positiva al virus. Varie simulazioni dimostrano che la nuova ondata di contagi potrebbe portare nei prossimi mesi a oltre un milione e mezzo di morti ("Our model shows that China's covid death toll could be massive", The Economist, 15.12.22). Il Dipartimento di Stato USA osserva con apprensione la situazione cinese, temendo una possibile catastrofe sanitaria e sociale. "Il numero di vittime del virus è motivo di preoccupazione per il resto del mondo, considerati le dimensioni del Pil della Cina e quelle della sua economia. Avere una situazione di maggiore forza rispetto al Covid non è solo una cosa positiva per la Cina ma anche per il resto del mondo", ha sottolineato Ned Price, portavoce del Dipartimento. La nuova gestione della pandemia colpisce nell'immediato la Cina, ma date le dimensioni del paese, se la situazione dovesse sfuggire di mano, le conseguenze sarebbero senza dubbio globali: il pianeta è piccolo, come diceva la nostra corrente. Dietro l'allentamento così repentino delle misure antivirus in Cina, c'è la paura di rivolte ma anche l'insostenibilità a livello economico dei continui lockdown; si sarebbero dunque messi in conto un paio di milioni di morti per salvare l'economia. D'altronde, il Capitale fa ballare tutti alla sua musica, compresa la Cina cosiddetta comunista.

In Inghilterra, una massiccia ondata di scioperi rischia di mettere in ginocchio l'intero paese. Anche questa situazione è uno dei tanti sintomi di un capitalismo incapace di progettare la vita sociale. Non a caso, la mobilitazione senza precedenti è scoppiata in seno ad una situazione politica che negli ultimi anni non ha fatto che ingarbugliarsi, almeno a partire dalla Brexit.

Ma non si tratta solo dell'Inghilterra, le situazioni senza precedenti sono ormai all'ordine del giorno. L'anno scorso negli USA è esploso il fenomeno delle grandi dimissioni: centinaia di migliaia di persone, anche a causa della pandemia, si sono licenziate. E anche l'assalto a Capitol Hill, a pensarci bene, rientra nella categoria. Lucio Caracciolo, nell'editoriale dell'ultimo numero di Limes ("Lezione di Yoda"), si chiede se sia il caso di inserire anche l'America all'interno di Caoslandia, quella fascia di mondo alle prese con rivolte, guerra civile e caos sociale. Con la differenza che gli USA non sono l'Ucraina e neppure la Somalia. Cosa succederebbe, infatti, se il gendarme mondiale sprofondasse nel caos? Caracciolo sostiene che l'enorme potenza militare che ha portato all'americanizzazione del pianeta sta venendo meno perché l'America ha gravi problemi in casa propria, e il resto del mondo inizia ad accorgersene. Questa perdita di energia si traduce anche in una crisi di tipo ideologico; nell'invasione dell'Ucraina da parte dei Russi probabilmente ha contato anche questo aspetto, e cioè il sentore che gli USA non hanno più la forza di un tempo. Sarà interessante vedere come si comporterà in futuro l'esercito americano (o parti di esso), rispetto ad un'eventuale elezione di un presidente non gradito o ritenuto pericoloso:

"Il punto di flesso da cui potrebbe derivare la fine dell'ordine costituzionale sarebbe il tradimento delle Forze armate. Di gran lunga la più rispettata delle istituzioni. Se reparti militari contestassero l'insediamento del presidente eletto perché supposto fraudolento, scatterebbe crisi di regime. La rivoluzione colorata, tattica americana, si ritorcerebbe contro i suoi inventori. Ipotesi per niente peregrina." ("Lezione di Yoda")

Gli apparati di intelligence militare americani svolgono appositi wargame, e formulano ipotesi su cosa potrebbe accadere in caso di un colpo di stato. Lo fanno per sventarlo, almeno così dicono, ma le stesse forze atte alla conservazione dello status quo in una situazione di caos montante potrebbe ordire congiure... per cercare di ristabilire l'ordine.

Recentemente Donald Trump è stato deferito per almeno quattro reati: aver assistito o aiutato un'insurrezione, aver ostruito il Congresso nella certificazione della vittoria dell'attuale presidente Joe Biden, aver cospirato per rendere false dichiarazioni (al governo federale) e per frodare gli Stati Uniti. Si tratta di accuse che non hanno precedenti nella storia del paese. Quanto sta succedendo Oltreoceano non ci stupisce: avendo una visione catastrofista e non gradualista della rivoluzione, sappiamo che vi sono lunghi periodi di accumulo di contraddizioni che infine sfociano in singolarità, le quali sconvolgono i vecchi equilibri; si verifica un susseguirsi di piccole catastrofi che ne anticipano di più grandi (Schema di rovesciamento della prassi della Sinistra). La rivoluzione non è un avvenimento che può essere ridotto ad un particolare giorno o ad una particolare settimana; è un processo storico, consistente nella demolizione di una vecchia forma sociale per far spazio ad una società a più alto rendimento energetico.

L'aumento degli acquisti di armi dall'inizio della pandemia da parte dei cittadini americani di qualsiasi credo e tendenza politica è un altro segnale di crisi interna. Famiglie tradizionali mostrano con orgoglio il loro piccolo arsenale fatto di decine di armi da fuoco (vedi reportage fotografico "The Ameriguns" di Gabriele Galimberti). Si stima che 330 milioni di americani possiedano 400 milioni circa di armi.

In quanto esperto di geopolitica Lucio Caracciolo è al di fuori del chiacchiericcio parlamentare, è un professionista che analizza con lucidità lo stato delle cose, senza troppi giri di parole. Nota, ad esempio, come il presidente degli Stati Uniti, rappresentante dell'esecutivo, non perda tempo ad elaborare o interpretare la politica del paese: il potere che deve rappresentare lo porta ad applicare i risultati raggiunti dalla storia. Un tale tipo di presidente è perfetto per consentire la sussunzione reale dello Stato al Capitale. Il popolo che si appella alla libertà, ai diritti, ecc., viene governato da un presidente che distilla al pubblico le informazioni che gli vengono date dalle varie lobbies e dai potenti apparati statali. Qualsiasi uomo che oggi viene messo alla guida degli Stati Uniti non rappresenta più la potenza mondiale di un tempo e deve confrontarsi con la debolezza degli alleati, in primis quelli europei, e con nuove pericolose sfide come quelle rappresentate dall'offensiva Russa in Ucraina, dalla questione Taiwan, e dal "fronte interno".

Lo storia degli USA ha visto la formazione di 50 stati raggruppati sotto il segno della confederazione, 50 stati membri che hanno contenziosi piuttosto forti tra loro e con lo stato centrale. Qualcuno dice che è sempre stato così, che la tensione tra individuo e Stato fa parte della storia d'America e che le crisi americane sono cicliche ("Usciremo più forti dalla tempesta", George Friedman); ma Washington non è mai stato così lontano dai singoli stati e dai suoi cittadini. Molti americani percepiscono lo stato centrale come un oppressore, crescono con ciò le spinte secessioniste e le divisioni politiche, culturali, geografiche ("Fiamme sulla collina: l'America in crisi assedia sé stessa", Federico Petroni). La perdita di controllo del sistema è dunque cominciata da un pezzo, e anche una rivista borghese come Limes lo registra: "Fiorisce una letteratura da ultimo giorno che ricama ossessiva sulla guerra civile all'orizzonte, se non già in corso. L'America dubita di essere ancora America." ("Lezione di Yoda")

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    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 18 compagni, è iniziata con il commento di alcune note di un compagno sul libro di Nouriel Roubini La grande catastrofe: dieci minacce per il nostro futuro e le strategie per sopravvivere.

    Il libro è forse il primo in cui nella parte conclusiva non si fa cenno a miracoli per salvare la società capitalistica da sé stessa. Già questo è un tratto interessante. Infatti, l'autore propone solo due scenari a cui deterministicamente faremo fronte: uno "distopico" e uno "utopico". Ancora una volta l'economia politica si dimostra incapace, attraverso i suoi modelli e strumenti interpretativi, di compiere un salto, a noi già noto, "dall'utopia alla scienza". Se non si riconosce il comunismo come " movimento reale che abolisce lo stato di cose presente", non si possono che raffigurare distopie e utopie rinascimentali (altro spartiacque storico). I due termini sono raffrontati senza far riferimento a un qualsiasi parametro di specie: Utopia rispetto a cosa? Distopia dovuta a? Roubini ci spiega solo che siamo in una tempesta "perfetta", perché le megaminacce ormai incombenti sono date come "strutturali"; diremo noi, connaturate all'attuale modo di produzione. Sono strutturali ma non si dà una spiegazione di questo aggettivo. Si dice, correttamente, che la complessità delle megaminacce sta nella loro sincronia e nell'interagire tra loro, difficilmente prevedibile e computabile. L'ideologia dominante comincia a proporre la sua visione cieca: è molto più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo.

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  • La grande catastrofe

    La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata commentando lo stato del sistema bancario alla luce del crollo dei mercati seguito al fallimento della Silicon Valley Bank (SVB), un istituto californiano fondato a Santa Clara nel 1983 e divenuto rapidamente la banca di fiducia di aziende tecnologiche e startup.

    SVB, la sedicesima banca degli Stati Uniti, non sapendo che farsene della liquidità raccolta negli ultimi anni, ha investito principalmente in titoli di Stato americani, arrivando a fine 2022 a detenere quasi 100 miliardi di bond governativi. Con il rialzo dei tassi d'interesse, le startup che prima riuscivano ad ottenere denaro pressoché gratuito dai fondi, sono andate in affanno e hanno dovuto prelevare dai depositi della banca californiana una grande quantità di denaro. Per far fronte ai prelievi, SVB ha dovuto vendere ad un prezzo inferiore i titoli accumulati, perdendo circa due miliardi di dollari, e facendo scattare prima la corsa agli sportelli e poi l'intervento di FED e governo. Biden si è affrettato a dichiarare al mondo che il "sistema bancario è solido. Nessuna perdita sarà a carico dei contribuenti."

    Assicurazioni sulla solidità del castello di carta della finanza sono state elargite anche quando è scoppiata la crisi dei mutui subprime nel 2008, eppure da allora il mondo non si è più ripreso. Nell'articolo "Non è una crisi congiunturale", pubblicato quell'anno (rivista n. 23), scrivevamo che ogni proiezione prevedeva il ripresentarsi di una crisi catastrofica entro un paio di decenni. Se aggiungiamo gli eventi che si sono verificati in seguito, come la Primavera araba, la crisi degli Stati, la pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina, ne deduciamo che il sistema si sta sgretolando.

  • Cicli che si chiudono

    Alla teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 20 compagni, abbiamo parlato di robot e automazione partendo da un articolo dell'Economist intitolato "Don't fear an AI-induced jobs apocalypse just yet".

    Lo scorso primo marzo, all'Investor Day 2023 di Tesla, Elon Musk ha presentato Optimus, un robot umanoide da utilizzare a casa e in fabbrica del costo previsto di 20.000 dollari. Durante il meeting è stato proiettato il video di un automa intento a costruirne un altro simile: a breve, ha dichiarato l'imprenditore sudafricano, il rapporto 1:1 tra robot e umani potrebbe essere superato.

    Se effettivamente si arrivasse a produrre un esercito di otto miliardi di robot, i problemi derivanti da tassi di disoccupazione elevatissimi non potrebbero essere tollerati dall'attuale modo di produzione, basato sul sistema del lavoro salariato. Osserva infatti Musk: "Non è nemmeno chiaro cosa sia un'economia a quel punto".

    Già oggi vi sono produzioni altamente automatizzate: lo scorso dicembre ABB, multinazionale elettrotecnica svizzero-svedese, ha aperto una mega-fabbrica di 67.000 metri quadrati a Shanghai, dove i robot producono altri robot. Ocado, il più grande rivenditore di generi alimentari online al mondo, si affida agli automi per consegnare cibo fresco a migliaia di persone nel Regno Unito; i suoi magazzini sono progettati come organismi viventi, dotati di un sistema nervoso centrale (software), un sistema cardiovascolare (nastri trasportatori) e di globuli rossi (casse). Il confine tra il mondo del nato e quello del prodotto è sempre più incerto.

Rivista n°52, dicembre 2022

copertina n°52

Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

Articoli: La malattia non esiste, parte prima - Un sistema che ingegnerizza sé stesso? - La riduzione dell'orario di lavoro non è più un tabù

Rassegna: L'ennesima conferenza sul clima - Polarizzazione crescente - Pericolose tempeste"

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Doppia direzione: Più "avanzato" Lenin o Bogdanov? - Cooperazione e sostegno

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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