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  • Resoconto teleriunione  11 gennaio 2022

Kazakistan è il (cuore del) mondo

La teleconferenza di martedì sera, connessi 19 compagni, è iniziata commentando quanto è accaduto recentemente in Kazakistan, ultimo episodio in ordine cronologico del processo che abbiamo definito "Marasma generale e guerra" (rivista n. 29):

"Quella che stiamo analizzando è un'onda sismica la cui energia sotterranea è la stessa per tutti i differenti fenomeni di superficie, dove qua crolla un muro, là si apre una voragine e altrove cade una frana."

Il Kazakistan ha fatto parte dell'Unione Sovietica fino alla sua disgregazione. Ha una superficie di circa 2,7 milioni di kmq (nove volte l'Italia) e 18 milioni di abitanti; nel suo sottosuolo giaceva il 60% delle risorse minerarie dell'ex blocco sovietico, mentre il suo territorio ne rappresentava il 20% delle terre coltivabili. Attualmente è uno dei maggiori fornitori di frumento e altri generi alimentari per tutta l'area russa. E' il primo produttore al mondo di uranio, ha ampie riserve di petrolio, ed è tra le poche nazioni a disporre di "terre rare", fondamentali nelle produzioni di tecnologia digitale, dalle rinnovabili all'auto elettrica. Dopo la caduta dell'Urss, in tutta la fascia centroasiatica si sono stabilite delle oligarchie, in Kazakistan ben rappresentate dall'ex presidente Nursultan Nazarbaev. Nel paese la ricchezza è concentrata nelle mani di élite ristrettissime, mentre la popolazione versa in condizioni sempre più precarie. Stando ai dati relativi all'anno scorso diffusi dal World Inequality Database, il 10% più ricco della nazione detiene circa il 60% della ricchezza totale, mentre più del 4% degli abitanti vive al di sotto della soglia di povertà.

In questi ultimi anni il proletariato kazako ha dato del filo da torcere alla borghesia locale. A partire dal 2004 si sono formati sindacati indipendenti e sono iniziate lotte estremamente dure per ottenere migliori condizioni di vita. I giornalisti che si sono presi la briga di studiare la storia recente del Kazakistan fanno partire l'ondata di scioperi almeno dal dicembre del 2011, quando il massacro nella città petrolifera di Zhanaozen ha posto fine al più grande sciopero operaio nel paese dalla caduta dell'Urss. In seguito a questa strage di stato ci sono state molte mobilitazioni operaie, soprattutto nei settori petrolifero, estrattivo e metalmeccanico. Nella prima metà del 2021 una potente serie di scioperi ha colpito il paese, soprattutto presso gli impianti petroliferi, dove i lavoratori hanno ottenuto il raddoppio dei salari. La goccia che ha fatto traboccare il vaso nei primi giorni del 2022 è stato l'aumento dei costi del trasporto che, come in Francia e in Cile (aumento della benzina e dei biglietti della metro), hanno portato ad una situazione di scontro sociale. Iniziata come una protesta contro il caro-vita, nel giro di poche ore la rivolta kazaka si è trasformata in una semi-insurrezione con attacchi a banche, uffici governativi, caserme, sparatorie in strada e città conquistate dai manifestanti. Si è anche verificato uno scontro all'interno della classe dominante: il presidente Qasym-Jomart Tokayev ha attaccato il suo predecessore Nazarbayev, accusandolo di aver favorito la creazione di "una classe di persone ricche anche per gli standard internazionali" (Ansa.it). Inoltre, l'ex capo dei servizi di sicurezza Karim Masimov è stato arrestato per alto tradimento. Terremoti sociali di queste dimensioni hanno ripercussioni anche sulla sovrastruttura politica borghese, e gli alti papaveri si affrettano a scaricare le responsabilità l'uno sull'altro.

Il governo kazako è stato costretto a rivolgersi all'alleanza dei paesi ex sovietici, l'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva capitanata dalla Russia, per chiedere l'invio di militari e riprendere il controllo di una situazione ormai sfuggita di mano. Dalla classe dominante locale a quella russa fino a quella cinese e alle occidentali, a tutte conviene che le manifestazioni finiscano e il paese si stabilizzi. Le potenze capitalistiche si uniscono sempre quando il proletariato prende in mano le armi, come insegna l'esperienza della Comune di Parigi.

È ovvio che durante la rivolta kazaka siano stati operativi anche servizi segreti di altri paesi, sarebbe strano il contrario, ma è sbagliato sostenere che il tutto sia stato orchestrato dall'estero e che si tratti di una "rivoluzione colorata", come qualche "marxista" si è spinto a dire.

All'origine delle proteste del 2022 vi è il rincaro da 60 a 120 tenge, cioè da 0,12 e 0,24 centesimi di euro, del Gpl, combustibile largamente usato dalla popolazione. L'aumento è dovuto alla fine dei sussidi pubblici sui carburanti stabilito dal governo due anni fa. Il 2 gennaio i lavoratori di Zhanaozen sono stati i primi a sollevarsi, e rapidamente la protesta ha coinvolto i maggiori centri: Aktobe, la capitale Nur Sultan, fino alla metropoli più popolosa, Almaty (2 milioni di abitanti). Internet e le chat sono state bloccate, e la repressione statale non si è fatta attendere, causando decine di morti, centinaia di feriti e migliaia di arresti, fino all'intervento dell'esercito russo (2.000 soldati del Cremlino).

Possiamo quindi affermare che lo scontro di questi giorni in Kazakistan ha motivazioni di classe, anche se si assommano problemi dovuti ad interessi imperialistici, situazioni locali particolari, ecc. La rivolta, in assenza di organizzazioni politiche classiste, si tradurrà in un'enorme repressione. Marx afferma che ogni paese sperimenta per gli altri nuovi livelli di scontro e di organizzazione: almeno dal 2005, con le rivolte della banlieue francesi, abbiamo assistito ad una escalation sociale. Ad Hong Kong i manifestanti hanno occupato e vandalizzato il Parlamento, negli Usa hanno preso d'assalto la sede del governo a Washington, ed in diversi paesi sudamericani hanno dato alle fiamme palazzi governativi. In Iran (2019-2020) e adesso in Kazakistan, oltre all'incendio degli uffici statali, ci sono stati scontri a fuoco e assalti a caserme, stazioni di polizia e banche.

Il Kazakistan è anche il secondo paese al mondo per l'estrazione di bitcoin, responsabile del 18% di tutti i calcoli della sua fitta rete. L'assenza di regolamentazioni stringenti e il basso costo dell'energia hanno spinto un grande numero di aziende attive nel settore (nel 2021 pare siano state 88mila) a migrare nel paese, contribuendo all'ulteriore innalzamento dei prezzi del carburante, prima calmierati. E' utile ricordare che l'energia consumata annualmente in tutto il mondo per la generazione di nuovi bitcoin è equivalente a quella utilizzata nello stesso periodo da un medio paese come la Polonia, l'Argentina o l'Egitto. Il cryptomining richiede una straordinaria potenza di calcolo e quindi uno sciupio di energia immane. E così il Kazakistan, ricco di fonti energetiche, ha sperimentato periodici blackout nei villaggi.

Nell'articolo "Dimenticare Babilonia" (rivista n .43) abbiamo analizzato la genesi, lo sviluppo e la dissoluzione della forma denaro nel corso del divenire umano. La contabilità nasce registrando il movimento dei prodotti, è una scrittura che rende conto della transazioni avvenute. I bitcoin mostrano come il denaro-moneta si stia smaterializzando e de-territorializzando. Cos'è una moneta che si basa su un registro virtuale che non è garantito da nessuno se non da sé stesso?

"Per cinquemila anni vige una forma contabile che è denaro-moneta smaterializzato e ora, giunti all'estremo del ponte, la spalletta oltre la quale è la sponda del comunismo sviluppato, stiamo per ritornare al pallottoliere protostorico che precede non solo il concetto di valore ma anche il primitivo equivalente generale; stiamo per ritornare alla cretula che registra mirabilmente tutto ciò che c'è da registrare in una società non intossicata dal valore. Una cretula elettronica, programmabile con i dati che la nuova società riterrà utile immettere."

La teleconferenza si è conclusa ricordando che il Kazakistan è il paese più grande dell'ex Urss ed è situato al centro dell'Eurasia, in un'area geostorica cruciale, nell'Heartland descritto dal geografo inglese Halford Mackinder: "Chi controlla l'Est Europa comanda l'Heartland: chi controlla l'Heartland comanda l'Isola-Mondo: chi controlla l'Isola-Mondo comanda il mondo."

Nello scacchiere mondiale ci sono paesi più potenti, che hanno il compito di coalizzare quelli più piccoli. Per l'imperialismo d'oggi il controllo delle aree strategiche funziona meglio utilizzando gli abitanti stessi (proxy war) piuttosto che inviando soldati propri, così come aveva fatto l'Impero britannico in Afghanistan tra il 1839 ed il 1842, subendo una pesante sconfitta. Secondo la rivista Limes (numero 11/21, "CCCP, un passato che non passa"), la Russia non riesce a mettere in piedi una vera proiezione di potenza nell'area che va dalla Turchia allo Xinjiang, una zona calda dove è in corso da tempo un braccio di ferro tra Cina e Usa. Probabilmente proprio per questo gli americani hanno lasciato l'Afghanistan in mano ai talebani, sperando di mettere i bastoni tra le ruote all'avversario, alle prese con la realizzazione del grande e complesso piano infrastrutturale chiamato la Nuova Via della Seta.

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    Il libro è forse il primo in cui nella parte conclusiva non si fa cenno a miracoli per salvare la società capitalistica da sé stessa. Già questo è un tratto interessante. Infatti, l'autore propone solo due scenari a cui deterministicamente faremo fronte: uno "distopico" e uno "utopico". Ancora una volta l'economia politica si dimostra incapace, attraverso i suoi modelli e strumenti interpretativi, di compiere un salto, a noi già noto, "dall'utopia alla scienza". Se non si riconosce il comunismo come " movimento reale che abolisce lo stato di cose presente", non si possono che raffigurare distopie e utopie rinascimentali (altro spartiacque storico). I due termini sono raffrontati senza far riferimento a un qualsiasi parametro di specie: Utopia rispetto a cosa? Distopia dovuta a? Roubini ci spiega solo che siamo in una tempesta "perfetta", perché le megaminacce ormai incombenti sono date come "strutturali"; diremo noi, connaturate all'attuale modo di produzione. Sono strutturali ma non si dà una spiegazione di questo aggettivo. Si dice, correttamente, che la complessità delle megaminacce sta nella loro sincronia e nell'interagire tra loro, difficilmente prevedibile e computabile. L'ideologia dominante comincia a proporre la sua visione cieca: è molto più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo.

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Rivista n°52, dicembre 2022

copertina n°52

Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

Articoli: La malattia non esiste, parte prima - Un sistema che ingegnerizza sé stesso? - La riduzione dell'orario di lavoro non è più un tabù

Rassegna: L'ennesima conferenza sul clima - Polarizzazione crescente - Pericolose tempeste"

Recensione: Gaia, le macchine autoreplicanti e l'intelligenza collettiva

Doppia direzione: Più "avanzato" Lenin o Bogdanov? - Cooperazione e sostegno

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Newsletter 245, 19 gennaio 2022

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