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  • Resoconto teleriunione  18 gennaio 2022

Autonomizzazione del valore rispetto al tempo di lavoro

Nella teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 20 compagni, abbiamo parlato di Decentralized Finance (DeFi), ovvero di finanza decentralizzata. Avevamo sfiorato l'argomento durante la scorsa teleriunione parlando dei fatti occorsi in Kazakistan, paese dove hanno stabilito la propria sede numerosissime aziende attive nel settore del Bitcoin e più in generale delle criptovalute.

Elenchiamo per punti che cos'è la finanza decentralizzata e quali sono le sue implicazioni: 1) la DeFi è esplosa nel 2020 e la sua crescita sembra inarrestabile; 2) secondo la rivista The Economist il valore degli asset immagazzinati in questo nascente sistema finanziario è passato da meno di 1 miliardo di dollari all'inizio del 2020 a oltre 200 miliardi di dollari oggi; 3) i maggiori istituti bancari e governativi cominciano a preoccuparsi e stanno studiando con attenzione il fenomeno; 4) se la DeFi fosse una banca d'affari sarebbe tra le 50 più importanti al mondo.

Sembra che quanto iniziato nel 2009 con l'invenzione del Bitcoin, e della tecnologia che ne sta alla base e cioè la blockchain, trovi adesso un nuovo livello di sviluppo. Questa moneta virtuale funziona grazie ad un registro pubblico sostenuto da una rete peer-to-peer (P2P), quindi decentralizzata, che garantisce la validità delle transazioni eliminando la necessità di un attore terzo, un intermediario che si faccia garante dello scambio. Con l'avvento della finanza decentralizzata, ora diventa possibile accedere a tutta una serie di servizi (mutui, prestiti, ecc.) del mondo finanziario alla stessa maniera e cioè senza passare per banche o istituti di credito, abbattendo i costi delle operazioni. La tecnologia blockchain ha aperto l'era della disintermediazione, prima con la nascita di nuove monete e ora nell'offerta di prodotti finanziari tramite gli smart contract. Sul tema abbiamo svolto una relazione durante il 61° incontro redazionale (marzo 2016), di cui si trova traccia nel sito QuinternaLab.

Il mondo delle criptovalute non è fatto solo dal Bitcoin, ma è molto più vasto e conta centinaia di monete virtuali, tra le quali esiste una sorta di competizione che nel tempo ha portato all'ideazione di sistemi che svolgono lo stesso lavoro di base, ma molto più rapidamente ed economicamente. Tra queste c'è Solana, una piattaforma di calcolo decentralizzata basata su tecnologie sempre più veloci e snelle, che nell'ultimo anno ha visto schizzare in alto le proprie quotazioni. Se Bitcoin è cresciuto del 62%, Ethereum del 250%, Solana nel 2021 è cresciuta di quasi il 13000%. Sono nate anche delle applicazioni, come 1INCH, che scansionano gli scambi sulle varie blockchain per trovare i migliori prezzi di esecuzione per le transazioni crittografate.

Ci siamo quindi domandati quale impatto possa avere lo sviluppo di questo sistema finanziario disintermediato sull'attuale mondo economico: ci sarà lo scoppio di una bolla finanziaria? Possono davvero le criptovalute sconvolgere il panorama della circolazione del capitale compromettendo il potere dei tradizionali istituti bancari?

Per rispondere a questa domanda partiamo da lontano, da quando compare sulla scena il primo programma per la condivisione di file musicali (Napster). Era il 1999 e nasceva il P2P, un sistema tra pari capace di formare una rete decentralizzata in cui tutti possono comunicare senza la mediazione di un server. Nel 2020 lo stesso sistema comincia ad imporsi nel settore della finanza, quale fondamento per strutture in grado di offrire servizi che fino ad allora sono state appannaggio esclusivo di istituti specifici regolati dallo Stato. Esiste un dato significativo che va considerato: nei sistemi P2P è normale lo scambio senza corrispettivo di valore.

Le criptomonete sono sempre delle monete, ma di un tipo non garantito da una banca o da un'autorità centrale bensì dal sistema stesso su cui si fondano. Allo stesso tempo le criptovalute rientrano in quel grande processo che abbiamo definito l'autonomizzarsi del Capitale, in questo caso specifico della moneta rispetto al valore. Abbiamo affrontato il tema nell'articolo "Dimenticare Babilonia": "se la moneta è un riflesso del valore, allora, nel profondo del modo di produzione capitalistico, dev'esserci autonomizzazione del valore rispetto al tempo di lavoro. Il capitalismo sta minando la sua ragion d'essere, il tempo di lavoro medio socialmente necessario a produrre le merci è troppo basso. La produttività è troppo alta."

Abbiamo già assistito a importanti processi di autonomizzazione del valore, come nell'agosto del 1971, quando il Presidente americano Nixon decise di sganciare il dollaro dall'oro segnando la fine del sistema monetario di Bretton Woods. Una ventina di anni prima, negli anni '50, Il programma comunista, organo del PCInt., aveva affermato che intorno al 1975 il sistema capitalistico sarebbe saltato (Il corso del capitalismo mondiale); la deflagrazione tanto attesa non ci fu ma, a ben vedere, l'inconvertibilità del dollaro in oro provocò una modifica profonda della distribuzione internazionale del plusvalore: il mondo monetario si divise e diventò un'altra cosa rispetto a quello che era prima.

Ritornando all'articolo "Dimenticare Babilonia", esso deve il suo titolo al fatto che questa città della Mesopotamia antica è il luogo dove è stata inventata la contabilità. Per migliaia di anni le merci hanno viaggiato nel mondo senza che ci fosse il denaro (dato che mancava il legame con il tempo di lavoro sociale medio), il conteggio veniva fatto sull'argilla, mentre le compensazioni venivano svolte durante il viaggio dei mercanti.

"Da quanto detto fin qui, si può stabilire che la visione complessiva del 'ponte storico': comunismo originario → comunismo sviluppato, ci porta da una indeterminazione di valore primitiva a una indeterminazione di valore sviluppata, attraverso molteplici forme di determinazione di valore intermedie. A questo punto non dovrebbe essere difficile individuare i processi di dissoluzione che necessariamente ne conseguono."

Per Marx il denaro, in quanto misura di valore, è la forma fenomenica necessaria della immanente misura di valore delle merci, del tempo di lavoro. La moneta è la stessa cosa ma è firmata da qualcuno che la garantisce. Con il Bitcoin abbiamo una moneta che non è più propriamente denaro, ma un segno di valore che si garantisce da sé, in grado di causare crisi energetiche in paesi in cui si pratica il cryptomining. Il misterioso Satoshi Nakamoto, che nel 2009 ha reinventato la scrittura contabile, ha dato il via ad una vera e propria rivoluzione. I 2,2 milioni di miliardi di dollari che circolano nel mondo della finanza in cerca di valorizzazione hanno la possibilità materiale di convertirsi in bitcoin e in altre cryptocurrency senza che nell'immediato il capitalismo ne soffra, perché se viene emessa moneta che qualcuno compra, e se essa viene accettata dal mercato, allora non può far altro che assorbire valore. Lo stesso discorso vale per la DeFi, la quale potenzialmente potrebbe sostituirsi alle vecchie istituzioni finanziarie. E' notizia di questi giorni che il gigante della grande distribuzione Walmart sta preparando il lancio di una propria criptovaluta; già l'anno scorso aveva lanciato un progetto pilota in 200 negozi, dove i clienti potevano acquistare bitcoin presso i distributori della società Coinstar, macchine utilizzate per cambiare monete in banconote o in buoni regalo.

Abbiamo concluso la teleconferenza commentando il rapporto presentato della Task Force del ministero del Lavoro sulla crescita dell'economia dei contrattini, secondo il quale il 12% dei lavoratori italiani versa in condizioni di povertà, mentre un quarto degli occupati percepisce un salario basso (sotto i 12mila euro all'anno).

Questa situazione determinerà la nascita di strutture di lotta diverse rispetto al passato, movimenti auto-organizzati di senza-riserve che sapranno fare un uso intelligente della Rete. Già oggi esistono realtà come la pagina AntiWork sul social network Reddit che difficilmente si potevano immaginare qualche anno fa. Ci sono poi ondate di sciopero (vedi quella dell'autunno scorso negli Usa) che non si vedevano dal 1968. Di fronte a tutto ciò, lo Stato è preso alla sprovvista e l'unica cosa che può fare è cercare di mantenere i suoi schiavi perché non sa come occuparli. Un numero percentualmente esiguo di lavoratori produttivi, sfruttato al massimo, mantiene il resto della società. Un non-senso storico.

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Rivista n°52, dicembre 2022

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Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

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