Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  3 maggio 2022

Guerra di sistemi

Abbiamo iniziato la teleriunione di martedì 3 maggio, a cui hanno partecipato 25 compagni, parlando del Primo Maggio a Torino, giornata che quest'anno si è inserita in un contesto di guerra e di corsa agli armamenti.

Nel capoluogo piemontese la manifestazione ufficiale organizzata dai sindacati ha percorso il tragitto classico, da piazza Vittorio Veneto a piazza San Carlo passando per via Roma. Un ingente schieramento di polizia si è occupato di tenere separato lo spezzone dei confederali da quello degli antagonisti, caricando quest'ultimo a più riprese lungo il percorso. Questi fatti non sono eccezionali, si ripetono quasi ogni anno. Eravamo presenti in piazza e abbiamo distribuito il volantino "La Quarta Guerra Mondiale", riscontrando un certo interesse da parte di chi lo riceveva. Quando la testa del corteo stava giungendo in Piazza San Carlo, alcuni rider hanno cercato di inserirsi entrando da una traversa di via Roma, ma sono stati prontamente bloccati dalle forze dell'ordine e dal servizio d'ordine della CGIL.

La tensione sociale aumenta e, di anno in anno, in occasione del 1° maggio cresce anche il numero di agenti in divisa e in borghese. Tuttavia, finché si accettano le regole del gioco il copione si ripete: i sindacati e le istituzioni arrivano in piazza, iniziano il loro comizio, partono le cariche in coda al corteo contro lo "spezzone sociale", i fotografi scattano tante foto, le istituzioni lasciano libera la piazza, gli antagonisti rivendicano la presa del palco. Quello del Primo Maggio a Torino è un wargame giocato unicamente dalla questura, che ha il controllo della situazione sia in termini di forze che in termini di prevenzione. Mettere in discussione le regole del gioco significa, ad esempio, rifiutare il concetto stesso di manifestazione che inizia al mattino e finisce al pomeriggio, come ha insegnato Occupy Wall Street che pensò bene di piantare le tende a Zuccotti Park e occupare a tempo indeterminato la piazza (dando vita ad un movimento globale). Per (ri)fare ciò è necessario un cambio di paradigma, l'abbandono di vecchie visioni politiche.

Il lavoro, così come la società stessa, sta cambiando velocemente. Se ne accorge anche l'Huffington Post (vedi l'articolo di Riccardo Maggiolo intitolato "Il lavoro si è rotto. L'unico modo per salvarlo? Separarlo dal reddito"), anch'esso costretto a capitolare ideologicamente di fronte al marxismo:

"Forse dovremmo realizzare che il capitalismo oggi è come una vecchia auto: ha fatto tanta strada, portato anche grandi risultati, ma oramai funziona a malapena e consuma uno sproposito". E' vero: il capitalismo è un mostro energivoro, un modo di produzione ultra-dissipativo ("Capitale e teoria dello sciupio"), e ciò che serve non è una sua riforma ma la sua eliminazione. Detto questo, anche rimanendo all'interno delle categorie del valore, capitalisti e governanti avrebbero gli strumenti per razionalizzare un minimo il sistema e ritardare così il suo crollo:

"Oggi lo stato italiano spende circa 700 miliardi di euro l'anno, di cui circa 650 in welfare. Di questi ultimi, più della metà sono impiegati nella previdenza (pensioni) e un quinto in politiche sociali (sostegni al reddito) per un totale di circa 435 miliardi. Inoltre, lo Stato spende quasi 140 miliardi l'anno di investimenti, di cui circa 50 tra contributi e trasferimenti vanno direttamente alle imprese. In Italia ci sono circa 25,7 milioni di famiglie, di cui un terzo costitute da un solo componente, e una media di 2,3 persone per famiglia. Quanto costerebbe dare loro una media di 1.500 euro a testa al mese? 462,6 miliardi l'anno."

Insomma, dati alla mano, erogando un reddito di base universale invece che disperdere i fondi in mille rivoli lo stato italiano risparmierebbe. Al contrario, preferisce alimentare il business della disoccupazione, fatto di corsi di formazione, lavori fasulli, attività improduttive che servono solo a trasferire denaro agli "amici degli amici". In un'intervista il generale Fabio Mini, non certo un rivoluzionario, osserva che ormai "il lavoro è uno strumento per tenere impegnate le masse e i sindacati sono soltanto associazioni di categoria che devono sostenere le imprese, non i lavoratori."

I sindacati sono diventati strutture burocratiche che svolgono attraverso Caf ed enti bilaterali l'assistenza e la consulenza fiscale, catastale e tributaria, una funzione sussidiaria a quella dello Stato. Persa ogni funzione che riguardi il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, ai sindacati resta solo il compito di inquadramento e controllo degli stessi. Pensiamo al reddito di cittadinanza: la misura non è stata raggiunta dopo manifestazioni e lotte indette dalle organizzazioni sindacali, bensì è stata attuata dal governo 5 Stelle-Lega.

Di reddito di base incondizionato si parla in tutto il mondo (Basic Income Earth Network) e da tempo è operativa una campagna di sensibilizzazione e promozione, con un sistema centrale di raccolta elettronica delle firme, per avviare la misura in tutta l'Unione Europea. Inoltre, sul fronte della riduzione del tempo di lavoro sono in corso esperimenti in Belgio, Inghilterra, Usa, Giappone e in tanti altri paesi, finalizzati ad arrivare alla settimana lavorativa di quattro giorni (4 Day Week Global).

Il cambio di paradigma lo sta dunque preparando lo stesso capitalismo. Ergo: chi si richiama al comunismo non solo dovrebbe essere al passo coi tempi, ma anticiparli. Non si potrà ritornare alla piena occupazione, alle fabbriche colme di operai che lavorano gomito a gomito: il mondo sta andando in un'altra direzione. Resta il fatto che la battaglia, ingaggiata dal proletariato da un paio di secoli per accorciare la durata della giornata lavorativa, fa parte del patrimonio storico di tutta l'umanità. Quella che oggi normalmente viene considerata una rivendicazione di tipo sindacale fra tante è, in realtà, una delle maggiori conquiste che la nostra specie dovrà realizzare. L'uomo futuro non si accontenterà di aumentare semplicemente il cosiddetto tempo libero, ma punterà a superare la distinzione tra tempo di vita e tempo di lavoro. Se la civiltà del lavoro si è rotta, come nota l'HuffPost, si tratta di prenderne atto e voltare pagina.

Siamo quindi passati a discutere della guerra. Il 9 maggio in Russia sarà celebrata la Giornata della Vittoria in memoria della capitolazione della Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale. Sembra che per quella data Putin potrebbe dichiarare la "guerra totale" contro l'Ucraina, aprire cioè un'escalation bellica su scala più ampia, con la mobilitazione dei riservisti, l'introduzione della legge marziale e un'invasione vera e propria del paese. Se così fosse, la Russia dovrebbe anche mettere in conto la reazione da parte occidentale e il conseguente aumento del livello di scontro. Intervistato dal Corriere della Sera, il generale Pietro Serino, capo di Stato Maggiore dell'Esercito, afferma che "oggi i cacciabombardieri di una volta sono stati sostituiti dai droni, la radio è stata sostituita dal satellite... Credo che si sia sottovalutato il fatto che le formazioni corazzate hanno bisogno di strumenti di tecnologia diversa dal passato, e anche per questo oggi ci si può trovare in grandissima difficoltà."

Dal punto di vista degli armamenti e delle tecniche militari stiamo vivendo una transizione di fase, e un nuovo tipo di guerra, fatto di sistemi e informazione, sta prendendo il sopravvento relegando gli uomini in una posizione secondaria. Tante volte nelle nostre riunioni abbiamo parlato di robot nelle fabbriche, magazzini automatici, automobili senza autista e aerei senza piloti. La guerra, al pari del Capitale, si autonomizza e gli uomini sono sempre più dominati dalle macchine (come nel film di fantascienza Matrix). Essa è un prodotto dello sviluppo capitalistico e ne rispecchia le caratteristiche. Sarebbe auspicabile un moto sociale che agisca in anticipo rispetto alla sua generalizzazione, ma all'orizzonte non si vede.

La teoria dei giochi è utile per capire come potrebbe svilupparsi l'attuale conflitto bellico. La guerra trova i suoi strumenti, evolve strada facendo. La bomba atomica, finora utilizzata solo dall'America (a Hiroshima e Nagasaki), è adesso a disposizione di altri paesi. Molti analisti militari sostengono che esiste un principio di auto-regolazione ("pax atomica"), e che per tal motivo è improbabile l'impiego di armi nucleari. Ma la guerra si sa come inizia, non come finisce. C'è da augurarsi che la nostra specie si fermi di fronte al baratro, sbarazzandosi per tempo del capitalismo.

Il conflitto in corso ha un'importanza enorme, ha sorpreso i suoi stessi protagonisti, è un banco di prova per tutti. Probabilmente verranno usate armi che non sono mai state usate prima e di cui non si conoscono ancora le conseguenze. L'elettronica assume un'importanza fondamentale: essa è utilizzata per rivelare il segnale emesso da un missile e per guidare lo stesso. Ci sono sensori ed attuatori sparsi ovunque, i quali fanno parte di un sistema cibernetico che si auto-organizza. La componente spaziale, ad esempio, è oggi ampiamente impiegata per la difesa.

Di fronte a un tale sistema, che fa ampio uso di satelliti e droni, che capta segnali e li riverbera in tempo reale verso postazioni mobili, i vecchi armamenti (carrarmati, navi, ecc.) non sono in grado di sopravvivere sul campo di battaglia. In ambito militare, la quantità sta lasciando velocemente il posto alla qualità; l'obiettivo è rilevare la presenza del nemico e colpire. Immaginiamo uno scenario in cui la Russia ha ottenuto la supremazia aerea in Ucraina, ha distrutto i sistemi di difesa del paese, compresi i radar e le postazioni missilistiche. Attaccando per primi, i Russi si sono messi sulla difensiva, obbligando la Nato a passare all'attacco e quindi a mettersi in una posizione di svantaggio (per von Clausewitz la difesa è più forte dell'attacco). La Federazione Russa ha un territorio immenso, per neutralizzare il suo sistema di difesa e metterla nella condizione di non nuocere ci vorrebbero stormi di aerei pronti a sganciare migliaia di missili, e ciò provocherebbe una risposta da parte di Mosca. A questo punto, la Quarta Guerra Mondiale sarebbe realtà.

Articoli correlati (da tag)

  • Difendono l'economia, preparano la guerra

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con il commento della newsletter di Federico Rampini pubblicata sul Corriere della Sera e intitolata "L'Italia è in pericolo, ma non vuole difendersi".

    Da buon patriota con l'elmetto in testa, Rampini vuole un'Italia pronta a contrastare le minacce belliche e con una popolazione preparata all'ideologia di guerra. L'Europa non ha una difesa unitaria, dipende da altri per l'acquisto di armamenti, non ha una chiara strategia militare. Il giornalista sprona l'Occidente ad attrezzarsi per la guerra ibrida, quella in cui forze con pochi mezzi a disposizione riescono a tenere in scacco nemici molto più potenti. Come gli Houthi, ad esempio, che stanno dando del filo da torcere alle navi commerciali (e non solo) che passano dallo Stretto di Bab al-Mandab. O come l'Iran, che nell'attacco ad Israele dello scorso aprile con missili e droni, a prima vista fallimentare perchè efficacemente contrastato dal sistema antimissile Iron Dome e dalla coalizione che sostiene Israele (USA, Inghilterra, Giordania, Arabia Saudita), ha affrontato una spesa di 100 milioni di dollari contro i 2 miliardi di dollari sostenuti dalla difesa isareliana.

    La guerra ibrida è anche quella combattuta sui social network, come dimostrano i recenti casi giudiziari che hanno coinvolto piattaforme come X e Telegram, e in Rete attraverso attacchi informatici diretti a infrastrutture e sistemi di trasporto. Secondo Rampini, bisogna rispondere a questo insieme di sfide con un'alleanza tra imprese private, forze armate e intelligence: un nuovo corporativismo all'avanguardia tecnologica. Il giornalista auspica anche il rilancio della leva obbligatoria perché "il mondo di oggi ci sta dimostrando che le guerre non si vincono con i soli eserciti professionali". Dice questo proprio mentre in Ucraina migliaia di uomini scappano o si nascondono per non essere spediti al fronte. La tenuta del fronte interno è il grande problema con cui devono fare i conti le classi dominanti. Il blocco NATO può mandare armi e consiglieri militari a Kiev, ma se non ci sono i fanti che vanno a sacrificarsi in trincea manca la materia prima.

  • Wargame: macchina per conoscere

    La teleriunione di martedì è iniziata con il commento di una video puntata di Limes, "Wargames: i giochi di guerra e la sindrome di Rommel" (dedicata all'articolo "Contro la Sindrome di Rommel: la guerra non è un wargame"), alla luce dei nostri lavori sul tema pubblicati sui numeri 50 e 51 della rivista.

    Nel video si afferma che i wargame non sono la replica esatta della situazione reale, ma possono essere utili per pianificare azioni. Per esempio, i "giochi di guerra" che simulano un conflitto tra USA e Cina nell'Indo-Pacifico, dimostrano che un scenario di questo tipo non avrebbe sbocchi (non ci sarebbe un vincitore) e che quindi andrebbe evitato. Non è detto, però, che tali "consigli" siano seguiti da chi ha responsabilità politiche e militari.

  • Marasma sociale, populismo e guerra

    La teleconferenza di martedì 30 luglio è iniziata facendo il punto sulle recenti proteste in Venezuela.

    Le elezioni presidenziali hanno visto la vittoria di Nicolàs Maduro con circa il 51% dei voti, ma le opposizioni hanno denunciato brogli. Migliaia di manifestanti sono scesi in strada scontrandosi con la polizia e i militanti pro-Maduro, e si contano già i primi morti. Anche il Venezuela si aggiunge alla lista dei paesi interessati dal marasma sociale: dal punto di vista politico, la parte borghese che si fa portatrice del progetto bolivariano si scontra con l'opposizione filostatunitense. L'economia venezuelana è basata prevalentemente sull'esportazione di greggio, mentre industria e agricoltura contano poco nella formazione del PIL. Da anni nel paese serpeggia un malessere profondo che coinvolge milioni di senza-riserve, quasi metà della popolazione versa in condizioni di povertà estrema.

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email