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  • Resoconto teleriunione  16 maggio 2023

Il picco cinese

La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 14 compagni, è iniziata con la presentazione della riunione pubblica che si terrà il prossimo 27 maggio a Roma sul tema della guerra. Abbiamo ribadito che per capire cosa sta succedendo nel mondo bisogna proiettarsi nel futuro (n+1), e di lì guardare al presente (n). Se le guerre passate si sono caratterizzate per il fatto che la potenza vincitrice è riuscita ad imporre un nuovo ordine mondiale, quella odierna indica una situazione di ingovernabilità generale ed è il prodotto di una situazione che alla fine non avrà vincitori in ambito capitalistico.

The Economist, uno dei settimanali che prendiamo come punto di riferimento del mondo borghese, scrive che "la potenza cinese sta per raggiungere il picco", rifacendosi alle analisi dei due politologi americani Hal Brands e Michael Beckley ("Is Chinese power about to peak?"), secondo i quali l'ascesa della Cina si sta già arrestando. Da quando il paese ha iniziato ad aprirsi e riformare l'economia, nel 1978, il suo PIL è cresciuto in media di un 9% all'anno, e ciò ha permesso un relativo miglioramento delle condizioni di vita per milioni di cinesi. Pechino ha bruciato le tappe facendo in 40 anni quello che l'Occidente ha compiuto in qualche secolo. Negli ultimi decenni la crescita economica della Cina, e in generale dell'Asia, (il paese conta un quinto della popolazione mondiale) ha rappresentato una boccata d'ossigeno per il capitalismo, che dagli anni '70 mostra segni di cedimento in Occidente. Ma ora il gigante asiatico sta avendo qualche problema perché l'attuale modo di produzione è diventato senile ad Ovest come ad Est. Se da una parte si sta arrivando alla parità economica tra USA e Cina, dall'altra sappiamo che non ci potrà essere un nuovo paese alla guida del capitalismo e la serie storica non potrà che interrompersi ("Accumulazione e serie storica"). Le motivazioni del declino cinese sono di varia natura, una di questa è la situazione demografica: le Nazioni Unite stimano che entro la metà del secolo la popolazione lavorativa potrebbe diminuire di oltre un quarto, con la crescita del numero degli anziani. L'economista Nouriel Roubini, nel saggio La grande catastrofe, analizzando quella che definisce la bomba a orologeria demografica, scrive:

"Non ci sono abbastanza soldi nelle economie avanzate per rispettare le promesse finanziarie fatte al numero in celere aumento di pensionati nelle economie avanzate, e oggi anche in alcuni mercati emergenti più anziani come Cina, Russia e Corea del Sud. Come reggeremo questi costi immensi, che tra l'altro devono anche tenere presenti i flussi globali di migranti? Alzare le tasse non serve dato che bisognerebbe aumentare esponenzialmente le trattenute nelle buste paga degli attuali lavoratori per finanziare la sanità e le pensioni dei vecchi e dei pensionandi, e questo non garantirebbe comunque sufficienti risorse per sanità e pensioni degli attuali giovani quando smetteranno di lavorare. Stampare abbastanza moneta scatenerà l'inflazione o forse addirittura l'iperinflazione. Non mantenere le promesse ai pensionati e ai pensionandi, anche spostando l'età del ritiro dal lavoro, farebbe scoppiare una sommossa. Per far quadrare i conti ci basiamo sempre di più sull'unica alternativa che ci resta: l'ulteriore debito che non potremo mai ripagare. Caveat emptor: non andrà tutto bene."

Secondo l'Institute of International Finance, alla fine del 2021 il debito globale era ben oltre il 350% del PIL globale, e sta continuando a salire. Un altro problema con cui la Cina deve fare i conti è il mercato immobiliare: dopo decenni di costruzione di case, strade e ferrovie, la spesa per le infrastrutture registra rendimenti decrescenti. Studi che prevedevano una crescita molto sostenuta dell'economia del Dragone per i prossimi anni, sono stati ampiamente smentiti dai fatti. È difficile che possa realizzarsi un balzo in avanti della Cina tale da permetterle di scalzare gli USA alla guida del mondo per il semplice fatto che anch'essa comincia a perdere energia. I rapporti sociali capitalistici non sono eterni, lo sviluppo delle forze produttive li modifica continuamente e, ad un certo punto, li trasforma radicalmente. Nemmeno i sociologi più "di sinistra", quelli che indagano su cosa potrebbe esserci dopo il capitalismo, riescono a dare un nome ad una società diversa, al massimo coniano termini come "post-capitalismo". Tantomeno la borghesia che, non riuscendo a concepire una società diversa da quella esistente, ha come unico orizzonte la riforma: redistribuzione dei redditi, politiche sociali, investimenti pubblici, ecc. Il problema è che queste ricette sono state già tutte sperimentate dai demo-fascismi nel secolo scorso ("La Grande Socializzazione").

Il capitalismo è morto: tale affermazione la troviamo in vari scritti della Sinistra. Questo non vuol dire che siano scomparsi gli Stati, gli eserciti e le polizie (non vi è un rapporto meccanico tra struttura e sovrastruttura), ma significa che gli apparati repressivi e ideologici entrano in crisi. Il sito di Limes ha aperto una rubrica ("Fiamme americane") dedicata alla crisi strutturale degli Stati Uniti, e recentemente è stato postato un articolo sul collasso dell'università americana. E nell'ultimo numero della rivista ("Il bluff globale") è stato pubblicato un articolo di George Friedman intitolato "Gli Stati Uniti sono prossimi a un collasso interno":

"La storia più interessante da seguire oggi riguarda l'America. Per quanto Cina, Russia e altri paesi siano importanti, nessuno di loro è il perno del mondo. Gli Stati Uniti hanno la più grande economia del pianeta, la più potente forza militare (compresa la Marina) e rimangono leader nell'innovazione tecnologica. Sono dunque una potenza decisiva. Ma al contempo pericolosa. Un suo fallimento avrebbe conseguenze disastrose a livello globale, dato che a Washington si concentrano potenza e capacità interconnesse con il resto del globo."

Un altro dei sintomi della dissoluzione dell'attuale modo di produzione è la crisi dell'ideologia del lavoro, che si sta sgretolando sotto i colpi di una società nuova che preme per emergere. Abbiamo scritto un articolo nell'ultimo numero della rivista sul sentimento anti-lavoro che si sta diffondendo a livello mondiale ("La riduzione dell'orario di lavoro non è più un tabù"), partendo da fenomeni come #AntiWork negli USA, Tang Ping in Cina, Antijob.net in Russia. Anche il lavoro salariato ha raggiunto un picco, superato il quale si è arrivati ad una situazione definita dai giornalisti come "gig economy" (economia dei lavoretti), una precarietà estrema che non riguarda solo il rapporto di lavoro ma l'intero arco della vita dei lavoratori.

Nell'articolo "Tempo di lavoro, tempo di vita" abbiamo visto che, per contrastare il fenomeno della disoccupazione, lo stato borghese ha inventato lavori fasulli, impieghi inutili, redditi di cittadinanza per distribuire un po' di briciole. Questo è un sistema ultra-dissipativo, tenuto in vita artificialmente, che si basa sul lavoro di pochi operai sfruttati al massimo. Anni fa il sociologo Luciano Gallino aveva calcolato che in un'automobile Fiat il "costo del salario" era circa l'8% del prezzo di vendita. L'aumento della produttività fa storicamente diminuire il tempo di lavoro contenuto nelle merci, facilitando la strada all'enorme distacco fra il valore e la sua rappresentazione in equivalente generale. La robotizzazione della produzione industriale va di pari passo con l'autonomizzazione del valore.

Oggi ci sono sistemi di Intelligenza Artificiale che producono foto, video e articoli autonomamente. Chi lavora nel campo dell'IA è preoccupato perché la situazione potrebbe sfuggire di mano (vedi dichiarazioni di Sam Altman, numero uno di OpenAI). Ma in realtà è già successo. Lo Stato non può fermare lo sviluppo tecnologico, né regolamentarlo a livello internazionale; per farlo ci vorrebbe un governo mondiale, capace di affrontare tali sfide diversamente da come le affronta l'attuale sistema, e cioè con la guerra di tutti contro tutti.

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