Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  24 ottobre 2023

Guerra e polarizzazione sociale

Durante la teleriunione di martedì sera, presenti 21 compagni, abbiamo discusso della situazione politica internazionale con particolare attenzione a Stati Uniti e Stato di Israele.

Secondo le rivelazioni dell'Huffington Post, negli USA sarebbe in corso un ammutinamento a tutti i livelli: alcuni diplomatici starebbero preparando ciò che viene definito un "dissent cable", un documento di critica verso la politica americana consegnato ai leader del Dipartimento di Stato tramite un canale riservato. Sembra che il conflitto all'interno dell'agenzia governativa verta sulle scelte di politica estera riguardanti la questione ucraina e quella israelo-palestinese. Riguardo quest'ultima, sembrano esserci problemi anche in casa del Partito Democratico per la posizione smaccatamente filoisraeliana di Joe Biden.

Anche in Israele ci sono conflitti interni. Tre ministri hanno minacciato di dare le dimissioni perché contrari alla condotta politica di Netanyahu, e dal punto di vista sociale, dopo l'iniziale compattamento seguito all'attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, sono riemerse le critiche della stampa verso il governo. In un discorso pubblico il presidente Biden ha ammesso che l'America ha sbagliato dopo l'11 settembre e perciò ha consigliato ad Israele di non fare gli stessi errori con Gaza, ignorando il dopo invasione. Gli USA cercano di frenare l'annunciato ingresso nella Striscia delle forze di difesa israeliane, anche perché l'Iran ha dichiarato che la situazione rischia di andare fuori controllo. Se continua il massacro di civili palestinesi, Hezbollah sarà costretto ad intervenire e potrebbe scattare un effetto domino in Medioriente e oltre. A tutti è ben chiaro che superata una certa soglia nessuno riuscirà più a controllare nulla. Si sa quando una guerra inizia, ma è difficile prevedere quando finirà.

Federico Rampini, sostenitore convinto della democrazia a stelle e strisce, dalle pagine del Corriere della Sera scrive: "Quello che stiamo vivendo è solo un assaggio del mondo post-americano". Nell'articolo si ammette che è diminuita la capacità dissuasiva americana, e con ciò sono aumentati gli spazi di manovra degli altri attori geopolitici. Il fronte ucraino e quello mediorientale fanno parte di un'unica guerra che è oggettivamente diretta contro gli Stati Uniti. Nell'articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" abbiamo scritto che l'America è in guerra con il resto del mondo, perché è solo grazie all'egemonia del dollaro (difesa da centinaia di basi militari) che essa rastrella valore. Chi mette in discussione questo potere, quello del biglietto verde, mette a rischio la sopravvivenza degli USA. Oltre allo scontro all'interno degli apparati americani, esiste un sentimento diffuso di rifiuto della guerra che è testimoniato dalla difficoltà di reclutamento delle forze armate degli Stati Uniti. Marx dice che il capitalismo è il peggior nemico di sé stesso, noi aggiungiamo che l'America è il peggior nemico di sé stessa ("Imprese economiche di Pantalone").

Per gli USA i fronti aperti aumentano: Ucraina, Medioriente e, all'orizzonte, il Mar Cinese e Taiwan. Strategicamente la vera minaccia è rappresentata dalla Cina. L'Indo-Pacifico è l'oggetto del contendere tra le due superpotenze, necessarie l'una all'altra ma allo stesso tempo nemiche.

Dallo scoppio della guerra in Israele-Palestina, nell'area sono aumentati gli attacchi informatici. Molti siti web israeliani, tra cui quello del Jerusalem Post, dell'Israeli Air Force e di alcune piattaforme governative, sono stati messi fuori uso da attacchi di tipo DDos (sovraccarico del server con richieste fittizie). Sembra che siano più di 60 i collettivi o gruppi hacker che hanno rivendicato o partecipato agli attacchi, per la maggior parte di stampo filo-palestinese; tra questi spuntano anche nomi conosciuti, come quello del gruppo filorusso KillNet che nel maggio 2022 aveva colpito una serie di siti istituzionali italiani. Per ora il livello di sofisticazione delle azioni di sabotaggio, per lo più dimostrative, rimane basso, in particolare se confrontato con quanto accaduto con lo scoppio della guerra in Ucraina. A ridosso dell'invasione russa, un attacco informatico mandò fuori uso la rete satellitare Viasat, causando un'importante perdita di comunicazione per l'esercito ucraino che faceva affidamento sui servizi dell'azienda americana per il comando e il controllo delle forze armate del paese. La situazione si risolse con l'intervento di Elon Musk che inviò in Ucraina un camion pieno di terminali affinchè i militari potessero collegarsi al suo sistema satellitare, Starlink. A quanto pare anche le forze israeliane ricorreranno ai servizi di Musk per garantire, in previsione dell'invasione di Gaza, un servizio Internet continuo, soprattutto alle città in prima linea. Dall'inizio del conflitto la connettività nelle Striscia si è notevolmente ridotta: i bombardamenti avrebbero distrutto le sedi dei due principali fornitori di telecomunicazioni della zona.

Il nuovo modo di fare la guerra prevede l'uso della Rete, ma anche quello massiccio di munizioni. Il Financial Times dichiara che Kiev sta affrontando una "enorme carenza" di munizioni, e che l'aumento della produzione nazionale è ostacolato dalla carenza di componenti chiave e materie prime, in particolare di polvere da sparo. La guerra ucraina sta svuotando gli arsenali degli Stati Uniti e dei paesi europei.

Ma anche con mezzi poco costosi è possibile saturare l'apparato di sorveglianza del nemico e mandarlo in tilt. Con un sistema di droni poco sofisticati, è stato messo fuori uso il sistema antimissile Iron Dome israeliano, uno dei più moderni e tecnologici esistenti. Da una parte abbiamo l'utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale, dall'altra mezzi rudimentali come i missili Qassam e gli alianti, il cui utilizzo coordinato e simultaneo ha fatto la differenza. Hamas ha messo con le spalle al muro Israele, che è stato costretto ad accettare la compellence: se non fa nulla viene meno la sua deterrenza, se entra a Gaza rischia di finire in un vicolo cieco.

Dallo Yemen i ribelli Houthi sostenuti dall'Iran hanno lanciato tre missili diretti verso Israele, che sono stati intercettati da un cacciatorpediniere americano presente nel Mar Rosso. Negli scorsi giorni, alcuni droni hanno attaccato basi americane in Iraq e in Siria, dove gli attacchi israeliani sono continui, così come gli scontri con Hezbollah al confine con il Libano. Per evitare di colpire le truppe russe operanti in Siria, gli Israeliani avvisano prima di bombardare le postazioni nemiche. Il Qatar è uno dei massimi finanziatori di Hamas e, da quando Israele ha abbandonato la Striscia di Gaza, ha inviato finanziamenti tramite gli stessi servizi segreti israeliani. Lucio Caracciolo (Limes) ammette che Hamas è una creatura israeliana, sostenuta e finanziata in passato da Tel Aviv in chiave anti-OLP.

Israele ha problemi al suo interno sia di natura sociale, come testimoniano le manifestazioni degli ultimi mesi, che di natura strutturale: è uno stato capitalistico moderno, come afferma la nostra corrente, ma non ha una costituzione e dei confini geografici certi. Ha contraddizioni enormi: il 20% della popolazione è araba, e circa il 10% è composto da ebrei ortodossi che non si arruolano e non partecipano alla vita militare del paese, e alcuni sono addirittura contrari all'esistenza dello Stato di Israele.

La guerra trascina tutti. L'industria bellica dovrà modificarsi a seconda delle richieste che arrivano dai campi di battaglia. Ogni paese si sta attrezzando per aumentare la propria capacità militare. La guerra inizia dal livello raggiunto della precedente, ma poi costringe tutti a sperimentare nuove tecnologie e tattiche.

In una situazione difficile come quella che sta vivendo Israele, si allarga il fronte di paesi e organizzazioni che si mobilitano contro la strage in corso nella Striscia di Gaza. Manifestazioni molto partecipate ci sono state nei paesi arabi, ma anche in Germania, Francia e Stati Uniti. Davanti al Campidoglio a Washington, durante una manifestazione ebraica pro-Gaza, ci sono stati 500 arresti.

Un altro elemento da tenere d'occhio, a proposito della generale ritirata dell'Occidente, è la demografia: più della metà della popolazione, entro il 2050, sarà concentrata in India, Cina, Nigeria, Pakistan. Da oggi al 2100, la popolazione mondiale supererà i 10 miliardi di persone, concentrati per l'80% in Asia e Africa. Quello che una volta era il Terzo Mondo, adesso è diventato il Sud Globale. L'età media in Europa è di oltre 40 anni (in Italia 44), mentre in Africa l'età media è di 19 anni. Se in Occidente ci sono meno giovani, e la maggior parte di questi non lavora o fa lavoretti, i sistemi pensionistici diventeranno insostenibili. Il problema inizia a riguardare anche la Cina che, come gli USA e l'Europa, vede la diffusione tra i giovani di fenomeni di rifiuto del lavoro (Antiwork, Tang Ping, ecc.).

In chiusura di teleriunione, abbiamo accennato alle recenti elezioni presidenziali in Argentina. Alle presidenziali si è presentato un candidato anarcocapitalista, Javier Milei, che ha fatto parlare molto di sé. Il suo programma politico prevede prevede l'abbandono della moneta locale in favore del dollaro e un drastico taglio alla spesa sociale (ospedali, scuole, ecc.). Abbiamo accennato più volte al mondo dei libertariani (Tim O'Reilly, Elon Musk, ecc.), che aspira ad uno stato minimo che non interferisca con la vita economica, erogando al massimo dei sussidi affinché i cittadini possano sopravvivere. Nelle sue espressioni più estreme vorrebbe sostituire il governo con algoritmi. Lo sviluppo delle forze produttive urta contro i rapporti di produzione spingendo alla ribalta personaggi e teorie improbabili, e determinando una crescente polarizzazione politica. La lotta di classe non è soltanto quella tra proletari e borghesi, ma anche uno scontro che riguarda le varie componenti della classe dominante e che si riverbera nei palazzi istituzionali.

Articoli correlati (da tag)

  • Una società in crisi irreversibile

    La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando la sommossa in corso in Bangladesh.

    Da un paio di settimane in tutto il paese si susseguono importanti manifestazioni. Gli studenti, opponendosi ad una legge che prevede una serie di facilitazioni alle famiglie dei reduci della guerra di liberazione dal Pakistan, si sono scontrati duramente con polizia ed esercito. L'epicentro della rivolta è stata l'Università di Dacca. Al di là della contestata legge, è evidente che anche il Bangladesh affronta gravi problemi di disoccupazione giovanile.

    Ottavo paese più popoloso del pianeta, con 170 milioni di abitanti, il Bangladesh ha un'età media molto bassa e una popolazione concentrata principalmente nell'area urbana di Dacca, che ha una densità abitativa altissima, con 45.000 abitanti per km². Finora si registrano 160 morti, oltre a migliaia di feriti, manifestanti scomparsi, casi confermati di torture, anche ai danni dei giornalisti. Il governo ha chiuso Internet, ma così facendo ha contribuito ad aumentare il caos.

    Oltre alle manifestazioni nella capitale, ci sono stati blocchi delle autostrade e delle ferrovie, attacchi alle stazioni di polizia, tentativi di invasione delle sedi delle TV, e la liberazione di detenuti dal carcere: tutti eventi che danno l'idea di una situazione quasi insurrezionale. Almeno a partire dal 2006, nel paese si è verificata una lunga serie di scioperi nelle fabbriche, in particolare nel settore tessile.

  • Direzione del moto storico

    La teleriunione di martedì sera è cominciata parlando del recente attentato a Donald Trump avvenuto durante un comizio elettorale in Pennsylvania.

    Si tratta di un ulteriore step nel livello di violenza che caratterizza la campagna elettorale americana. L'attentatore, un ragazzo di 20 anni con simpatie repubblicane, ha utilizzato un fucile semiautomatico AR-15, l'arma più diffusa in tutto il Paese con una stima di oltre 40 milioni di pezzi venduti. Naturalmente, non sono mancate le teorie del complotto, ma d'altronde in mancanza di informazioni vagliabili tutte le ipotesi sono aperte.

    Nel nostro articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana", nel capitolo finale intitolato La vita nel ventre della balena, abbiamo ribadito che il moto storico ha una direzione precisa. Gli USA sono ciò che la storia del pianeta li ha portati ad essere. La crisi dell'imperialismo unipolare è dovuta al fatto che sulla scena si stanno affacciando nuove potenze (lo sviluppo ineguale di cui parla Lenin nell'Imperialismo), l'America non ha più la forza di dare ordine al mondo, e non esiste un sostituto all'orizzonte. Si è interrotta la staffetta dell'imperialismo ("Accumulazione e serie storica") e il disordine mondiale aumenta con l'estendersi dei conflitti bellici su scala planetaria. Chiunque sarà il prossimo presidente americano (i pronostici danno per certa la vittoria di Trump), potrà far ben poco per invertire la tendenza economica, la quale produce effetti sulla società.

  • La società analizzata con il wargame

    La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando l'articolo "Wargame. Non solo un gioco" (rivista n. 50), particolarmente utile per comprendere i conflitti bellici e sociali in corso, e per evitare di commettere errori logici nell'analisi.

    In "Wargame" troviamo considerazioni inerenti alla "trasformazione della guerra imperialista in guerra civile", parola d'ordine dell'Internazionale Comunista. Storicamente, la guerra non rappresenta un problema per l'imperialismo ma la soluzione (temporanea) alla sua crisi. Difatti, la nostra corrente afferma che nell'epoca moderna, anche a causa del modo di condurre i conflitti, o passa la guerra o passa la rivoluzione. Oggi le determinazioni di una guerra classica che la farebbero passare da salvezza del modo di produzione capitalistico a elemento della sua distruzione non sono più da considerare ipotesi, dato che la crisi economica è da tempo diventata cronica. L'elettroencefalogramma del capitalismo è piatto.

    Detto questo, finché c'è guerra non c'è disfattismo e quindi non c'è rivoluzione. La rivoluzione, perciò, deve scattare prima che la guerra conquisti la scena mondiale, prima che diventi un fatto totale, tanto più che quella a venire sarà "gestita" da sistemi basati sull'intelligenza artificiale, potenzialmente fuori dal controllo umano. Pensiamo alla fabbrica: il robot, registrando in modo approfondito le competenze dell'operaio, lo va a sostituire.

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email