Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  16 ottobre 2012

Il capitalismo non può nutrire i suoi schiavi

In apertura della riunione abbiamo condiviso alcune impressioni rispetto agli incontri pubblici tenuti da Loren Goldner organizzati a Milano e a Torino. Goldner ha affrontato il discorso su OWS e sulla cosiddetta ripresa della lotta di classe statunitense a partire dal crash finanziario del 2008 in maniera assolutamente sociologica senza riuscire ad individuare una prospettiva nelle lotte che si sviluppano a livello globale, senza mettere a fuoco i processi economici e le risposte sociali. Trattandosi di un sociologo, non ci si aspettava grandi teorizzazioni ma quantomeno un'analisi più articolata, dal momento che Goldner ha anche scritto alcuni articoli dedicati a Bordiga e alla "comunità materiale". Oltre al taglio profondamente sociologico quindi, è emerso anche quello vetero-sindacale che vede la lotta di classe esclusivamente legata alla presenza di un proletariato industriale produttivo, proprio quel proletariato idealisticamente compianto che negli Stati Uniti si è drasticamente ridotto a seguito della deindustrializzazione iniziata negli anni Settanta.

La politica economica americana sta fornendo dati davvero interessanti in questo periodo. Basta leggere i due articoli comparsi il 15 ottobre sull'inserto "Affari e Finanza" di Repubblica per capire come "l'effetto precipizio" sia sempre più avvertito e come i tempi si facciano sempre più vicini. Rampini affronta la definizione del "fiscal cliff", letteralmente rupe fiscale al di là della quale c'è solo il precipizio e vede nel 2013 una caduta drastica dei consumi negli Stati Uniti ed un ulteriore aumento della disoccupazione, entrambi elementi devastanti per un paese che da due anni ha visto superare il PIL dal debito dei singoli consumatori (sedici miliardi di dollari pro capite). Krugman invece commentando le vicine elezioni americane dimostra come, se dovesse venire eletto il repubblicano Romney, ne vedremo delle belle perchè sarebbe davvero deleterio per ciò che resta dello già sbrindellato stato sociale americano.

Qualche aggiornamento su OWS arriva dal Global Noise day del 13 ottobre che sembra aver attecchito a livello globale. Su Twitter è circolato anche qualche riferimento alla manifestazione organizzata a Taranto dal movimento "Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti" che pur non rientrando direttamente nella call di Occupy, è stata considerata come iniziativa affine e collegata. Anche in Portogallo assistiamo a segnali di rabbia generalizzata da parte di larga parte della popolazione e i tentativi di assedio del parlamento diventano sempre più frequenti in Europa. Non si tratta più di sporadici tentativi ma di invarianti: abbiamo visto la stessa dinamica a Madrid e ad Atene. Se ci fermassimo agli slogan lanciati dai manifestanti, sembrerebbe che siamo al solito rifiuto della classe politica ma se guardiamo complessivamente la dinamica materiale che spinge migliaia di persone a puntare direttamente sui parlamenti, allora le cose assumono ben altra forza. Anche sul blog di Debora Billy si trova un articolo interessante che descrive bene le contraddizioni cui le forze dell'ordine spagnole hanno dovuto far fronte nel sedare un movimento fatto di giovani, donne e anziani.

Anche a livello sindacale e politico l'avanzare delle crepe economiche e sociali produce i suoi effetti e facendo una ricognizione di news dal web attraverso siti particolarmente attivi, si vede come inizino a circolare in maniera sempre più diffusa riferimenti al reddito garantito, al reddito di cittadinanza, al sostegno al reddito. Per ora siamo ancora ad un livello in cui politici ed esponenti di movimenti e centri sociali si improvvisano ragionieri al servizio dello Stato e provano a calcolare con l'abaco democratico quanto sarebbe necessario ridistribuire proponendo parametri e possibili riforme con relativi referendum e raccolte di firme. Sembra sia in corso una campagna europea per la richiesta di reddito garantito e alcuni gruppi nostrani vi hanno aderito spingendo la richiesta di 600 miseri euro mensili. Su Chicago86 è stato pubblicato nella sezione feedback un comunicato inviato da il collettivo di Rho "La Sciloira" che, al di là del semplicistico discorso sul collegamento Stato-mafia, avanza la richiesta di salario per i disoccupati come unica possibilità per strappare la popolazione giovanile al ricatto del massimo sfruttamento e alla criminalità organizzata. Come scritto nelle rubrica "doppia direzione", salario e reddito rappresentano due concetti differenti: "Il reddito di cittadinanza — che come il salario ai disoccupati non è di per sé impossibile da realizzare — è teorizzato in base al principio illuministico che ogni individuo deve partecipare a una quota minima della proprietà generale, mentre il salario ai disoccupati è… un salario. Infatti, socialmente, è inevitabile che si rifletta sul valore della forza-lavoro, e questo valore non è calcolabile in base ad alcun criterio ragionieristico ma è dovuto ai soli rapporti di forza". Comunque, un salario minimo ai disoccupati non è incompatibile con il capitalismo ("Il reddito di cittadinanza è per esempio riconosciuto dalla regione Campania per le famiglie sotto la soglia di povertà, ma è anche una pratica abbastanza comune nel mondo islamico, dove una parte della raccolta di fondi delle moschee va a sostegno delle famiglie bisognose"). Il punto teorico centrale è che neghiamo al capitalismo la possibilità di nutrire i suoi schiavi (Mai la merce sfamerà l'uomo). Se non fosse cosi, il capitalismo sarebbe eterno. Ciò che ci interessa sottolineare è che più la società capitalistica invecchia, più si restringono i margini di rivendicazione e sempre più sinistri sono obbligati a far proprie parole d'ordine che la nostra corrente aveva anticipato sin dal 1922 quando con l'Alleanza del Lavoro non solo rivendicava l'unità delle lotte ma anche un salario garantito calcolato a seconda dei componenti del nucleo famigliare. Proletari occupati e disoccupati fanno parte di un'unica classe e unitaria deve essere la loro lotta.

Sul sito MicroMega è comparsa una intervista a Luciano Gallino, che demolisce il centro sinistra dimostrando che non ha più alcuna funzione sociale e politica. Il sociologo sostiene che per superare la crisi, gli Stati debbano mettere in atto un nuovo New Deal che sponsorizzi un consistente piano di opere pubbliche e consenta accesso al reddito e ai consumi. Sarebbero queste le rivendicazioni che il centro sinistra non è più in grado di avanzare. Per quanto si senta parlare sempre più di frequente di accesso al reddito, non si capisce bene da dove si possano ricavare le risorse per garantire alle famiglie italiane i 600 euro mensili di cui sopra. Se anche facessimo un calcolo, e dovessero essere garantiti seicento euro a dieci milioni di famiglie, raggiungeremmo lo 0,5% del PIL italiano. Al momento non è ben chiaro se questi sostenitori del "reddito garantito" e/o "dell'accesso al reddito" suggeriscano di stampare moneta da lanciare dagli elicotteri alla Friedman o se keynesianamente propongano di scavare buche per poi riempirle e rianimare l'economia attraverso la produzione di merci materiali. E' certo che in una crisi di sovrapproduzione entrambe le formule non sono sufficienti a determinare alcuna soluzione. Comunque, la storia marcia in una certa direzione che è quella dell'inevitabile crollo del capitalismo e presto non potremo che assistere alla nascita spontanea di movimenti che rivendicano salario al di là del calcolo ragionieristico su quanto potrebbe valere la propria vita.

Stiamo sicuramente assistendo al veloce accumularsi di contraddizioni a molteplici livelli. Una conferma ci arriva da parte di tutti i "recenti" movimenti separatisti, indipendentisti e autonomisti che stanno rianimandosi (vedi Spagna, Scozia, Belgio, ecc.) in seguito all'acutizzarsi della crisi. Questo processo non riguarda solo la vecchia Europa ma è parte integrante anche di paesi come il Brasile in cui sorgono veri e propri stati nello stato governati da gruppi criminali che lo stesso governo fatica a controllare e reprimere. La crisi ormai cronica della forma Stato produce queste dinamiche secessioniste e mina fortemente la possibilità per i paesi europei di poter affrontare in maniera coesa l'austerità e le sue conseguenze pratiche. Se potessimo scegliere auspicheremo la formazione di un'Europa unita e centralizzata con un esecutivo ben visibile contro cui scagliare le forze rivoluzionarie. Come si legge in un Filo del tempo intitolato "United States of Europa" la frammentazione degli Stati non conduce ad uno sviluppo immediato di movimenti rivoluzionari e la scomposizione degli Stati in unità particolari è un portato della controrivoluzione in corso.

Resta il fatto che all'interno dell'Europa possiamo riconoscere tutta un'area che risulta particolarmente esplosiva composta da nord Italia, est della Francia e area germanica. Se anche dovesse partire dalla Cina un potente movimento rivoluzionario, questo produrrebbe una serie di processi a catena che coinvolgerebbero velocemente il cuore dell'Europa. La Germania rappresenta un nodo centrale che accumula forti contraddizioni: "Se una soluzione al problema dell'organizzazione di Europa sarà data dal levarsi del potente, in quantità e qualità, proletariato della grande Berlino, ciò sarà solo col programma - teoretico, organizzativo, politico, militare - di costituire in una guerra civile contro gli armati venuti da Est e da Ovest, una Comune di Berlino. Di tutta Berlino. Questa sarebbe la dittatura operaia in Germania, in Europa la rivoluzione mondiale."
Essa giocherà un ruolo importante nella futura rivoluzione in quanto ha avuto da sempre una funzione di "attrattore strano" e storicamente ha sempre dovuto affrontare la "strategia della disfatta". In futuro le forze del vecchio modo di produzione saranno di nuovo tutte coalizzate contro il proletariato tedesco in armi.
Dalle invasioni barbariche alle lotte dei contadini del 1500, questo stato si è sempre trovato accerchiato. Ci sono due testi in particolare che provano a spiegare l'ascesa della borghesia e la fine del feudalesimo in Germania. La guerra dei contadini viene considerata come la prima rivoluzione di una borghesia più europea di quella inglese e anticipatrice di quella rivoluzionaria in Francia. Il sistema renano è del tutto esaurito, superato, le cifre sulla disoccupazione in Germania sono simili a quelle degli Stati Uniti così come quelle che misurano la miseria: tredici milioni sono i poveri in Germania e la maggior parte è costituita da ragazzi e giovani. D'altronde non potrebbe essere che così se prendiamo per buono quanto scritto nel Manifesto del 1848: dove c'è maggiore concentrazione di ricchezza c'è maggiore divario tra ricchi e poveri.

Per quanto riguarda quanto accade tra Turchia e Siria (ossia tra Usa e Russia), sembra ci siano dei risvolti interessanti che danno chiaramente l'idea di quali sono le caratteristiche dei recenti conflitti bellici e di quali concatenazioni essi producono.

In ultimo si è fatto un veloce accenno al movimento dei lavoratori delle miniere sudafricane che da questa estate non si è mai fermato. In Sudafrica i lavoratori stanno continuando gli scioperi rifiutandosi di tornare al lavoro e rischiando il licenziamento (e la vita). Sono 75.000 i lavoratori che continuano a chiedere aumenti di salario e ci sono stati altri 128 arresti nelle diverse aree in cui si è diffuso il movimento.

Articoli correlati (da tag)

  • Un mondo sempre più disintegrato

    La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, è iniziata riprendendo il tema della guerra, con particolare attenzione a quello che sta succedendo in Sudan e alle cause generali che hanno portato allo scoppio del conflitto.

    La rivista Limes, nell'articolo "Prove di guerra per procura (anche) in Sudan", afferma che "lo scontro in atto nel paese africano è un tassello della tumultuosa transizione verso un nuovo ordine mondiale". Sarebbe più corretto dire nuovo disordine mondiale. Cina, Russia e Stati Uniti hanno interessi nel paese e sono presenti, mentre Onu e Unione Europea sono politicamente assenti. Il Sudan ha una popolazione di 48 milioni di abitanti, è il terzo paese più popoloso del continente africano e ha un'estensione di oltre 1,8 milioni kmq (circa 6 volte l'Italia). Ha una posizione geopolitica importante, poiché si affaccia sul Mar Rosso in un tratto che collega i paesi arabi con quelli africani, e per la disponibilità di materie prime (acqua, petrolio, oro). Non è troppo distante da Gibuti, dove ci sono le basi militari di Italia, Cina, Francia, Stati Uniti, Giappone, Arabia Saudita. Pochi mesi fa aveva dato il via libera alla costruzione di una base navale russa sul proprio territorio.

    Secondo l'Espresso, "la guerra in Sudan rischia di far collassare l'Africa". Nell'articolo "Marasma sociale e guerra" avevamo visto che già nel 2011 diversi paesi (Egitto, Siria, Libia) erano stati travolti da moti di piazza, in alcuni casi evoluti in guerra civile. A partire dal 2019, il Sudan è stato teatro di manifestazioni di massa che hanno contribuito alla cacciata del presidente Omar al-Bashir, al potere da oltre trent'anni, e poi di un golpe dell'esercito che però non ha risolto la situazione. In un quadro di instabilità generale proliferano le guerre civili. Esse diventano endemiche in quanto le cause che le generano sono molteplici: migrazioni, siccità, crisi economiche e politiche, mutati assetti internazionali.

  • Pensare l'impensabile

    La teleriunione di martedì sera, connessi 19 compagni, è iniziata con l'analisi delle recenti manifestazioni in Israele e in Francia.

    Nello Stato d'Israele, dove le mobilitazioni vanno avanti da circa tre mesi, ufficialmente si scende in piazza per difendere l'indipendenza della Corte Suprema e il potere giudiziario, minacciati da una legge del governo Netanyahu (il Parlamento, oltre a scegliere i giudici, può annullare le decisioni della Corte). Secondo gli organizzatori delle mobilitazioni, si tratta di proteggere la democrazia israeliana, messa a repentaglio da un governo di estrema destra.

    Israele è un paese con poco meno di nove milioni di abitanti, si trova in un'area geopolitica in subbuglio e negli ultimi anni ha visto l'avvicendarsi di diversi governi. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha avvertito Netanyahu del malcontento all'interno dell'esercito in merito all'approvazione della legge, considerata un attacco tangibile allo stato israeliano. Per tutta risposta, il primo ministro ne ha chiesto e ottenuto le dimissioni, scatenando proteste di massa, l'assedio della sua residenza a Gerusalemme e il blocco delle strade principali di Tel Aviv. L'esercito israeliano è un esercito di popolo, per tal motivo la protesta ha coinvolto sia riservisti che reparti d'élite, che hanno minacciato di non presentarsi nelle caserme qualora la legge fosse stata approvata; migliaia di soldati israeliani hanno dichiarato che si rifiuteranno di prestare servizio nell'esercito, tanto che il presidente americano Joe Biden si è detto preoccupato che Israele vada verso una guerra civile. Di fronte al crescere della mobilitazione e la minaccia dello sciopero generale, il primo ministro ha annunciato il "congelamento" della riforma giudiziaria.

  • L'unica soluzione

    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 15 compagni, ha avuto come tema principale la guerra in Ucraina scoppiata circa un anno fa.

    Abbiamo iniziato la discussione analizzando le prese di posizione di alcuni militari italiani, (Leonardo Tricarico e Marco Bertolini) contrari all'invio dei carri armati prodotti in Germania. Si è quindi passati a commentare quanto scrive il generale Fabio Mini nel suo ultimo libro L'Europa in guerra (ed. PaperFIRST, 2023). Una prima considerazione da fare, leggendo i capitoli iniziali del testo, riguarda il fatto che le campagne di denuncia di leniniana memoria sono ormai sostenute dagli stessi generali dell'esercito, motivo per cui i comunisti non si possono fermare a tale livello e devono per forza andare oltre.

    In L'Europa in guerra si dice che lo svuotamento degli obsoleti arsenali occidentali, dovuto alle forniture di armi a Kiev, rende necessario il rinnovo degli armamenti e apre le porte all'adozione di nuove risorse tecnologicamente più avanzate ed efficienti. Tali equipaggiamenti, afferma Mini, sono prevalentemente americani e legano sempre più l'Europa agli Stati Uniti, paese che maggiormente investe nella preparazione e nell'impiego di forze militari. Gli alleati NATO dell'Est Europa sono le punte di lancia dell'America nel Vecchio Continente.

    Per il generale, l'Ucraina sta combattendo contro l'Europa per e con gli Stati Uniti. E l'obiettivo di quest'ultimi è mantenere l'egemonia sull'Europa e interrompere qualsiasi legame politico ed economico tra Berlino e Mosca, costringendo gli alleati a importare da loro risorse energetiche a costi più alti. In ballo c'è il controllo di un mondo che non accetta più supinamente il dominio del dollaro. Come nota l'Economist ("What Ukraine means for the world"), solo un terzo della popolazione mondiale vive in paesi che hanno condannato la Russia per l'invasione dell'Ucraina e le hanno imposto sanzioni.

Rivista n°52, dicembre 2022

copertina n°52

Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

Articoli: La malattia non esiste, parte prima - Un sistema che ingegnerizza sé stesso? - La riduzione dell'orario di lavoro non è più un tabù

Rassegna: L'ennesima conferenza sul clima - Polarizzazione crescente - Pericolose tempeste"

Recensione: Gaia, le macchine autoreplicanti e l'intelligenza collettiva

Doppia direzione: Più "avanzato" Lenin o Bogdanov? - Cooperazione e sostegno

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email