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  • Resoconto teleriunione  23 settembre 2014

Simmetrie di guerra

Durante la teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, abbiamo ripreso e sviluppato alcuni dei temi affrontati nelle recenti riunioni pubbliche di Roma e Torino sulla guerra.

La notizia del bombardamento in terra siriana da parte degli Stati Uniti si aggiunge a quelle che, ormai quotidianamente, arrivano dal Medio Oriente, soprattutto dalle fila jihadiste. Mentre i militanti dello Stato Islamico perseguono determinati la realizzazione del loro grande progetto, il Califfato, gli americani riescono finalmente a mettere in piedi una (sgangherata) coalizione anti-IS. Al di là delle dichiarazioni di allenza dei vari paesi, sembra però che l'unico intento condiviso nella coalizione sia quello di lasciare ai curdi la patata bollente dello scontro a terra, pur senza garantire loro la creazione dello Stato curdo. D'altronde, l'imperialismo ha bisogno di partigiani: che si arruolino e combattano in prima linea (visto che non ha soldati a sufficienza da schierare sul campo) o che "da casa" facciano propaganda a favore di un fronte borghese contro l'altro. Che dire quindi del fascino esercitato dalla resistenza curda e dagli altri movimenti guerriglieri sui sinistri nostrani?

La guerra va di pari passo con lo sviluppo delle forze produttive. Lo dimostra l'elevata tecnologia militare messa in campo dalla coalizione targata Usa, a cui il Califfato ha risposto, stabilendo così una simmetria delle forze in gioco, con un'estrema capacità di movimento. Gli islamisti dispongono infatti di un vero e proprio esercito, che occupa le città e, quando viene attaccato, è capace di disperdersi per poi ricompattarsi in un altro luogo. L'estrema mobilità dell'IS, la sua organizzazione a rete, rappresentano un grosso problema per gli americani, i quali in ultima istanza saranno costretti a scendere a terra inviando truppe per controllare il territorio.

Al tempo delle guerre in Iraq o in Afghanistan, i Neocons teorizzavano una guerra "infinita" contro i cosiddetti paesi canaglia per instaurare la democrazia. Oggi sembra invece che gli americani non abbiano un progetto a lungo termine e tantomeno le idee chiare sul da farsi. Stupisce che ancora non abbiamo rispolverato la vecchia teoria dello "scontro di civiltà", tratta dal famoso libro di Samuel P. Hungtinton, per dare un minimo di inquadramento degli eventi in corso; il Califfato ben si presterebbe ad un'operazione ideologica di questo tipo. Lo scontro in atto è, ovviamente, guerra entro la civiltà capitalista, in cui l'IS, superando il misticismo di Al-Qaeda, controlla importanti pozzi petroliferi, retribuisce i suoi soldati, fa proselitismo in Asia.

Roberto Vacca, in un suo testo (Rinascimento prossimo venturo), espone un'analisi sistemica del terrorismo e sostiene che se esso da "romantico", quindi stupido e incapace di arrecare gravi danni, diventasse intelligente, allora gli stati si troverebbero di fronte ad una situazione davvero difficile. Se con l'attacco alle Torri gemelle Al-Qaeda propagandava la nemesi contro il nemico, la vendetta simbolica contro gli infedeli, con gli attentati ai treni in Spagna e alla metropolitana di Londra, importanti hub logistici, il terrore si generalizza e comincia ad insinuarsi nella quotidianità degli individui, generando apprensione e panico, senza che si possa far nulla per contrastarlo. Il meccanismo poi si ripete, accrescendosi, con la notizia dell'arresto di un gruppo di jihadisti che, in seguito all'adesione dell'Australia alla coalizione anti-IS, progettava di rapire cittadini australiani per ucciderli. La simmetria in guerra deriva anche dalla capacità di far paura al nemico, mettendolo sotto pressione e facendogli letteralmente perdere la testa.

Ci troviamo nel bel mezzo della Quarta Guerra Mondiale e non serve a nulla ripetere pappagallescamente le solite formule. Di fronte al marasma sociale ed alla guerra endemica viene in mente, ad esempio, la parola d'ordine "o passa la guerra o passa la rivoluzione". Ogni conflitto oggi si configura immediatamente su un piano unitario, accorpando il fronte politico, militare e sociale. Vale perciò sempre meno l'indicazione della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, perché quest'ultima c'è già ed è in corso sotto i nostri occhi: nelle favelas di Rio de Janeiro o di San Paolo, dove la polizia per entrare appronta veri e propri piani di guerra contro la popolazione, o a Ferguson, in Missouri, dove per placare una rivolta è stata mobilitata la Guardia Nazionale.

Molto spesso accade, soprattutto da parte dei terzinternazionalisti, che si cerchino le cause del conflitto bellico nella necessità del capitalismo di eliminare capitale costante e variabile in eccesso. Effettivamente tale dinamica si verifica con le guerre, ma non è assolutamente pensabile che essa sia progettata a tavolino dalle borghesie. Il fascismo nasce per coinvolgere la classe operaia, non per distruggerla; mai, nell'epoca fascista o tardo-imperialista, il potere borghese si è sognato di alienarsi il proletariato. Lo sterminio di quest'ultimo e la distruzione di capitale costante nelle guerre è un fatto, ma è un prodotto della storia che precede, non certo di un fattore scatenante connesso alla volontà della borghesia. Del resto le interpretazioni volontaristiche della storia sono state abbondantemente criticate dalla nostra corrente sia nella serie del battilocchio che in articoli come i Fili del tempo intitolati: Marxismo e miseria, Lotta di classe e "offensive padronali" e Precisazioni su "Marxismo e miseria" e "Offensive padronali".

Per millenni la storia umana ha comportato società che chiamavano "uomini" sé stesse e consideravano gli "altri" non-uomini e ciò generava un atteggiamento non dissimile nel tempo rispetto a quello dei cannibali di Atapuerca. Più tardi s'è imposta la differenza economica e infine quella di classe, portatrice di una violenza più micidiale di quella antica. È plausibile teoreticamente che una società futura, basata su di un metabolismo sociale, quindi su una autoregolazione omeostatica in grado di neutralizzare le inevitabili differenze e ricondurle a contributi organici al corpo sociale, possa e sappia eliminare la violenza/guerra riservandola ai pericoli che per la specie provengono dalla natura.

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    Nell'articolo "Proletari, schiavi, piccolo-borghesi o... mutanti?", pubblicato sulla rivista n. 4 (2001), descrivevamo una serie di trasformazioni che all'epoca si potevano solo intravedere; allora, infatti, non c'erano i rider, non c'erano i clickworkers e di intelligenza artificiale si parlava poco:

    "La struttura mondiale del lavoro sociale, la socializzazione crescente della forza produttiva umana, non possono non avere effetti materiali sulle forme in cui si manifesta lo sfruttamento. Se la miseria e il sottosviluppo odierni sono fenomeni modernissimi dovuti alla distruzione irreversibile dei rapporti antichi, l'estendersi enorme di rapporti di lavoro atipici nelle aree metropolitane non devono essere considerati fenomeni di regresso: saranno anch'essi a tutti gli effetti il risultato di progresso, quindi, per definizione, riflessi del futuro sul presente in via di liquidazione continua."

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Rivista n°53, giugno 2023

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Editoriale: La guerra rispecchia la società

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