Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  17 febbraio 2015

Il capitalismo crolla?

La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, è iniziata prendendo spunto da una recente corrispondenza sul "crollo del capitalismo", ovvero sulla natura transitoria del capitalismo e sulla sua inesorabile fine. È noto che Marx per "comunismo" intendeva una dinamica in corso e non uno schema sociale da raggiungere; dovrebbe essere altrettanto noto che egli intendeva per "dinamica in corso" la liberazione degli elementi di comunismo anticipati in questa società così com'è, altrimenti ogni tentativo di farla saltare sarebbe donchisciottesco. La profonda crisi sistemica che stiamo vivendo ha smosso la terra sulla bara dello zombie ed ecco che questi è di nuovo apparso fra i viventi e blatera seminando confusione: "attenzione, è vero che il capitalismo è transitorio, ma se non si dice che verrà abbattuto dal proletariato con la conquista del potere politico sarebbe come dire che, data la fine inevitabile, è inutile agitarsi, basta aspettare che cada da sé come una mela marcia".

Se una società è intrinsecamente transitoria a causa di certe leggi ben individuate e perciò è destinata ad essere sostituita, è così e basta, i particolari della morte vengono dopo. Cioè prima vengono le inesorabili leggi, poi le modalità secondo le quali si muovono gli uomini vincolati dalle leggi stesse.

Ora, può darsi che da qualche parte Lenin abbia premuto un po' troppo l'acceleratore sulla funzione primaria del partito e sull'insurrezione come "arte", ma non si è mai sognato di trascurare le leggi del divenire sociale per fornicare con lo stupido attivismo dei facitori di rivoluzioni a comando. La nostra corrente aveva precisato caricando la dose: le rivoluzioni non si fanno, si dirigono. Aveva semplicemente detto in altro modo ciò che i "marxisti" non capiranno mai: il comportamento sociale è trattabile secondo le stesse modalità scientifiche con cui trattiamo il comportamento della materia; "sospendere" il determinismo e le leggi oggettive quando si passa dal mondo fisico a quello sociale significa precipitare nella metafisica.

La teleriunione è proseguita analizzando l'avanzata dello Stato Islamico in Libia. Il governo italiano comincia a prendere in considerazione l'idea di un'azione militare in territorio libico. L'Italia, ha affermato il titolare della Farnesina, "sta sostenendo le Nazioni unite che cercano di trovare una mediazione tra le diverse forze", ma se non fosse possibile trovare una mediazione "bisogna porsi il problema con le Nazioni unite di fare qualcosa di più. Non possiamo accettare l'idea - ha proseguito Gentiloni - che a poche ore dall'Italia in termini di navigazione ci sia una minaccia terroristica attiva". Ma prima di qualunque mossa, gli occidentali devono darsi un progetto a lungo termine, trovare degli interlocutori in loco e stringere delle alleanze. Si tratta di intervinire in uno stato esploso dove sono in piedi due governi che si disconoscono a vicenda, e dove nessuno ha intenzione di mandare migliaia di soldati per controllare il territorio. Oramai allestire governi fantoccio eterodiretti dall'imperialismo è sempre più difficile, lo sta a dimostrare il fallimento del nation building in Iraq. Le consuete strategie non funzionano più: questa è la quarta guerra mondiale, quella del collasso degli Stati.

L'IS ha preso atto di questa realtà adottando una efficace strategia comunicativa globale, le azioni terroristiche a Parigi e Copenaghen ne sono la prova.

Il governo egiziano è molto preoccupato per l'evolvere della situazione nella confinante Libia e addirittura l'università al-Azhar (uno dei principali centri d'insegnamento religioso dell'Islam sunnita) si è scagliata contro lo Stato Islamico. Bisogna inoltre ricordare la variabile indipendente rappresentata dal proletariato: gli scioperi degli operai egiziani continuano e la repressione statale non si limita a colpire i Fratelli Musulmani, colpisce anche le componenti laiche che hanno partecipato alla rivolta di Piazza Tahrir, come ad esempio il Movimento 6 aprile. La situazione sociale egiziana è talmente carica di tensione che le manifestazioni arrivano subito a un livello altissimo di violenza.

Quando le popolazioni immiserite cominciano a non avere nulla da perdere se non le proprie catene, sono costrette ad armarsi e combattere: durante la rivolta di Piazza Tahrir in molti quartieri del Cairo sono nati comitati popolari di autodifesa. In Libia le milizie hanno saccheggiato caserme e depositi e per le strade si trovano mercatini in cui si vendono le armi. Cosa può succedere allora nelle megalopoli in caso di guerra su più fronti e collasso delle infrastrutture?

Abbiamo chiuso la teleconferenza segnalando un articolo del Sole24Ore sull'aumento del debito mondiale. In totale il debito pubblico e privato del nostro Pianeta sfiora, secondo un recente studio di McKinsey, i 200 mila miliardi di dollari, pari al 286% del Pil mondiale. E non accenna a fermare la sua crescita: "Non ci sono solo la Grecia, il Giappone o l'Italia. In tutto il mondo sviluppato la bomba atomica del debito continua a diventare sempre più ingombrante. E inquietante. Lo sanno bene gli americani che ogni giorno passano da Times Square, a New York, dove c'è un grande 'orologio del debito' che indica a che livello sono gli Stati Uniti. Dal 2007 la bomba a orologeria globale è aumentata di 57mila miliardi di dollari, ossia circa 25 volte l'intero debito pubblico italiano. Di questi, quasi la metà è composta proprio da debito governativo."

Tutto è collegato, per cui il crollo di un piccolo paese come la Grecia può innescare ripercussioni sull'assetto globale del capitalismo: il famoso battito d'ali di farfalla capace di provocare un uragano dall'altra parte del mondo.

Articoli correlati (da tag)

  • Dinamiche di collasso

    La teleriunione di martedì sera è iniziata riprendendo i temi trattati durante lo scorso incontro redazionale, a partire dall'irrisolvibile problema del debito americano.

    Nella video-intervista "USA: ricorrere alla forza per sostenere l'economia non funziona più", Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea, spiega che le spese degli Stati Uniti per gli interessi sul debito hanno superato quelle per la difesa. Si tratta di un deficit colossale, condito da una situazione finanziaria in continuo peggioramento. Secondo lo storico, la tenuta del dollaro è a rischio poichè lo strumento militare non solo è inefficace, ma è ormai diventato fattore di ulteriore instabilità interna. Quando abbiamo scritto l'articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" (2003), certe analisi non erano così diffuse; oggi, di fronte ai profondi cambiamenti in atto, alcuni ambienti borghesi giungono alle medesime conclusioni. Gli USA hanno problemi di deterrenza e, di conseguenza, registrano problemi finanziari, ovvero nella gestione dei flussi di valore internazionali.

    Secondo Volpi, la divergenza esiste anche all'interno del potere finanziario americano: da un lato vi è chi è più concentrato sugli interessi nazionali, e dall'altro chi, come nel caso delle Big Three capaci di muovere migliaia di miliardi di dollari (BlackRock, State Street, Vanguard), comincia a puntare su altre monete, sul riarmo europeo, sulle criptovalute, diversificando maggiormente gli investimenti per non trovarsi impantanato in caso di crisi acuta del dollaro.

  • Guerra del passato e guerra del futuro

    Il recente attacco condotto dagli USA all'Iran è stato l'argomento principale della teleriunione di martedì sera.

    Il bombardamento ad opera delle forze militari statunitensi, condotto con aerei B-2, aveva come obiettivo la neutralizzazione dei siti iraniani per l'arricchimento dell'uranio. Concluse le operazioni militari, gli USA hanno imposto a Iran e Israele il cessate il fuoco. Il timore che Israele, in guerra da quasi due anni e con una popolazione relativamente esigua per sostenere conflitti prolungati, potesse rimanere impantanato in un nuovo fronte, ha spinto gli Americani ad intervenire.

    Se l'economia politica è nel caos, la guerra riproduce e amplifica tale situazione. Esistono più livelli di "spiegazione" di quanto accade nel mondo, a partire da quello economico e cioè dal fatto che i meccanismi di accumulazione del capitale si sono inceppati. Lo scontro tra Israele e Iran rivela delle somiglianze con quello tra Ucraina e Russia: in entrambi i casi si cerca il coinvolgimento diretto degli USA nel conflitto (Ucraina e Israele).

    L'intervento degli Stati Uniti, con tanto di probabile preavviso al nemico, è stato seguito dall'attacco iraniano alle basi americane in Qatar (anche questo preannunciato, tramite i canali diplomatici). Tutti dichiarano vittoria: gli Israeliani sostengono di aver azzerato il programma nucleare iraniano e di aver dato una lezione agli ayatollah; gli Americani affermano di aver polverizzato le capacità iraniane in tema di nucleare e di aver riportato la pace; gli Iraniani esultano per essere riusciti a colpire, più volte, il territorio israeliano. Evidentemente nessuno ha una strategia di lungo termine, tutti devono fare i conti con interessi interni ed esterni confliggenti. Sullo sfondo, va in fumo la deterrenza americana, ovvero la capacità di terrorizzare i nemici.

  • Chi fa la guerra a chi?

    La teleconferenza di martedì sera è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'evoluzione del conflitto in Medioriente.

    Israele, un paese con una popolazione di nemmeno 10 milioni di abitanti, ha mosso guerra all'Iran, che ne conta oltre 90 milioni (Teheran ha 600 mila soldati, mentre Tel Aviv 200 mila). L'attacco condotto in profondità in territorio iraniano ha richiesto un notevole lavoro di intelligence, che ha permesso l'eliminazione di generali e scienziati impegnati nello sviluppo del programma nucleare.

    In risposta all'attacco, la repubblica islamica ha lanciato decine di missili su Israele, dimostrando che il sistema per la difesa antimissile israeliano non è infallibile. Ufficialmente, l'operazione contro l'Iran mira a impedire che il paese raggiunga la capacità di costruire armi nucleari, mettendo a rischio la deterrenza esercitata da Israele nell'area.

    A differenza del mondo dominato dal condominio USA-URSS, un assetto che aveva trovato una sua stabilità nonostante l'alto numero di guerre "fredde" e morti (250 milioni), ora siamo precipitati in una fase di disordine globale. Dall'equilibrio del terrore si è passati al terrore dell'equilibrio economico, commerciale, militare, sociale. Lo scontro in Medioriente coinvolge, in maniera più o meno diretta, tutti gli attori mondiali: dai paesi dell'area mediorientale agli USA, dalla Russia fino alla Cina.

Rivista n°57, luglio 2025

copertina n° 57

Editoriale: Illusioni capitalistiche / Articoli: Ideologie di un capitalismo che nega sé stesso - Insiemi, modelli, previsione / Rassegna: Crisi americana, crisi globale - Leone XIV / Recensione: La catastrofe ed il rattoppo / Doppia direzione: Collegamenti a non finire / In memoria di Jacques Camatte

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email