Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  5 marzo 2019

Africa, marasma sociale e lotta di classe

Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 14 compagni, abbiamo ripreso l'articolo "Imperialismo in salsa cinese", pubblicato sul numero 44 della rivista, e in particolare il capitolo "Le mani sull'Africa".

Il continente africano misura 30 milioni di km/q ed è formato da 54 stati che contano circa 1,2 miliardi di abitanti, una popolazione molto giovane e in costante crescita. Ciononostante, i maggiori media occidentali di rado si occupano delle vicende africane, se non in occasione di guerre particolarmente cruente o in relazione ai flussi migratori. Invece, quel territorio ha un'importanza strategica per molti paesi, a cominciare dalla Cina, che da tempo lì sta costruendo porti, strade e ferrovie.

Comunque sia, gli investimenti cinesi non saranno mai sufficienti a far diventare l'Africa una valvola di sfogo per il sistema capitalistico in crisi cronica di sovrapproduzione. Pechino investe in infrastrutture, acquista compagnie petrolifere ed estrattive africane, ma se mai dovessero sorgere nuove industrie esse sarebbero ultramoderne e automatizzate, rispecchiando il livello massimo raggiunto dai paesi a vecchio capitalismo. L'accoppiata capitali cinesi e risorse naturali africane potrebbe sembrare vincente, in realtà prepara situazioni esplosive sia a livello geopolitico che a livello ecologico. Pensiamo all'interscambio di persone tra Cina e Africa, che per ora è rappresentato da qualche decina di migliaia di studenti e operai africani che vengono addestrati in Cina, e da tecnici e operai cinesi che vengono mandati a lavorare in Africa: i numeri sono bassi rispetto al numero delle popolazioni in gioco (Cina e Africa messe assieme fanno quasi 3 miliardi di persone), ma in costante aumento.

Non poteva mancare una riflessione su quanto sta accadendo in Algeria, uno dei massimi produttori di gas e petrolio. Il paese, che ha una storia industriale e politica importante data dalla rivoluzione anticoloniale degli anni '60, versa nelle stesse condizioni di Venezuela e Arabia Saudita in termini di struttura produttiva, essendosi affidato completamente alla rendita. Abbassandosi il prezzo delle materie prime, in primis quello del petrolio, lo stato algerino è sprofondato nel marasma sociale non riuscendo più a soddisfare le esigenze primarie della popolazione (da tenere presente che buona parte dei salariati algerini sono assunti direttamente dallo stato). Il movimento dei disoccupati ma anche altre componenti sociali come gli studenti sono scesi in piazza contro il governo Bouteflika, che si è proposto per la quinta candidatura consecutiva a guida del paese.

I prezzi di gas e petrolio sono legati alle proiezioni delle grandi agenzie economiche, che prospettano un rallentamento dell'economia mondiale nel corso del 2019. Il FMI, già all'inizio dell'anno, ha annunciato che il mondo (capitalistico) è pericolosamente impreparato rispetto ad una recessione. Di fronte ad una frenata globale, le armi a disposizione sarebbero spuntate e le munizioni esaurite, data la continua finanziarizzazione dell'economia e il giganteggiare della quantità di titoli spazzatura che non sono certo spariti dalla circolazione dopo il grande crack. Anzi, secondo l'OCSE, "nel periodo 2008-2018, la media di obbligazioni societarie emesse ha raggiunto 1.700 miliardi di dollari l'anno, contro gli 864 che si vedevano negli anni prima della crisi. Le aziende delle economie avanzate, cui fa capo la stragrande maggioranza dei bond in circolazione (79%), hanno visto crescere del 70% il volume di bond fino a superare i 10mila miliardi." ("Corporate bond, 500 miliardi rischiano di diventare 'spazzatura'", la Repubblica del 26.02.19)

Questa non è una crisi congiunturale, ma la preparazione del grande collasso. Negli Usa 7 milioni di persone hanno smesso di pagare le rate delle automobili, ricordando quanto avvenuto con la crisi dei mutui subprime nel 2008. In Cina, le stime di crescita del PIL si attestano al 6-6,5%, cifra bassissima per un paese con una popolazione di 1,2 miliardi di abitanti, la maggior parte dei quali concentrata in mostruose metropoli di decine di milioni di abitanti.

Per scorgere una dinamica nella complessa realtà sociale è necessario affidarsi a modelli scientifici. Il più delle volte questi sono elaborati da centri di ricerca borghesi, ma non sono basati sul nulla, bensì su dati raccolti nella società, messi in sequenza e fatti interagire tra di loro. E sono modelli che inesorabilmente disegnano scenari catastrofici, perché è la situazione oggettiva del capitalismo ad esserlo. Il modello Mondo3, ad esempio, utilizzato dagli scienziati fautori del Rapporto sui limiti dello sviluppo, prendeva in considerazione cinque parametri fondamentali, popolazione, risorse minerali, risorse alimentari, produzione industriale, inquinamento; era asettico e apolitico, ma molto chiaro nel mettere in luce un certo trend: se non si fossero presi immediatamente dei provvedimenti, il processo individuato dal programma sarebbe diventato irreversibile portando ad un collasso economico. Le proiezioni della nostra corrente, fatte negli anni '50 con i dati che forniva la borghesia, davano per la metà degli anni '70 il verificarsi di una singolarità storica, per cui il capitale non sarebbe più riuscito a valorizzarsi, schiacciato dal peso della rendita. Oggi i modelli che vengono elaborati portano allo stesso risultato, ma la borghesia, classe inconseguente, non riesce a prendere nessun provvedimento pur intuendo che il sistema viaggia spedito verso il crollo.

Negli Usa Bernie Sanders ha ufficializzato la sua candidatura alle primarie del Partito Democratico americano in vista delle presidenziali del 2020, presentando un programma per un Green Deal, un piano ecologista basato su investimenti sulle fonti rinnovabili. Alcuni ipotizzano che Trump utilizzerà abilmente questa candidatura per polarizzare la sfida elettorale agitando il pericolo socialista; potrebbe non avere tutti i torti perché, come nota l'Economist ("Millennial socialism"), sembra proprio che tra i giovani americani stia prendendo piede un rinnovato interesse verso il socialismo. Il sociologo Werner Sombart, nel libro Perché negli Stati Uniti non c'è il socialismo? (1906), si domandava come mai nel paese dove il capitalismo ha raggiunto la massima espansione non vi fosse un forte movimento socialista. Secondo lo studioso ciò era dovuto al fatto che gli Usa avevano una struttura sociale meno rigida di quella europea, la terra era disponibile a buon mercato, l'ambiente era favorevole alla scalata sociale. Ma si trattava di una situazione contingente che, secondo Sombart, non sarebbe durata in eterno:

"La mia opinione è a questo punto la seguente: tutti i motivi che fino a oggi hanno frenato lo sviluppo del socialismo negli Stati Uniti sono in procinto di scomparire o essere trasformati nel loro contrario, di conseguenza, secondo tutte le previsioni, nella prossima generazione il socialismo potrà giungere nell'Unione a una piena fioritura."

Quelle che sono state cause di sviluppo del capitalismo, ad un certo momento si tramutano in cause di morte. A tal proposito, è molto probabile il ripresentarsi negli Stati Uniti di qualcosa di radicale, magari in stile Occupy Wall Street, anche perché, al di là delle mistificazione dei politici di turno, quello che è in atto nel paese non è tanto uno scontro tra ideologie, ma tra classi, tra il 99 per cento che non ha niente e l'1% che si pappa tutto.

La dinamica della lotta di classe è completamente cambiata in questi ultimi anni. Da tempo non si sente più parlare di occupazioni di fabbriche, di lavoratori incatenati ai cancelli o arrampicati sui tetti delle aziende in segno di protesta ("A tutti i lavoratori che salgono sui tetti", 2010). Ormai si tende a scendere direttamente nelle piazze e a difenderle dall'intervento della polizia. A Torino, dopo lo sgombero di un centro sociale anarchico, c'è stata la spontanea occupazione di una piazza con tanto di tendopoli. A inaugurare questa fase è stata la lotta dei precari della UPS nel 1997, a cui è seguito il movimento di Seattle; ora movimenti del genere nascono un po' ovunque (ultimamente i gilets jaunes in Francia), basando la propria azione non su rivendicazioni di tipo classico ma sullo scontro contro lo Stato.

La battaglia per l'organizzazione immediata territoriale contro l'organizzazione per cellule di fabbrica fa parte della storia della Sinistra Comunista "italiana" ("Prendere la fabbrica o prendere il potere?", 1920; "Il pericolo opportunista e l'Internazionale", 1925). Oggi tocchiamo con mano la validità di quella battaglia, poiché la dinamica capitalistica libera incessantemente il proletariato da tutti quei vincoli che lo tengono legato alla presente forma sociale, a cominciare dal posto di lavoro ("Diritto al lavoro o libertà dal lavoro salariato?", 1997). Il fatto che le nuove generazioni non abbiano più a che fare con il sistema di garanzie di novecentesca memoria, rappresenta un fattore positivo in termini di avanzamento della rivoluzione: i senza riserve saranno costretti sempre più ad organizzarsi sul territorio, coordinandosi in rete, senza leader e senza illusioni riformiste.

Articoli correlati (da tag)

  • La vita è un processo simbiotico

    La teleriunione di martedì sera, connessi 18 compagni, è iniziata con il commento del filo del tempo "Superuomo, ammosciati!" (1953).

    Nel testo si critica la base su cui si fonda l'ordine sociale borghese ovvero l'Individuo, quell'Io presunto motore della storia umana. Personaggi storici d'eccezione, come Giulio Cesare e Napoleone Bonaparte, hanno catalizzato molta più attenzione rispetto a quella che meritavano le falangi romane o, nel caso della Rivoluzione francese, gli anonimi combattenti del "popolo". Da materialisti rifiutiamo il culto dei grandi uomini, dei cosiddetti "fuori classe":

    "Come lo Stato, anche questa 'forma' del capo, ha una base materiale e manifesta l'azione di forze fisiche, ma noi neghiamo che abbia funzione assoluta ed eterna: stabilimmo che è un prodotto storico, che in un dato periodo manca; nacque sotto date condizioni, e sotto date altre scomparirà."

    L'origine e la funzione del "battilocchio" sono da individuare in un preciso contesto storico, in un determinato stadio di sviluppo delle forze produttive. Esso si afferma in seguito alla nascita della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (Engels). Al pari dello Stato, anche l'Io di eccezione dovrà estinguersi o, come afferma Lenin, assopirsi. L'Individuo, esaltato dall'attuale forma sociale, è massificato e influenzato dal consumismo come non mai.

  • Immobiliare cinese, debito e policrisi

    Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, abbiamo ripreso l'argomento trattato nella scorsa riunione, ovvero l'aggravarsi della situazione economica cinese.

    Il Corriere della Sera ha pubblicato una serie di dati sulla Cina da cui risulta che le amministrazioni locali delle province del paese hanno accumulato debiti per finanziarie il settore immobiliare e la costruzione di nuove infrastrutture ("Cina, il debito 'nascosto' che minaccia l'economia: le province esposte per 8.000 miliardi", Francesco Bertolino). Se alla cifra raggiunta dall'indebitamento pubblico (che ammonta a circa il 300% del PIL, circa 4700 miliardi di euro), si aggiunge quella relativa al governo delle province, vengono superati gli 8000 miliardi di euro. Ad essere in difficoltà non sono solo le amministrazioni locali e le famiglie, ma anche le banche, dato che sono state proprio queste a finanziarie il boom del mattone. Alcuni esperti fanno notare che il sistema finanziario cinese è chiuso e perciò ritengono che le conseguenze dello scoppio di una bolla immobiliare rimarrebbero circoscritte all'interno dei confini nazionali. Sappiamo, invece, che i legami e le interconnessioni economiche e finanziarie della Cina hanno un respiro globale. I conglomerati immobiliari cinesi sono indebitati con Wall Street, e la Cina, dopo il Giappone, è il maggior acquirente di titoli di stato USA; una crisi finanziaria cinese avrebbe ripercussioni sul debito americano e su tutti i suoi rapporti commerciali (ad esempio quelli con la Germania che esporta molto verso il gigante asiatico). Come dice l'economista Larry Summers, il "superciclo del debito", che ha colpito gli Stati Uniti nel 2008 e qualche anno dopo l'Europa, sta ora sferrando un duro colpo alla Cina.

  • Crepe nell'Impero Celeste

    La teleconferenza di martedì sera, presenti 18 compagni, è iniziata commentando la situazione economico-finanziaria della Cina, a partire dal possibile scoppio della bolla immobiliare.

    Quanto successo nelle ultime settimane, tra cui le difficoltà del colosso Country Garden ma non solo, conferma quanto andiamo sostenendo da anni circa la raggiunta senilità della Cina. Ora se ne accorgono anche i borghesi, in particolar modo l'Economist che nell'edizione del 26 agosto ipotizza una "giapponificazione" (bassa crescita e deflazione) della economia cinese ("China's economy is in desperate need of rescue"). L'immobiliare è diventato un settore strategico, rappresentando il 30% del PIL cinese; l'enorme bolla speculativa è dovuta al fatto che il capitale ha cercato di valorizzarsi nella costruzione ex novo di decine di città, rimaste poi abbandonate. Secondo la banca Morgan Stanley, dal 2010 al 2020 il gigante asiatico ha costruito più di 140 milioni di unità abitative, e in soli tre anni ha prodotto una quantità di cemento che potrebbe trasformare la superficie della Gran Bretagna in un parcheggio; non pago, ha costruito città fantasma anche in Africa.

    Secondo il Wall Street Journal il boom cinese è finito da tempo. La domanda di nuove abitazioni nelle città ha raggiunto il suo picco e i problemi di natura economica si assommano a quelli derivanti dalla disoccupazione giovanile, dall'invecchiamento della popolazione e dal calo degli investimenti esteri. Al pari dei paesi a vecchio capitalismo, la Cina installa robot nelle fabbriche e investe in intelligenza artificiale, e quindi si trova di fronte alla diminuzione relativa della produzione di plusvalore. Il gigante asiatico ha bruciato rapidamente le tappe capitalistiche passando in pochi anni da una crescita impetuosa a un altrettanto veloce declino.

Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
La guerra è già mondiale

Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email