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  • Resoconto teleriunione  12 marzo 2019

L'industria della disoccupazione

La teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata commentando le ultime notizie in merito all'applicazione del Reddito di Cittadinanza (RdC) in Italia.

Il governo ha fissato alcuni criteri per l'avvio della misura economica, tra questi ci sono l'erogazione di 780 euro mensili per chi vive da solo e in affitto, e l'obbligo, per i Centri per l'Impiego, di proporre ai percettori del reddito un'occupazione che preveda un salario di almeno 858 euro. Nel frattempo pare che il conflitto tra Anpal e Regioni riguardo i navigator sia stato risolto: saranno 3 mila coloro che dovranno impegnarsi a trovare un lavoro alle centinaia di migliaia di senza riserve. Un compagno ha segnalato l'articolo "Quarantamila posti di lavoro per (non) trovare lavoro agli altri" di Sergio Rizzo, pubblicato su Repubblica il 10 marzo scorso, in cui vengono ricordate, oltre ai navigator, tutte quelle figure professionali impiegate presso i centri di formazione, le agenzie regionali, ecc., per la gestione dei senza lavoro. Si tratta, in media, di 1 addetto ogni 150 disoccupati, una quantità enorme di "risorse umane" che dovrebbero occuparsi del problema della disoccupazione per risolverlo, e invece vivono grazie ad esso.

Per ora le domande per il RdC si aggirano intorno a quota 500 mila e, al contrario di quanto pronosticato dagli osservatori borghesi, che prevedevano un boom nel Sud Italia, è la Lombardia a posizionarsi ai primi posti per numero di richieste. Gli economisti ragionano in termini di costi economici (quanto costeranno i controlli, quanto il sussidio potrà influire sui consumi, ecc.), ma in realtà bisognerebbe interrogarsi sulla quantità di energia sociale necessaria a mantenere in piedi il baraccone capitalistico ("Capitale e teoria dello sciupio"). In effetti la borghesia potrebbe risolvere in maniera meno dissipativa il problema disoccupazione, erogando un reddito di base incondizionato ed evitando il caos legato alle assunzioni dei navigator, all'obbligo di frequenza di inutili corsi di formazione o di lavorare a centinaia di chilometri da casa. Ma evidentemente esistono forti blocchi ideologici che impediscono alla classe dominante di superare la paura del "divano": "L'idea che il povero possa oziare ha sempre urtato i ricchi", diceva Bertrand Russell nella raccolta di saggi intitolata Elogio dell'ozio (1935).

Nell'articolo "L'outsoucing globale" abbiamo analizzato la crescita del fenomeno dell'esternalizzazione, tipico del capitalismo ultramoderno, notando che riguardo ad esso alcuni economisti borghesi hanno lanciato severi moniti, paventando gli effetti futuri di un'economia improduttiva che si auto-alimenta e cresce su sé stessa autonomizzandosi completamente. Se non vuole suicidarsi come classe, la borghesia in qualche modo deve aumentare la propensione marginale al consumo, misure di sostegno al reddito sono state adottate in molti paesi, per farsene un'idea basta andare sul sito Basic Income Network Italia. Il sindacato a sua volta, se facesse il proprio mestiere e cioè difendesse le condizioni di vita di occupati e disoccupati, dovrebbe incalzare il governo e fare in modo che il reddito sia il più universale possibile e sganciato dall'obbligo al lavoro; al contrario, le organizzazioni sindacali sono occupate a chiedere investimenti produttivi per far ripartire le assunzioni. Nei fatti, ci troviamo in un sistema che non ce la fa più ad accumulare, perché c'è troppa produzione, troppo capitale, troppa appropriazione privata di fronte all'esplodere della produzione sociale. E soprattutto perché ci sono salari troppo bassi ("Capitalismo che nega sé stesso").

Guai a quella società, diceva Marx, che invece di sfruttare i propri schiavi è costretta a mantenerli. E sappiamo che se anche questo governo dovesse cadere, il successivo non potrebbe fare a meno di mettere in piedi una qualche forma di sostegno al reddito perché ormai centinaia di migliaia di persone lo pretendono. Se passa l'idea che è lo Stato che deve mantenere i senza riserve, allora tale misura diventa un "diritto" che spetta a chi ne ha i requisiti.

L'orizzonte con cui dovrà misurarsi l'attuale classe dominante è quello del reddito di base incondizionato, come sostiene Philippe Van Parijs nel saggio Il reddito di base. Una proposta radicale. I governi non riescono ad affrontare di petto la questione dato che il sistema del lavoro salariato è basato sull'obbligo a lavorare per vivere e scardinare questo vincolo non è semplice. Il tema del RdC è dunque rivelante e merita di essere approfondito, anche perché l'avvio di questa misura su larga scala potrebbe svolgere una funzione ricompositiva in termini di classe: se i disoccupati che percepiscono il RdC si organizzassero per mettere in discussione le clausole lavoriste imposte dal governo, la controparte contro cui scagliarsi non sarebbe più il singolo capitalista ma direttamente lo Stato. Marx ed Engels affermano che quando inizia una lotta generalizzata per imporre una legge per la riduzione dell'orario di lavoro o per l'aumento dei salari, ciò porta la lotta economica a passare sul piano politico, a diventare lotta di classe. I senza riserve, sparpagliati e atomizzati, non hanno nessun potere, ma coordinati possono diventare una massa d'urto tremenda.

Di crisi ce ne sono state tante in questi ultimi decenni. Per esempio nel 1929, quando è iniziata la Grande Depressione che ha investito per primo chi aveva prestato denaro all'industria per il tramite della finanza. O nel 1987, quando nel giro di una settimana grandi masse di capitali si riversarono in azioni sui minerali nella borsa di Chicago, scatenando in tutti l'impressione che stesse per succedere qualcosa. Il 19 ottobre di quell'anno, il cosiddetto "lunedì nero", fu una giornata esemplare dal punto di vista del comportamento dei mercati azionari: in un solo giorno Wall Street perse il 23% del suo valore, Tokio scese del 15% e Hong Kong dell'11%. Eppure dopo pochi mesi era come se non fosse successo nulla, non era stato eroso capitale da investimento ed il sistema nel suo insieme non ne aveva sofferto, bruciando principalmente capitale fittizio: dal 1929 ad allora l'economia si era finanziarizzata e il legame con l'industria si era fatto sempre più sottile. Scenari simili avverranno nel prossimo futuro, solo che oggi esistono più di due milioni di miliardi di dollari in soli derivati, senza contare bot, investimenti statali, azioni, ecc. Al prossimo crack non sarà bruciata solo una certa quantità di carta o di bit, ma esiste il rischio che ad esplodere sia tutto il sistema del capitale fittizio, con effetti catastrofici per il resto dell'economia. Scrive Il Sole 24 Ore in un articolo del 6 dicembre 2018 a firma Antonella Olivieri:

"Il valore nozionale dei derivati in circolazione a livello mondiale potrebbe sfiorare la strabiliante cifra di 2,2 milioni di miliardi di euro, vale a dire 33 volte il Pil mondiale e quattro volte tanto quello che si pensava finora, amplificando in modo allarmante il rischio sistemico di prodotti per loro natura interconnessi. Rischio che ancora sfugge in gran parte ai tentativi di controllarlo. Basti pensare che la stessa regolamentazione di vigilanza bancaria è tuttora concentrata più sui rischi di credito tradizionali che sui rischi connessi all'innovazione finanziaria che - vedi il caso dei mutui subprime Usa - hanno dimostrato di essere in grado di seminare recessione su scala globale."

In chiusura di teleconferenza si è accennato alle ultime notizie sulla Via della Seta che vede coinvolta anche l'Italia, ed in particolare i porti di Trieste e Venezia. Roma è l'unica capitale europea ad avere rapporti così stretti con Pechino, provocando le reazioni dell'UE e degli Usa. Oggi le alleanze si fanno fluide e la situazione mondiale è sempre più schizofrenica: Europa e Stati Uniti comprano merci cinesi trasferendo in Cina capitali che i cinesi utilizzano per acquistare fabbriche e porti in Occidente. Il pianeta è piccolo e sempre più affollato.

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    Nel testo si descrive come, fino al XIX secolo, lo scontro avviene principalmente nell'ambito della circolazione, dato che lì si trovano i beni necessari alla riproduzione. Successivamente, soprattutto con l'entrata in scena del proletariato, si rafforzano le forme di lotta più organizzate, le rivolte combaciano con gli scioperi, e il conflitto si manifesta per la maggior parte con l'interruzione organizzata del lavoro. A partire dalla fine degli anni 60' del secolo scorso, le forme di scontro si fanno sempre più incontrollabili (vedi riot negli USA): finita l'epoca di crescita industriale del capitalismo, l'accumulazione avverrebbe nella sfera della finanza, almeno nei paesi a capitalismo avanzato, dando così inizio ad una fase di espulsione della forza lavoro dalla produzione. Con lo scoppio della crisi industriale, gli afroamericani sono i primi a trovarsi alle prese con seri problemi di sopravvivenza e le rivolte, che assumono apparentemente una connotazione razziale, riguardano in realtà le condizioni di milioni di proletari. La seconda fase della rivolta, o rivolta prime, come la chiama Clover, si pone quindi direttamente in conflitto con lo Stato, poiché esso dispone di strumenti di repressione e controllo che le società precedenti non avevano, raggiungendo livelli di sofisticazione mai visti prima. Gli scioperi moderni toccano la circolazione di uomini e soprattutto di merci, dal trasporto aereo ai treni, dalla logistica ai petroliferi. I gilet jaunes, ad esempio, a partire dal 2018 hanno occupato le principali vie di comunicazione bloccando autostrade e rotatorie. La logistica connette il tessuto produttivo ed è fondamentale nell'epoca del just in time e della produzione senza magazzino.

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