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  • Resoconto teleriunione  14 gennaio 2020

Lotta contro la guerra, lotta contro il capitalismo

La teleconferenza di martedì sera, connessi 13 compagni, è iniziata parlando di quanto accade in Iran.

Come avevamo detto nella scorsa teleconferenza ("La guerra nel mondo globalizzato esiste sempre"), non è "scoppiata" nessuna particolare guerra tra America e Iran, per la semplice ragione che quest'ultimo paese non ha i mezzi per rispondere alla potenza militare degli Usa; l'attacco dell'8 gennaio alle basi irachene che ospitano anche i militari Usa, non solo ha causato pochi danni, ma secondo alcune fonti giornalistiche sarebbe stato annunciato preventivamente alle autorità locali. Abbattendo il volo ucraino con 176 passeggeri a bordo, l'Iran ha compiuto un grande errore militare, scambiando un aereo civile per un velivolo nemico. In seguito a questa tragedia, gli studenti iraniani hanno manifestato contro il governo e i vertici del regime islamico, in primis contro l'ayatollah Khamenei. Dopo la rivolta di novembre dello scorso anno, repressa nel sangue dalle forze di polizia, la propaganda di regime degli ultimi giorni descriveva una società compatta contro il nemico americano, ed invece le proteste sono tornate mostrando un fronte interno tutt'altro che pacificato.

La cosa importante del presente "ciclo" di manifestazioni in Libano, Iraq, Cile, Francia, Iran, e in ultimo Martinica e Guadalupe, è il fatto che i manifestanti prendono di mira il proprio governo, la propria borghesia, arrivando alla conclusione che il nemico è prima di tutto in casa.

In piazza Tahrir, a Baghdad, viene pubblicato da mesi un giornale per neutralizzare le fake news fatte circolare dai media ufficiali. Il nome è Tuk Tuk, in onore dei conducenti di veicoli a tre ruote che nelle proteste di ottobre fungevano da autoambulanze e da mezzi di trasporto per i manifestanti, attirandosi le attenzioni dei cecchini.

Quando si producono terremoti sociali di grandi dimensioni, come quello avvenuto recentemente in Iraq, è naturale che emergano processi di autorganizzazione, che nel caso di Baghdad hanno portato alla pubblicazione di un giornale della piazza. Come scritto in un vecchio articolo di Programma (n. 3 del 10 febbraio 1961): "Non l'organizzazione fa nascere la lotta; al contrario, è la lotta che genera l'organizzazione."

Lo scontro tra le classi libera energie che prima non trovavano modo di diventare cinetiche. Queste energie producono nuove forme organizzative, nuovi organismi sociali, nuove strutture. L'abbiamo scritto nell'articolo "Occupy the world togheter": sull'onda del marasma sociale globale, per forza di cose devono maturare una pratica e un linguaggio comune. Un organismo politico che abbia come obiettivo la conservazione della linea del futuro di una classe che abolirà tutte le classi, deve avere la capacità di autosostenersi e di veicolare autonomamente la propria informazione, e si evolve filtrando, aggiungendo ed eliminando informazione a seconda delle esigenze. Occupy Wall Street è stato un cyborg in grado di assorbire informazione, di selezionarla, di utilizzarla o di ignorarla. Qualcosa di simile si riproporrà (si sta riproponendo?) su scala globale.

Un compagno ha segnalato l'intervista ad un giornalista iraniano, pubblicata sul Corriere della Sera, che conferma che in Iran sono le mezze classi proletarizzate il nerbo delle attuali proteste contro il regime:

"Persone che non fanno capo a nessuna organizzazione, non hanno intenzioni violente, ma non possono più sopportare lo stato attuale delle cose. Dopo dieci anni, prende forma qualcosa di cui solo la classe media iraniana è capace: un cambiamento lento ma radicale. Si è accesa una rabbia profonda per le bugie, i sotterfugi, l'incompetenza del governo incapace di difendere le vite dei cittadini."

Marx nella lettera ad Annenkov (1846) afferma che "la piccola borghesia sarà una parte integrante di tutte le rivoluzioni sociali che si stanno preparando."

L'Iran è un paese capitalistico con una sovrastruttura statale pre-feudale, e tale situazione non può durare a lungo: l'involucro non corrisponde al suo contenuto. È dal 1979 che alcune frange della società iraniana chiedono agli americani di essere "liberate" dal pretume nero. Tuttavia, le mezze classi e gli studenti sono storicamente ininfluenti; l'unico elemento in grado di scardinare il regime, e non solo quello clericale, è il proletariato. Come scritto nel quaderno di n+1, "Quale rivoluzione in Iran?", solo la rivoluzione proletaria può spazzare via i vecchi orpelli democratici e religiosi facendo fare un passo in avanti alla società.

Anche in India sono in corso importanti mobilitazioni, come lo sciopero generale di mercoledì 8 gennaio contro il governo di Narendra Modi, che si stima abbia coinvolto 250 milioni di lavoratori. Tra le richieste figurano l'aumento del salario minimo e delle pensioni. Il paese non riesce più a mantenere un certo trend economico, e difatti il 2019 si è chiuso con una crescita del 5%: numeri che farebbero gola agli europei, ma che per il colosso asiatico rappresentano i più bassi degli ultimi 10 anni. Ciò ha portato ad un boom della disoccupazione, salita all'8% in un paese con 1,3 miliardi di abitanti.

In Francia, il ritiro da parte del governo del punto più discusso della riforma, l'innalzamento a 64 anni dell'età pensionistica, è una mossa politica che mira a dividere le organizzazioni sindacali. L'intervento di Macron riguardo la violenza delle forze dell'ordine, con l'invito ai poliziotti a mantenere una certa "deontologia" dati i "comportamenti inaccettabili" da parte di alcuni agenti, è volto a stemperare la tensione. Ma non bastano certo le parole a far tornare indietro la ruota della storia. In Cile, continuano le mobilitazioni nonostante i veicoli dei carabinieri spruzzino contro i manifestanti un liquido con agenti chimici che provoca gravi ustioni. Al tempo del movimento Occupy Gezi Park, gli idranti usati dalla polizia turca contenevano sostanze urticanti. Oramai, l'ideologia pacifista non ha più la presa che aveva al tempo degli indignados, essendo stata superata dalla materiale dimensione dello scontro di piazza. La dialettica cannone/corazza, descritta da Engels, costringe sia le forze dell'ordine che chi scende nelle strade ad alzare il livello di scontro, e ciò significa che vi è un'escalation sociale. In Iran, durante la rivolta dello scorso novembre, alcuni gruppi di manifestanti hanno assaltato le caserme appropriandosi delle armi.

In Italia fa discutere il rapporto Eurostat che analizza il divario della ricchezza tra le fasce sociali: il 20 per cento della popolazione percepisce un reddito fino sei volte superiore al restante 80%, facendo segnare un record negativo rispetto agli altri paesi europei. Nel suo ultimo film, "Sorry We Missed You", il regista Ken Loach affronta la condizione lavorativa dei driver, gli autisti iper-sfruttati impiegati dai colossi della logistica, accendendo i riflettori sul mondo del lavoro d'oggi. Pochi giorni fa c'è stato il decimo anniversario dalla rivolta "nera" di Rosarno, quando i braccianti africani che raccoglievano arance per pochi euro al giorno si rivoltarono contro tutto e tutti. L'area interessata dalla rivolta fu abbastanza circoscritta (la piana di Gioia Tauro), mentre oggi l'economia dei lavoretti (gig economy) è estesa a tutta la società e riguarda milioni di persone.

Data questa situazione, sempre più lavoratori (immigrati e autoctoni) saranno costretti a organizzarsi fuori dai vecchi schemi sindacali, perché è sempre più chiaro che le nuove generazioni non hanno nulla da perdere fuorché le loro catene. Rosarno, Marikana (Sudafrica) e la rivolta delle banlieue del 2005 hanno anticipato scenari di lotta aperta, senza regole, classe contro classe.

In chiusura di teleconferenza, abbiamo accennato al caos che regna in Nordafrica. L'Unione Europea sta preparando una missione militare in Libia che prevede una forza di interposizione tra le milizie di Haftar e quelle di Serraj. Per l'Italia si tratterebbe di riproporre il "modello Libano"; il rischio però è che per difendere gli interessi energetici e per contenere il caos i "caschi blu europei" finiscano per impantanarsi in un contesto di guerra civile diffusa. La guerra per procura vede coinvolti in Libia, direttamente o indirettamente, gli Usa, l'Europa (Francia in primis), la Russia, l'Egitto, l'Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia. Tutti gli stati fanno i propri interessi e cercano di ampliare la propria influenza nella regione, ma allo stesso tempo acuiscono le situazioni di marasma sociale e guerra. Così come lo sviluppo della composizione organica del Capitale (l'aumento della quota di capitale costante sul capitale totale investito) mina il funzionamento del capitalismo, al pari la finanziarizzazione dell'economia apre la porta ad un nuovo e più potente crack sistemico.

"Il mondo sommerso da un mare di debiti: record a 253mila miliardi, il 322% del Pil", titola il Sole 24 Ore del 14 gennaio 2020. Il grafico del debito globale presente nell'articolo del quotidiano finanziario italiano parla chiaro e descrive visivamente traiettoria e catastrofe della forma capitalistica.

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