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  • Resoconto teleriunione  7 luglio 2020

Sperimentazioni sociali

La teleconferenza di martedì, a cui hanno partecipato 18 compagni, è iniziata con la segnalazione della scoperta in Cina di un nuovo virus potenzialmente pandemico. Discendente dal ceppo dell'influenza suina, che nel 2009 causò migliaia di morti e centinaia di migliaia di contagi soprattutto in America, la nuova variante è stata individuata da un gruppo di ricercatori cinesi impegnati nel programma di sorveglianza per l'emergenza e il contrasto di nuove minacce virali. Dalle analisi effettuate è emerso che il virus ha già fatto il salto di specie (dai maiali all'uomo), mentre non sarebbe ancora in grado di trasmettersi da uomo a uomo. La notizia è rimbalzata sulle pagine dei giornali, ma in un altro periodo probabilmente se ne sarebbe trovata traccia solamente sulle riviste specializzate. Eppure è dal 2018 che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito nell'elenco delle malattie con un significativo potenziale epidemico la malattia X, ad indicare non una patologia esistente ma "la consapevolezza che una grave epidemia internazionale possa essere causata da un patogeno attualmente sconosciuto che causa malattie nell'uomo". Il modello è stato elaborato affinchè la comunità sanitaria globale sappia costruire per tempo sistemi adeguati e possa adottare tutte le misure necessarie per prevenire e limitarne la diffusione.

L'informazione non mancava. Dopo mesi dalla scoperta (ufficiale) del primo caso di Covid-19, la curva mondiale dei contagi mantiene ancora un andamento esponenziale. Stati Uniti, Brasile e India registrano decine di migliaia di contagi nelle 24 ore, e molti altri rimangono sopra i mille giornalieri. Le indicazioni che arrivano dai governanti sono spesso contraddittorie, e se da una parte spingono per una costante e severa osservanza delle misure di contenimento, dall'altra invitano ottimisticamente a lasciarsi tutto alle spalle e a riprendere la vita e i consumi di "sempre", per lo meno prima della temuta seconda ondata.

Ciò che evidentemente è mancato è stato invece un coordinamento centralizzato (fresca di oggi la notizia dell'uscita degli Usa dall'OMS entro un anno), o quantomeno di una unità di intenti, così come auspicato dall'istituto, si badi bene, mondiale preposto a questa funzione. D'altronde, siamo nel capitalismo e nel capitalismo ogni nazione fa il proprio interesse. Ma al di là delle contraddizioni dei singoli, siano essi virologi (da "il peggio deve ancora venire" al "virus ha perso forza") o politici (da "Tso a chi rifiuta il ricovero" al corale "tutti al mare"), un dato di fatto è emerso chiaramente di fronte a questa pandemia: il sistema capitalista ha creato le condizioni perché virus presenti in natura, ma quiescenti, possano evolvere scatenando patologie gravi per l'umanità. L'ammassamento di animali (vedi i grattacieli per i maiali in Cina), l'ammassamento di umani, la distruzione dell'ecosistema e del suo equilibrio, ecc., concorrono a favorire nuovi "spillover" (virus che fanno un salto di specie). Se il paragone tra il Covid-19 e l'influenza spagnola del 1918-1920 diventa ogni giorno più lecito, è anche vero che, rispetto ad allora, oggi il mondo è tutto collegato e la mobilità più elevata, con effetti e conseguenze molto più gravi. In realtà, le condizioni per rispondere efficacemente alle pandemie ci sarebbero, eppure non si può escludere del tutto l'estinzione (e perciò abbiamo intitolato un articolo dell'ultimo numero della rivista "Prove di estinzione"), sia perché nel passato questo fenomeno si è verificato per alcune specie, sia perché gravi epidemie sono già avvenute ma quando l'uomo era in rapporto bilanciato con la natura che lo circondava, al contrario di oggi. La coevoluzione è un aspetto fondamentale per gli organismi che popolano un'unità ecologica; come scrive David Quammen nel suo libro diventato in questi mesi un bestseller (Spillover. L'evoluzione delle pandemie), l'emersione di virus e la diffusione di nuove malattie ad essi collegate non sono accidenti, ma conseguenze: "[...] da un lato la devastazione ambientale causata dalla pressione della nostra specie sta creando nuove occasioni di contatto con i patogeni, e dall'altro la nostra tecnologia e i nostri modelli sociali contribuiscono a diffonderli in modo ancor più rapido e generalizzato."

Le circostanze attuali non sono dovute all'assenza di informazione, o di educazione civica, o di conoscenza scientifica, ma alle caratteristiche intrinseche dell'attuale modo di produzione, con la catastrofica impotenza degli stati nazionali e l'inettitudine della classe borghese, la quale crea un organismo poliedrico mondiale adatto ad affrontare contesti del genere, ma che non funziona.

Alla pandemia e le sue conseguenze si somma una realtà di miseria crescente, in drastico peggioramento. La Commissione Europea ha rivisto al ribasso le stime economiche per gli stati aderenti, prevedendo un calo del Prodotto Interno Lordo dell'8,7% per l'eurozona, con in testa l'Italia. Il paese, tra i più colpiti dalla crisi in termini di diminuzione delle ore lavorate e di richieste di disoccupazione, rischia una pesante recessione con una perdita dell'11,2% sul PIL. Secondo il vicepresidente della Commissione, "l'impatto economico del confinamento è più grave di quanto inizialmente previsto. Continuiamo a navigare in acque tempestose e affrontiamo molti rischi, tra cui un'altra grave ondata di infezioni". Molti sostengono che la crisi causata dal Covid-19 sarà peggiore di quella del 1929; da quella data è trascorso quasi un secolo e in questo lasso di tempo il capitalismo è maturato ulteriormente: le ricette che vennero adottate allora, oggi non possono più funzionare. Qualche mese fa il Fondo Monetario Internazionale ha approvato nuove sovvenzioni, attraverso lo sgravio immediato del debito, per 25 paesi membri del Fondo per il Contenimento delle Catastrofi, per la maggior parte africani. Si teme che la pandemia possa incidere negativamente sui prezzi delle materie prime, da cui dipende gran parte dell'economia africana, con pesanti ricadute sui bilanci di molti stati. Da segnalare anche la situazione del Libano, dove la moneta locale ha perso più del 75% del suo valore, alcuni beni di prima necessità hanno registrato un aumento del 50%, l'esercito ha diminuito le razioni di cibo per le truppe, e si sono verificati suicidi per fame.

In questa contesto caotico il proletariato sembra il grande assente. In realtà, se estendiamo il concetto ai senza riserve, vediamo che il quadro mondiale è tutt'altro che pacificato e, anzi, si fanno avanti nuove sperimentazioni sociali. Ad esempio, le zone autonome occupate nate negli Stati Uniti in seguito alle mobilitazioni per l'omicidio di George Floyd da parte della polizia. In quest'occasione i manifestanti sono passati dall'occupare la singola piazza al prendersi un pezzo di città (sei isolati nel caso di Seattle) con l'istituzione, in alcuni casi, di servizi d'ordine armati. Le zone sembra non siano state gestite al meglio, non è stato raggiunto il livello di Occupy Wall Street del 2011, e il tentativo - almeno per adesso - non è riuscito, ma queste esperienze hanno dimostrato una certa radicalizzazione politica, e che, non appena succede qualcosa di grosso, rispuntano le tende e riprendono le occupazioni.

Uno degli slogan emersi con maggior forza dal movimento di protesta americano è stato "Defund the Police". La rivendicazione, già accolta da alcuni sindaci che hanno riorganizzato il budget destinato ai dipartimenti di polizia, si è inserita nel dibattito politico e in vista delle elezioni presidenziali potrebbe rientrare nel programma dei democratici, con la speranza che la riforma del sistema di polizia (per salvaguardare i "diritti civili", come auspicato da Michelle Alexander nel libro The New Jim Crow) possa sgonfiare il movimento e spegnere la piazza. Se andiamo ad analizzare l'atteggiamento delle forze dell'ordine nelle ultime grandi manifestazioni, osserviamo situazioni in cui il livello di violenza rimane tutto sommato basso e così pure il numero degli arresti. I primi a notarlo furono alcuni giornalisti che seguivano le proteste di Hong Kong: la polizia lasciava fare i manifestanti, permettendo loro persino di occupare e vandalizzare il Parlamento. Anche negli Usa, le manifestazioni per George Floyd hanno registrato un numero relativamente ridotto di arresti con interventi delle forze dell'ordine per la maggiorparte di contenimento. In Francia, durante le mobilitazioni dei Gilets Jaunes, si sono viste dislocate sul territorio squadre di agenti capaci di agire come piccoli reparti di assalto, militarmente addestrati per la guerriglia urbana. Al di là delle situazioni locali, o delle strategie temporanee che la borghesia può adottare in specifiche situazioni (tagliare i fondi alla polizia o addestrala come un esercito urbano), rimane valida la tendenza individuata nel filo del tempo "Inflazione dello Stato": con l'avanzare del capitalismo, nell'epoca della sottomissione dello stato al capitale, l'apparato statale tende al potenziamento e al rigonfiamento delle strutture repressive per combattere il nemico più pericoloso: quello interno. Eppure, per quanto grandi saranno i suoi eserciti, nulla potranno contro la mancata accumulazione, ovvero contro la mancata valorizzazione del capitale.

L'ottimismo imperante che imperversa in questi giorni sui giornali contrasta con i catastrofici dati economici e sanitari, a livello mondiale. Sembra che passato questo brutto momento legato alla diffusione del Covid-19, ci sarà la ripresa e tutto tornerà a funzionare... come prima? Quello che sappiamo è che dal caos emergeranno strutture alternative come quelle già viste in passato, ad esempio Occupy Sandy. Le proteste per la morte di George Floyd hanno avuto immediatamente una eco globale, con manifestazioni fuori dagli Stati Uniti che hanno coinvolto migliaia di persone. Da segnalare lo sciopero dei rider nei paesi dell'America Latina, principalmente in Brasile. Come scritto nel volantino "Mille città", sono in corso tentativi di (auto)organizzazione a livello mondiale che oggi possono anche avere dei limiti, ma che allo stesso tempo danno vita a forme nuove. La condizione materiale vissuta da milioni di proletari è simile da paese a paese e produce un'esigenza internazionale di cambiamento.

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