Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  23 marzo 2021

Armi a doppio taglio

Durante la teleconferenza di martedì sera, connessi 23 compagni, abbiamo discusso dello stato attuale del capitalismo e nello specifico di quel peculiare e inarrestabile processo, ben descritto da Marx ed Engels, che spinge l'attuale modo di produzione oltre sé stesso.

La pandemia scoppiata nel 2020 ha rappresentato un fattore di forte accelerazione della crisi economica globale. Per far fronte all'emergenza, la maggior parte degli stati, indipendentemente dalla fazione politica al governo, ha adottato misure di sostegno, rispolverando politiche di intervento statale di stampo keynesiano. "La lista dei nuovi keynesiani", si legge in un articolo di Repubblica (Francesco Guerrera, 18.03.21), "include il Congresso americano, che ha appena approvato un 'Piano per Salvare l'America' da 1.900 miliardi di dollari; il Giappone, che ha un budget simile agli Usa; l'Unione Europea, che sta dispensando 750 miliardi di euro del Recovery Fund; e persino la sparagnina Gran Bretagna, che ha decretato spese di 65 miliardi di sterline (e prestiti di 355 miliardi) nei prossimi due anni." Nell'anno passato i governi hanno attivato in totale 1600 programmi di protezione sociale. Si tratta di uno stimolo fiscale enorme, pari al 13,5% del prodotto interno lordo mondiale, che insieme alle politiche intraprese dalle banche centrali ha garantito la tenuta dei mercati, nonostante le difficoltà legate alla pandemia.

Ma l'entità inedita di questo intervento economico preoccupa. In un recente articolo (19.03.21), The Economist mette in guardia dal rischio di un "surriscadamento" dell'economia. Il neo-presidente Biden ha approvato un nuovo piano di aiuti che prevede lo stanziamento di 1900 miliardi di dollari: aggiunti a quelli già erogati in precedenza, innalzeranno l'importo totale della spesa correlata alla pandemia alla cifra di 6000 miliardi dollari. Inoltre, la Federal Reserve e il Tesoro americano quest'anno verseranno circa 2500 miliardi nel sistema bancario con l'obiettivo di mantenere i tassi di interesse prossimi allo zero e di portare l'inflazione oltre il 2%. Questo massiccio incentivo alla domanda di beni potrebbe rivelarsi, secondo il settimanale liberista, un'arma a doppio taglio: se da una parte rappresenta un poderoso tentativo di evitare la trappola della bassa inflazione e dei tassi bassi (trappola in cui sono caduti Giappone ed Unione Europea), dall'altra alza pericolosamente il rischio per gli Usa di una crescita del debito pubblico, del sorgere di un problema di inflazione, e di ritrovarsi con una banca centrale la cui credibilità è messa alla prova. E' una grande scommessa, dice l'Economist, il quale riconosce la necessità di un imponente intervento statale (ma non era il mercato a regolarsi da sè?), ed allo stesso tempo ammonisce contro gli effetti che tale esperimento economico potrebbe avere, non solo sugli Stati Uniti ma, visto il ruolo centrale del Paese nel sistema finanziario globale, sul mondo intero.

In Italia invece si comincia a parlare di uno stop graduale delle misure di sostegno, a partire dalla fine dell'anno. Lo ha annunciato il ministro dell'economia Daniele Franco, senza però spiegare come verranno affrontate le problematiche relative alla solvibilità di quelle aziende e imprese che grazie al blocco hanno potuto "congelare" i debiti contratti con le banche, la cui cifra totale si aggira intorno ai 300 miliardi di euro. Il rischio è quello di dare il via ad un effetto domino che si abbatterà sul sistema creditizio, senza che nessuno possa controllarlo. Per evitare che gli istituiti di credito vengano travolti da un'ondata di crediti deteriorati, l'associazione delle banche italiane (Abi) sta facendo pressioni sul governo affinché venga concessa una nuova proroga di 12 mesi. L'Abi non è l'unica a reclamare l'allungamento delle misure di sostegno, anche i sindacati stanno chiedendo che il blocco dei licenziamenti continui. I crediti "malati" riguardano anche le famiglie (lo stop alle rate dei mutui prima casa vale fino a dicembre 2021), e la fine della sospensione dei licenziamenti graverebbe anch'essa sul sistema creditizio. Sono tutti elementi di una stessa catena, che si intrecciano e si aggravano l'uno in relazione con l'altro.

I governi mondiali si trovano in situazione davvero difficile, nella quale qualunque azione intrapresa comporta la possibilità di un inasprimento della crisi. La distribuzione a cascata di soldi (bonus, ristori, indennizzi, ecc.), indubbiamente necessaria per sostenere l'economia, sta provocando la creazione di meccanismi distorsivi del mercato. Per esempio, diventa faticoso distinguere tra le aziende zombie e quelle in salute. Nella condizione attuale qualunque cura potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio e scatenare scenari catastrofici. Mai come prima, la borghesia mostra tutta la propria incapacità a governare il fatto economico e, sprovvista di una teoria, va allo sbaraglio improvvisando alchimie finanziarie senza sbocco. Se addirittura il paladino del liberalismo, l'Economist, lancia sempre più insistentemente segnali in favore di un approccio keynesiano all'economia, vuol dire che il timore di un collasso sistemico è concreto. E non a torto, solo che è già troppo tardi.

Già oggi siamo di fronte ad un capitalismo che non si può più definire tale, nel quale il denaro è una forma fenomenica sempre più autonomizzata, in fase di transizione verso una carta elettronica. Ma non perché il denaro si sta trasformando in bit, ma perché il rapporto tra la produzione di valore che si tramuta in denaro e quest'ultimo è cambiato: la quantità di lavoro vivo incorporata nella merce è sempre più bassa. Per certi versi, siamo già in una società post-capitalista, e non solo per il livello di socializzazione raggiunto, ma per la conformazione dei rapporti sociali che si sono venuti determinando. Gli aiuti che i governi occidentali hanno distribuito precipitosamente con l'avvento della pandemia è denaro senza contropartita. Il capitalismo funziona sempre meno secondo le proprie leggi, è un sistema instabile e ingovernabile (basti pensare che la finanza si muove sui petabyte), e perciò non è strano il trovarsi in presenza di un numero crescente di anticipazioni di futuro.

L'accumulo di condizioni problematiche produce manifestazioni sempre più frequenti di tale dissesto, soprattutto dal punto di vista sociale e del malessere generale che opprime le popolazioni di tutto il pianeta. Sabato scorso, in Europa, marce anti-lockdown hanno interessato diverse grandi città dell'Unione, con manifestazioni e arresti nel centro di Londra, migliaia di persone in piazza in Germania, cortei in Svizzera, Bulgaria e Austria.

In Asia, una lunga ondata di proteste, cominciata ormai da due anni, coinvolge milioni di persone. Al di là delle motivazioni ufficiali (la difesa della democrazia e contro autoritarismi sofisticati, scrivono i giornalisti) che in India, a Hong Kong, in Myanmar, in Thailandia e in Nepal portano studenti, contadini, femministe, impiegati e operai a scendere per le strade, sappiamo che la molla delle proteste è il fattore economico e cioè l'impossibilità di vivere alla vecchia maniera. Lo dimostra il fatto che le aree colpite dalle rivolte sono proprio quelle più toccate dalla contrazione dei livelli di vita. La correlazione è evidente, e in un mondo dove un'infinita maggioranza di persone annega nella miseria e un'infima minoranza naviga nella ricchezza, le espressioni di ribellione allo status quo si moltiplicano, trovando elementi di sincronizzazione (uno su tutti, l'assenza di leader).

Quest'anno ricorre il 150° anniversario della Comune di Parigi. Nell'analisi di quell'esperienza, uno dei momenti più alti della lotta del proletariato, Engels nota che ad un certo punto la Comune non si configura più come uno stato, nella misura in cui non deve reprimere la maggioranza della popolazione ma una minoranza di sfruttatori. Per questo motivo propone di sostituire la parola stato con Gemeinwesen. Se la Comune si fosse consolidata, le tracce dello Stato si sarebbero "estinte" da sé. Ricordare questo aspetto è importante soprattutto alla luce di quanto si diceva poco sopra rispetto alla polarizzazione della ricchezza, che nei paesi a vecchio capitalismo colpisce duramente anche la classe media. Una parte dell'umanità sta arrivando materialmente, non ideologicamente, a credere che così non si può andare avanti, e che è necessario un cambiamento radicale: è su questo fatto materiale che può innestarsi un discorso sul partito rivoluzionario, il quale probabilmente non si chiamerà più così e non avrà le caratteristiche assunte con la Terza Internazionale, pur mostrando elementi di invarianza con le esperienze comuniste del passato.

Molto spesso viene da chiedersi quanto tempo ancora ci vorrà prima che questo infame modo di produzione tiri le cuoia. Nel giro di pochi anni abbiamo assistito ad una accelerazione della crisi con l'aumento di fenomeni destabilizzanti, non solo dal punto di vista sovrastrutturale ma anche strutturale. Il capitalismo per sopravvivere ha bisogno di plusvalore, che però fatica a produrre. I borghesi credono che finita l'emergenza Covid tutto tornerà come prima, ma è un'illusione perché non potranno fare marcia indietro a causa di quel processo individuato da Marx ed Engels, secondo il quale il capitalismo è costretto a negare sé stesso. Nel Manifesto è scritto che la borghesia è una classe che per esistere deve continuamente rivoluzionare sé stessa.

Questa settimana c'è stato lo sciopero ad Amazon. L'aspetto importante della vicenda è che i confederali sembrano essere arrivati alla conclusione che di fronte ad un gigante di tali dimensioni bisogna muoversi con le dovute proporzioni. In ultima analisi, la prospettiva deve essere quella di una mobilitazione internazionale, anche perché Amazon ha la capacità di rispondere a situazioni avverse spostando il traffico di merci da un hub all'altro, e da un paese all'altro. Questa stessa grande rete deve essere utilizzata anche da chi sta dall'altra parte della barricata a livello globale; tanto più la pressione sui lavoratori si fa internazionale, a maggior ragione la risposta deve essere internazionale. Questi sono fatti materiali che pongono in evidenza una verità vecchia di più di un secolo: proletari di tutti i paesi, unitevi!.

In chiusura di teleconferenza abbiamo fatto alcune considerazioni riguardo l'impronta ecologica della specie umana sul pianeta.

La produzione di antibiotici, che finiscono per sviluppare batteri resistenti (contro i quali l'industria privata fatica a mettere a punto nuovi farmaci battericidi poichè l'investimento non rende); la creazione di terrificanti allevamenti intensivi e la deforestazione di grandi aree, che favoriscono i meccanismi di spillover e l'insorgenza di epidemie; il surriscaldamento globale, che scioglie i ghiacci in Groenlandia e porta all'innalzamento degli oceani: sono solo alcune delle gravi problematiche della nostra società, alle quali la borghesia non è assolutamente in grado di far fronte. Ne è esempio lampante la pandemia in corso.

Nell'articolo "Un modello dinamico di crisi" del 2008 avevamo visto come già nel 1961 l'umanità fosse arrivata a consumare il 50% della biocapacità media del pianeta, e nel 2003 il 125%. L'impronta ecologica offre la misura di quanto s'è allargato il divario fra l'equilibrio termodinamico e la dissipazione di energia, cioè di risorse che, perdurando il sistema capitalistico, andranno irreversibilmente perdute, e delle gravi conseguenze che si potrebbero presentare.

Articoli correlati (da tag)

  • Un mondo inospitale

    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 18 compagni, è iniziata con il commento di alcune note di un compagno sul libro di Nouriel Roubini La grande catastrofe: dieci minacce per il nostro futuro e le strategie per sopravvivere.

    Il libro è forse il primo in cui nella parte conclusiva non si fa cenno a miracoli per salvare la società capitalistica da sé stessa. Già questo è un tratto interessante. Infatti, l'autore propone solo due scenari a cui deterministicamente faremo fronte: uno "distopico" e uno "utopico". Ancora una volta l'economia politica si dimostra incapace, attraverso i suoi modelli e strumenti interpretativi, di compiere un salto, a noi già noto, "dall'utopia alla scienza". Se non si riconosce il comunismo come " movimento reale che abolisce lo stato di cose presente", non si possono che raffigurare distopie e utopie rinascimentali (altro spartiacque storico). I due termini sono raffrontati senza far riferimento a un qualsiasi parametro di specie: Utopia rispetto a cosa? Distopia dovuta a? Roubini ci spiega solo che siamo in una tempesta "perfetta", perché le megaminacce ormai incombenti sono date come "strutturali"; diremo noi, connaturate all'attuale modo di produzione. Sono strutturali ma non si dà una spiegazione di questo aggettivo. Si dice, correttamente, che la complessità delle megaminacce sta nella loro sincronia e nell'interagire tra loro, difficilmente prevedibile e computabile. L'ideologia dominante comincia a proporre la sua visione cieca: è molto più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo.

    Per l'economista statunitense è sicuro che una bolla finanziaria scoppierà, l'incognita riguardo solo il quando e quanto in termini di danni provocati. Dice inoltre che bisogna tenere d'occhio l'eurozona e i suoi anelli più deboli, come Italia e Grecia, i primi che a causa di una crisi del debito potrebbero saltare, provocando un effetto domino.

  • Cicli che si chiudono

    Alla teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 20 compagni, abbiamo parlato di robot e automazione partendo da un articolo dell'Economist intitolato "Don't fear an AI-induced jobs apocalypse just yet".

    Lo scorso primo marzo, all'Investor Day 2023 di Tesla, Elon Musk ha presentato Optimus, un robot umanoide da utilizzare a casa e in fabbrica del costo previsto di 20.000 dollari. Durante il meeting è stato proiettato il video di un automa intento a costruirne un altro simile: a breve, ha dichiarato l'imprenditore sudafricano, il rapporto 1:1 tra robot e umani potrebbe essere superato.

    Se effettivamente si arrivasse a produrre un esercito di otto miliardi di robot, i problemi derivanti da tassi di disoccupazione elevatissimi non potrebbero essere tollerati dall'attuale modo di produzione, basato sul sistema del lavoro salariato. Osserva infatti Musk: "Non è nemmeno chiaro cosa sia un'economia a quel punto".

    Già oggi vi sono produzioni altamente automatizzate: lo scorso dicembre ABB, multinazionale elettrotecnica svizzero-svedese, ha aperto una mega-fabbrica di 67.000 metri quadrati a Shanghai, dove i robot producono altri robot. Ocado, il più grande rivenditore di generi alimentari online al mondo, si affida agli automi per consegnare cibo fresco a migliaia di persone nel Regno Unito; i suoi magazzini sono progettati come organismi viventi, dotati di un sistema nervoso centrale (software), un sistema cardiovascolare (nastri trasportatori) e di globuli rossi (casse). Il confine tra il mondo del nato e quello del prodotto è sempre più incerto.

  • L'unica soluzione

    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 15 compagni, ha avuto come tema principale la guerra in Ucraina scoppiata circa un anno fa.

    Abbiamo iniziato la discussione analizzando le prese di posizione di alcuni militari italiani, (Leonardo Tricarico e Marco Bertolini) contrari all'invio dei carri armati prodotti in Germania. Si è quindi passati a commentare quanto scrive il generale Fabio Mini nel suo ultimo libro L'Europa in guerra (ed. PaperFIRST, 2023). Una prima considerazione da fare, leggendo i capitoli iniziali del testo, riguarda il fatto che le campagne di denuncia di leniniana memoria sono ormai sostenute dagli stessi generali dell'esercito, motivo per cui i comunisti non si possono fermare a tale livello e devono per forza andare oltre.

    In L'Europa in guerra si dice che lo svuotamento degli obsoleti arsenali occidentali, dovuto alle forniture di armi a Kiev, rende necessario il rinnovo degli armamenti e apre le porte all'adozione di nuove risorse tecnologicamente più avanzate ed efficienti. Tali equipaggiamenti, afferma Mini, sono prevalentemente americani e legano sempre più l'Europa agli Stati Uniti, paese che maggiormente investe nella preparazione e nell'impiego di forze militari. Gli alleati NATO dell'Est Europa sono le punte di lancia dell'America nel Vecchio Continente.

    Per il generale, l'Ucraina sta combattendo contro l'Europa per e con gli Stati Uniti. E l'obiettivo di quest'ultimi è mantenere l'egemonia sull'Europa e interrompere qualsiasi legame politico ed economico tra Berlino e Mosca, costringendo gli alleati a importare da loro risorse energetiche a costi più alti. In ballo c'è il controllo di un mondo che non accetta più supinamente il dominio del dollaro. Come nota l'Economist ("What Ukraine means for the world"), solo un terzo della popolazione mondiale vive in paesi che hanno condannato la Russia per l'invasione dell'Ucraina e le hanno imposto sanzioni.

Rivista n°52, dicembre 2022

copertina n°52

Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

Articoli: La malattia non esiste, parte prima - Un sistema che ingegnerizza sé stesso? - La riduzione dell'orario di lavoro non è più un tabù

Rassegna: L'ennesima conferenza sul clima - Polarizzazione crescente - Pericolose tempeste"

Recensione: Gaia, le macchine autoreplicanti e l'intelligenza collettiva

Doppia direzione: Più "avanzato" Lenin o Bogdanov? - Cooperazione e sostegno

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email