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  • Resoconto teleriunione  30 novembre 2021

Un proletariato che non smette di lottare

La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 17 compagni, è iniziata commentando le recenti manifestazioni in Iran, dove è in corso una grave crisi idrica.

Ad Isfahan, nel centro del paese, migliaia di persone sono scese in strada e si sono scontrate violentemente con la polizia. Per evitare il diffondersi delle manifestazioni le autorità iraniane hanno subito interrotto Internet, anche nelle regioni circostanti. L'ondata di rivolte è iniziata la scorsa estate quando 60.000 lavoratori del settore petrolifero hanno incrociato le braccia per chiedere migliori salari, causando blocchi in più di 100 raffinerie. Nel 2019 le rivolte contro il carovita hanno portato a centinaia, se non migliaia, di morti, esecuzioni sommarie e arresti di massa da parte della polizia, e ad attacchi a decine di basi militari da parte dei manifestanti. La potenzialità di lotta del proletariato iraniano è fuori discussione. Nell'area, anche il Libano è scosso da manifestazioni e proteste: nel paese dei cedri, ormai fallito, la situazione economica, sociale e sanitaria è catastrofica: mancano elettricità, beni di prima necessità, gas e benzina. Si tratta di un chiaro esempio di cosa significhi il collasso di uno stato.

La crisi del Medioriente dura da decenni e continua ad aggravarsi, è quindi importante riprendere i nostri lavori sull'argomento per cogliere la dinamica storica. Il trio di paesi che ha voce in capitolo nell'area è composto dall'Iran, importante per la sua posizione strategica tra est e ovest sulla via del petrolio, dalla Turchia, piccolo paese imperialista proiettato verso l'Eurasia, e dall'Egitto, che fa da collegamento tra Nordafrica e Medio Oriente. L'Iran è un paese industriale e moderno, il cui PIL è composto per il 9.6% dai proventi del settore agricolo, per il 35,3% da quello industriale e per i 55% dai servizi (Fonte: CIA World Factbook). Il suo proletariato ha una tradizione di lotta che affonda le radici negli anni '20, quando in seguito alla Rivoluzione russa nacquero i soviet, ed è quindi costretto ad essere combattivo per ragioni storiche, come riportato nell'opuscolo "Quale rivoluzione in Iran?" (scritto in seguito ai contatti avuti con alcuni compagni iraniani dal 1983 al 1985).

L'Iran è un paese desertico ma montagnoso e va collocato tra le civiltà idrauliche, anche se non ha grandi corsi di acqua. E' infatti ancora presente il sistema di trasporto idrico dei qanat per l'irrigazione dei campi: una rete sotterranea di canali che ha reso fiorenti le civiltà arabe e persiane. Per il capitalismo, però, la manutenzione di queste straordinarie opere di ingegneria idraulica rappresenta una spesa che non porta profitto e quindi non conviene; si preferisce invece puntare sulla proliferazione di dighe, una pazzia in un paese desertico dove l'acqua evapora soprattutto se depositata in serbatoi. Così facendo, si condannano le popolazioni alla sete.

Sulla Turchia abbiamo scritto l'articolo "L'Europa virtuale e i nuovi attrattori d'Eurasia: la Turchia come fulcro dinamico", nel quale ne abbiamo analizzato il ruolo geostorico e le caratteristiche, a cominciare dall'esistenza, anche lì, di un proletariato numeroso e battagliero.

L'Egitto è un paese industriale, con una storia millenaria, che ha combattuto nel XIX secolo contro Francia e Inghilterra per ottenere l'indipendenza nazionale e lo sviluppo industriale. Prima dello scoppio della rivolta di Piazza Tahrir al Cairo, che ha portato alla caduta di Hosni Mubarak, vi sono stati imponenti scioperi nelle fabbriche. Il proletariato egiziano è abituato a lottare, anche quando sono in vigore misure d'emergenza e lo sciopero viene equiparato ad un atto di terrorismo.

Il Medioriente è terra di scontro tra tutte le potenze, e lo si vede in Palestina, in Iraq, in Libano. La popolazione di quell'area è sempre pronta a combattere, perché la lotta è per la vita: quando l'FMI interviene con i suoi prestiti in cambio di un super-sfruttamento del proletariato locale, questo puntualmente scende in piazza sfidando eserciti e polizie.

Quale potrebbe essere l'anello debole della catena imperialistica mondiale? Nella storia i fatti non sono mai lineari ma vanno affrontati con i metodi di ricerca della complessità. Gli Usa hanno diminuito la loro presenza in Iraq e hanno richiamato le truppe dall'Afghanistan, rivelando una tendenza al ritiro dai teatri di conflitto sempre più marcata. Gli Stati Uniti sono una colonia di sé stessi: il nemico più temibile è al loro interno. L'anello debole della catena imperialistica potrebbe dunque essere il paese militarmente più attrezzato e potente, come d'altronde abbiamo scritto nell'articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana".

Durante la scorsa teleconferenza abbiamo parlato dello sciopero dei metallurgici a Cadice, nel sud-ovest della Spagna. Sembra che la rivolta industriale sia rifluita dopo che alcuni sindacati (UGT e CCOO) si sono incontrati a Siviglia, lontani dagli scioperi e dalle assemblee proletarie, con gli industriali e i vari rappresentanti delle amministrazioni, firmando un pre-accordo per mettere fine alla mobilitazione. Nonostante l'intesa (a cui si sono opposti la Coordinadora de Trabajadores del Metal en la Bahía de Cádiz e la federazione dei metalmeccanici della CGT) non abbia accolto le richieste che hanno portato alla grande mobilitazione operaia, il fronte dei lavoratori risulta spaccato. L'avevamo detto: o passa la lotta territoriale su obiettivi unitari di classe, oppure ha la meglio la prassi sindacale incentrata sui tavoli delle trattative e la logica delle compatibilità. Cosa potevano fare i metallurgici di Cadice, più di quanto non abbiano fatto? In assenza di un organismo di classe che vada oltre l'aspetto puramente rivendicativo, vince il tran-tran sindacale. A Cadice i bonzi sono intervenuti tempestivamente per spegnere l'incendio, anche perché era forte la preoccupazione di industriali e istituzioni per una possibile estensione della lotta ad altre città, dove già c'erano stati segnali di solidarietà. Anche sindacati meno integrati, come quelli di matrice anarchica, non fanno altro che riprodurre in piccolo le logiche corporative che adottano le grandi centrali.

La struttura materiale del capitalismo ha una dimensione internazionale e costringe i lavoratori e chi li vuole rappresentare ad agire allo stesso livello. Durante il Black Friday, la giornata consumistica per eccellenza, diversi scioperi hanno colpito i magazzini di Amazon in diverse parti del mondo. Sul sito Make Amazon Pay, lanciato da varie organizzazioni ed associazioni per coordinare le azioni di lotta dei lavoratori, troviamo scritto: "Il 26 novembre 2021, nella giornata del Black Friday, nelle raffinerie petrolifere, nelle fabbriche, nei magazzini, nei centri elaborazione dati e negli uffici aziendali di tutto il mondo, ci uniremo in uno sciopero per protestare e far pagare Amazon."

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Articoli: La malattia non esiste, parte prima - Un sistema che ingegnerizza sé stesso? - La riduzione dell'orario di lavoro non è più un tabù

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