Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  17 maggio 2022

Parametri fuori controllo

La teleriunione di martedì sera, connessi 21 compagni, è iniziata con il commento di alcune notizie in merito a quanto sta succedendo in Iran.

Nella repubblica islamica da una decina di giorni si susseguono manifestazioni contro il carovita. Le proteste sono state innescate dal taglio dei sussidi governativi per il grano importato, che ha causato un aumento dei prezzi fino al 300% di una varietà di prodotti a base di farina. Tra il 2019 e il 2020 una serie di manifestazioni molto combattive aveva scosso il paese e si erano verificate delle vere e proprie sommosse. Le agitazioni di questi giorni non hanno un'intensità simile, ma si contano già alcuni morti tra i manifestanti. L'Huffington Post afferma che le insurrezioni viste in Sri Lanka nell'ultimo periodo sono solo l'antipasto di quello che potrebbe succedere nel sud-est asiatico e, aggiungiamo noi, nel resto del mondo. L'India, a causa del blocco del frumento russo e ucraino e di una siccità record, ha deciso che smetterà di vendere il proprio grano all'estero. L'Onu teme una carestia mondiale: sono 25 milioni le tonnellate di grano bloccate in Ucraina. Gli elementi per lo scoppio di una tempesta perfetta ci sono tutti.

Anche la Cina deve far fronte ad una serie di problemi. In seguito ai rigidi lockdown messi in atto per arginare la diffusione del Coronavirus, la produzione industriale e l'export sono crollati e la disoccupazione è cresciuta. Nel paese la percentuale di coloro che si sono sottoposti al percorso vaccinale è bassa, ed inoltre i vaccini cinesi sono risultati meno efficaci di quelli occidentali. Il governo di Pechino sembra abbia intenzione di ripescare la carta della "prosperità condivisa", ovvero la promessa di distribuire fette di valore verso le classi meno abbienti, puntando così sulla propensione marginale al consumo.

Il capitalismo è una società del continuo disequilibrio e riesce a raggiungere un ordine, precario, solo mettendosi in contraddizione con sé stesso. Esso procede per aggiustamenti e rattoppi, il suo ordine è dovuto al caso e gli osservatori di questo movimento non sono altro che scienziati del caso. Come diceva Aurelio Peccei ai tempi del Club di Roma, i problemi con i quali si ha a che fare non sono isolati e da sbrogliare uno per volta, ma sono invece una problematica mondiale che si risolve solo andando alla radice. Tutti gli scenari descritti nel Rapporto sui limiti dello sviluppo, dalla crisi alimentare a quella energetica, dall'inquinamento alla scarsità di risorse naturali, si sono materializzati.

Nel caso del conflitto ucraino sia la Nato che la Russia usano le armi a loro disposizione (tra cui sanzioni ed energia) per far crollare il fronte interno del nemico. I riflessi della guerra si avvertono anche sulla condizione dell'economia mondiale con la crescente difficolta degli approvvigionamenti di materie prime. Le guerre non nascono dal nulla, sono il prodotto di un determinato sviluppo della società. Il conflitto in corso non è tanto tra Russia e Ucraina, non ha come fine la conquista o riconquista di un territorio, ma è una guerra mondiale tesa a ridefinire l'assetto del capitalismo.

Questa condizione irreversibile del sistema è iniziata almeno dagli anni 70'. Con la caduta del muro di Berlino è saltato l'equilibrio post Seconda guerra mondiale. Si è passati dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio, derivato da una situazione mondiale incontrollabile. La guerra futura non sarà duale, all'insegna di grandi schieramenti determinati (condominio Usa-Urss); sarà un intreccio di guerre locali, per procura (di cui vediamo le anticipazioni), combattuta da soldati-robot, macchine autonome e munizioni a guida precisa. Proprio per questo, come afferma la nostra corrente, la guerra dev'essere "bloccata al suo scatto" perché se passa, non passa la rivoluzione. Il rapporto dell'uomo con la macchina si è modificato ed egli è completamente subordinato al sistema bellico automatizzato: si pensi al cecchino individuale carico di sensori e di elettronica o ai sistemi di risposta automatica.

La teleconferenza è proseguita con alcune considerazioni riguardo le "grandi dimissioni" nei luoghi di lavoro ("The Great Resignation"). Il fenomeno è iniziato negli Usa con lo scoppio della pandemia ma si è rapidamente propagato in Inghilterra e in tutto il vecchio continente. In Cina si è manifestato qualcosa di simile. L'espressione "tang ping", che letteralmente significa "sdraiarsi a terra" e indica i giovani stanchi di farsi rubare la vita per quattro soldi e decisi a rifiutare il lavoro, è nata sul social Weibo, è diventata virale e ha fatto scattare la censura del regime che ha provveduto a rimuovere i messaggi di elogio dell'ozio presenti sul Web. Il lavoro, come affermano gli stessi organi di stampa borghesi, si è rotto e la vecchia civiltà, che su di esso era basata, non funziona più: il lavoro manca, è precario, spesso non retribuito, e quando c'è sottopone il lavoratore a ritmi e orari insopportabili. Le lotte più interessanti degli ultimi anni sono state condotte dagli ultimi, da nuove figure lavorative, ad esempio i rider/driver.

Il vecchio paradigma sindacale e gradualista è finito per sempre, prima se ne prende atto e meglio è. Nel Manifesto del 48' è scritto che i comunisti sono l'avanguardia del "movimento reale", essi sono proiettati nel futuro, e difatti per essi la lotta contro il lavoro non è una novità ("Diritto al lavoro o libertà dal lavoro salariato?"). La religione del lavoro, come la chiama Paul Lafargue, è messa in seria discussione, non tanto da un'altra ideologia, migliore, quanto dallo stesso sviluppo dei mezzi di produzione. La rivoluzione che matura nell'industria sta producendo una rivoluzione anche nella società. Nell'articolo "Il movimento per la semplicità volontaria" abbiamo analizzato un esempio di rifiuto dello stile di vita consumista. Milioni di americani lasciano le loro case e vanno a vivere on the road, su camper o su autobus attrezzati. Negli Usa è molto frequente la necessità di spostarsi per cercare lavoro, come descritto nel film Nomadland (2020). La vita senza senso produce vari tipi di comunità che si oppongono alla forma sociale vigente. Il movimento Occupy Wall Street ha coinvolto centinaia di migliaia di persone, e non solo in America, che rifiutavano il sistema dell'1%. Masse di sfruttati a cui restava solo di scegliere se comprarsi da mangiare o pagare l'affitto, costretti a lavori precari, senza nulla da perdere. Il fenomeno "Antiwork" negli Usa (nato sul social Reddit), Antijob.net in Russia, la crescita dei Neet (coloro che non studiano né lavorano), l'ondata #Striketober, porteranno a nuovi livelli di organizzazione.

Le tre forme storiche del riformismo hanno in comune il culto del lavoro. La Chiesa l'ha celebrato con l'enciclica Rerum Novarum, la socialdemocrazia in Italia con l'ordinovismo (in Russia con lo stakanovismo), il fascismo ha scritto un'apposita Carta del lavoro. Nella prima parte dell'art. 1 della Costituzione italiana si afferma che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Marx chiama sovrastrutture quegli apparati ideologici funzionali alla conservazione dello stato di cose presente, come i partiti, la parrocchia, la scuola. Quando queste strutture versano in una profonda crisi vuol dire che è proprio la struttura materiale della società che si sta modificando. I partiti non hanno più una base militante, e i sindacati – come nel caso del corteo del Primo Maggio a Torino - affidano il loro servizio d'ordine in parte ad agenzie private e in parte alla polizia. Anche la guerra ormai è condotta da mercenari, contractor e tagliagole prezzolati ("L'outsourcing globale").

Il fatto che a livello mondiale si sviluppino movimenti contro il lavoro è significativo, è il sintomo di qualcosa di grosso che sta montando. La pandemia ha cambiato il rapporto che l'uomo ha con il tempo: il capitalismo presuppone il senso del sacrificio nella speranza di una prospettiva futura (risparmio, accumulo, investimenti). Nel momento in cui il rischio è lasciarci la pelle a causa di un nemico invisibile come un virus, prevale la difesa della vita, nella testa attecchiscono idee nuove. Il numero 1/22 di Limes si intitola "L'altro virus", intendendo con ciò un contagio psichico di massa le cui conseguenze devono ancora manifestarsi a pieno.

Pandemia, guerra, blocco degli approvvigionamenti, rifiuto del lavoro, scioperi e rivolte contro il carovita e per la difesa delle condizioni di vita. Tutto si tiene!

Se parliamo di sistema, dobbiamo riferirci a parti dipendenti l'una dall'altra dove il tutto è di più della semplice somma delle parti. Se il capitale dimostra di fare a meno dei lavoratori, allora questi sono autorizzati dalla storia a fare a meno del capitale. Il nostro quaderno n.1, "La crisi del capitalismo senile" (1984), ha rappresentato una rottura con un certo ambiente politico, quello che chiamiamo terzinternazionalismo. In esso descrivevamo l'inceppamento dei meccanismi di accumulazione, la formazione di un enorme quantità di capitale fittizio e il conseguente bisogno di guerra che avrebbe sconvolto gli schieramenti della Guerra Fredda. Le conferme sono arrivate, questo modo di produzione è giunto al capolinea: se si raccolgono i dati sulla produzione industriale, vediamo che dal 1970 in poi i grafici mostrano una curva dello sviluppo a "sigmoide". Essa somiglia ad una S con una crescita esponenziale, con il raggiungimento di un punto di flesso e una crescita asintotica. In Italia, il quarto paese in Europa per Prodotto interno lordo, la ricchezza è prodotta da pochi salariati produttivi mentre il resto della popolazione è da essi mantenuta; ciò vuol dire che man mano che il capitalismo invecchia, i suoi parametri vanno out of control. Pensiamo alla finanza: secondo il Sole 24 Ore il valore dei derivati in circolazione a livello mondiale nel 2018 sfiorava la sbalorditiva cifra di 2,2 milioni di miliardi di euro, 33 volte il Pil mondiale. In un'economia globalizzata e finanziarizzata come quella attuale, nessuno riesce più a controllare gli scambi e la produzione.

Articoli correlati (da tag)

  • Conferenza pubblica sulla guerra - Roma

    Sabato 27 maggio 2023, ore 17.30

    Ci sono varie forme di rappresentazione della guerra in Ucraina e di tutte le guerre in corso nel mondo. Quella che va per la maggiore è una cronaca dei fatti condita da un'informazione parziale e propagandistica che non permette di distinguere i dati reali da quelli inventati; un'impostazione ideologica che ripropone il dualismo tra paesi aggrediti e paesi aggressori, e il relativo bisogno di intruppare il proletariato e chi vorrebbe rappresentarlo in un fronte borghese contro un altro. L'unico modo per analizzare i fatti in sintonia con il "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" è farlo proiettandosi nel futuro. E questo ci dice che l'esaurimento di qualsivoglia funzione propulsiva del presente modo di produzione si manifesta anche nel carattere che lo scontro interimperialista assume: una serie di guerre che porta distruzione senza alcuna possibilità di ringiovanimento del Capitale. In questo senso, la guerra attuale è diversa dalle grandi guerre dei secoli scorsi, dalle quali emergevano una potenza dominante e un nuovo ordine mondiale. Quando si sente parlare di un impero in declino e di uno in ascesa, bisogna tenere presente che il capitalismo d'oggi è senile ad Ovest come ad Est, e che la parabola che descrive l'andamento della produzione di plusvalore ha un inizio e una fine. Il sistema ha una freccia del tempo: dissipa energia, regredisce verso il disordine, procede verso la catastrofe.

    Sarà possibile seguire l'incontro anche via Skype. Per partecipare inviare una mail all'indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. entro il 26 maggio 2023.

    c/o Laboratorio politico Alberone via Appia Nuova 357 - Roma
    (fermata della metropolitana A Furio Camillo)

  • Il picco cinese

    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 14 compagni, è iniziata con la presentazione della riunione pubblica che si terrà il prossimo 27 maggio a Roma sul tema della guerra. Abbiamo ribadito che per capire cosa sta succedendo nel mondo bisogna proiettarsi nel futuro (n+1), e di lì guardare al presente (n). Se le guerre passate si sono caratterizzate per il fatto che la potenza vincitrice è riuscita ad imporre un nuovo ordine mondiale, quella odierna indica una situazione di ingovernabilità generale ed è il prodotto di una situazione che alla fine non avrà vincitori in ambito capitalistico.

    The Economist, uno dei settimanali che prendiamo come punto di riferimento del mondo borghese, scrive che "la potenza cinese sta per raggiungere il picco", rifacendosi alle analisi dei due politologi americani Hal Brands e Michael Beckley ("Is Chinese power about to peak?"), secondo i quali l'ascesa della Cina si sta già arrestando. Da quando il paese ha iniziato ad aprirsi e riformare l'economia, nel 1978, il suo PIL è cresciuto in media di un 9% all'anno, e ciò ha permesso un relativo miglioramento delle condizioni di vita per milioni di cinesi. Pechino ha bruciato le tappe facendo in 40 anni quello che l'Occidente ha compiuto in qualche secolo. Negli ultimi decenni la crescita economica della Cina, e in generale dell'Asia, (il paese conta un quinto della popolazione mondiale) ha rappresentato una boccata d'ossigeno per il capitalismo, che dagli anni '70 mostra segni di cedimento in Occidente. Ma ora il gigante asiatico sta avendo qualche problema perché l'attuale modo di produzione è diventato senile ad Ovest come ad Est. Se da una parte si sta arrivando alla parità economica tra USA e Cina, dall'altra sappiamo che non ci potrà essere un nuovo paese alla guida del capitalismo e la serie storica non potrà che interrompersi ("Accumulazione e serie storica"). Le motivazioni del declino cinese sono di varia natura, una di questa è la situazione demografica: le Nazioni Unite stimano che entro la metà del secolo la popolazione lavorativa potrebbe diminuire di oltre un quarto, con la crescita del numero degli anziani. L'economista Nouriel Roubini, nel saggio La grande catastrofe, analizzando quella che definisce la bomba a orologeria demografica, scrive:

  • Un mondo sempre più disintegrato

    La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, è iniziata riprendendo il tema della guerra, con particolare attenzione a quello che sta succedendo in Sudan e alle cause generali che hanno portato allo scoppio del conflitto.

    La rivista Limes, nell'articolo "Prove di guerra per procura (anche) in Sudan", afferma che "lo scontro in atto nel paese africano è un tassello della tumultuosa transizione verso un nuovo ordine mondiale". Sarebbe più corretto dire nuovo disordine mondiale. Cina, Russia e Stati Uniti hanno interessi nel paese e sono presenti, mentre Onu e Unione Europea sono politicamente assenti. Il Sudan ha una popolazione di 48 milioni di abitanti, è il terzo paese più popoloso del continente africano e ha un'estensione di oltre 1,8 milioni kmq (circa 6 volte l'Italia). Ha una posizione geopolitica importante, poiché si affaccia sul Mar Rosso in un tratto che collega i paesi arabi con quelli africani, e per la disponibilità di materie prime (acqua, petrolio, oro). Non è troppo distante da Gibuti, dove ci sono le basi militari di Italia, Cina, Francia, Stati Uniti, Giappone, Arabia Saudita. Pochi mesi fa aveva dato il via libera alla costruzione di una base navale russa sul proprio territorio.

    Secondo l'Espresso, "la guerra in Sudan rischia di far collassare l'Africa". Nell'articolo "Marasma sociale e guerra" avevamo visto che già nel 2011 diversi paesi (Egitto, Siria, Libia) erano stati travolti da moti di piazza, in alcuni casi evoluti in guerra civile. A partire dal 2019, il Sudan è stato teatro di manifestazioni di massa che hanno contribuito alla cacciata del presidente Omar al-Bashir, al potere da oltre trent'anni, e poi di un golpe dell'esercito che però non ha risolto la situazione. In un quadro di instabilità generale proliferano le guerre civili. Esse diventano endemiche in quanto le cause che le generano sono molteplici: migrazioni, siccità, crisi economiche e politiche, mutati assetti internazionali.

Rivista n°52, dicembre 2022

copertina n°52

Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

Articoli: La malattia non esiste, parte prima - Un sistema che ingegnerizza sé stesso? - La riduzione dell'orario di lavoro non è più un tabù

Rassegna: L'ennesima conferenza sul clima - Polarizzazione crescente - Pericolose tempeste"

Recensione: Gaia, le macchine autoreplicanti e l'intelligenza collettiva

Doppia direzione: Più "avanzato" Lenin o Bogdanov? - Cooperazione e sostegno

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email