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  • Resoconto teleriunione  24 maggio 2022

Catastrofe alimentare ma non solo

La teleriunione di martedì sera, presenti 21 compagni, è iniziata affrontando il tema della crisi alimentare in corso.

L'Economist titola l'edizione del 21 maggio "The coming food catastrophe", accompagnandola con un'immagine di copertina piuttosto macabra nella quale sono raffigurate tre spighe di grano composte da chicchi a forma di teschi. L'immagine, diventata virale sui social network, vuole rappresentare un problema reale che sta catalizzando l'attenzione a livello mondiale. L'articolo del settimanale inglese, sebbene parta da premesse che non solo le nostre (ad esempio dando la colpa di tutto al battilocchio di turno, in questo caso Putin), dimostra che la guerra sta conducendo un mondo già fragile alla rottura.

La difficoltà negli approvvigionamenti delle materie prime e la congestione dei processi logistici (colli di bottiglia) manifestatesi con la pandemia si sono aggravati con la guerra in Europa. Russia e Ucraina forniscono il 28% del grano commercializzato a livello mondiale, il 29% dell'orzo, il 15% del mais e il 75% dell'olio di girasole. Queste forniture sono fondamentali per sfamare Libia, Egitto, Tunisia, diversi paesi africani e in generale tutta quell'area che va dal Sudafrica all'est asiatico. Le prime rivolte per la fame sono già scoppiate in Sri Lanka e Iran. L'Inghilterra si è fatta avanti proponendo la formazione di una "coalizione di volenterosi" per scortare con navi da guerra i mercantili che nel Mar Nero trasportano il grano ucraino.

Le esportazioni alimentari dell'Ucraina forniscono le calorie per sfamare 400 milioni di persone. Inoltre, nota The Economist, il solo grano ucraino permetteva di realizzare il 50% dei programmi delle Nazioni Unite (World Food programm), il cui fine è proprio quello di combattere carenze e carestie. L'India, anche in seguito ad una siccità record e ad una incredibile ondata di caldo che ha colpito l'Asia meridionale, ha dichiarato che sospenderà le sue esportazioni di grano. Il paese è il secondo produttore mondiale di frumento.

La guerra in Ucraina non comporta solo il blocco nei porti del grano destinato all'estero, ma danneggia anche le produzioni future del paese. Sarà infatti difficile ripristinare in breve tempo la catena produttiva e logistica, che comprende l'utilizzo e l'approvvigionamento di fertilizzanti e di attrezzature agricole, la richiesta di finanziamenti per l'acquisto di sementi, ecc. E' sicuro che il problema persisterà a lungo, e questo avrà conseguenze anche sull'andamento dei futures legati a questa materia prima (leggi speculazione finanziaria).

La crisi alimentare solleva interrogativi da parte degli esperti anche sull'uso dei biocombustibili: circa il 10% di tutti i cereali prodotti nel mondo viene utilizzato per produrre biocarburanti, e il 18% degli oli vegetali va al biodiesel. Fame per gli uomini, cibo per le macchine ("Perché gli agrocarburanti affameranno il mondo"). António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha messo in guardia circa "lo spettro di una carenza alimentare globale" che potrebbe durare per anni.

Il problema non è dunque solo il blocco del porto di Odessa, quanto i criteri della distribuzione a livello globale di cereali. Allo stato attuale si potrebbero smistare razionalmente le derrate a disposizione, ma non lo si fa perché vige la forma aziendale, la rendita agraria, la proprietà privata, la guerra di tutti contro tutti. Da una parte esiste una pianificazione senza la quale il sistema collasserebbe, una logistica da intendere come flusso sanguigno della produzione, dall'altra esiste l'intrinseca anarchia del mercato. Sappiamo che il capitalismo riesce mirabilmente a produrre merci con un piano di produzione razionale all'interno delle singole fabbriche, ma a livello sociale riesce a pianificare ben poco. Le nostre azioni quotidiane, dall'utilizzo di un cellulare a quello di un elettrodomestico, si riferiscono a reti di tale complessità che non potrebbero funzionare senza piani centralizzati, oltretutto precisi al punto da limitare le probabilità di intoppo. Gli esempi potrebbero essere moltissimi, dato che tutta la nostra vita ruota intorno a processi regolati.

Oggi, però, la pianificazione è solo una faccia della medaglia, l'altra è il crescente disordine economico e sociale.

Il programma immediato della rivoluzione (Riunione di Forlì del Partito Comunista Internazionale, 28 dicembre 1952) si configura come un piano di specie, i cui punti sono stati da noi sviluppati al fine di ricavarne un manifesto politico. Se negli anni 50' tale programma poteva essere inteso come il parto di una corrente politica in lotta contro altre, oggi esso appare sempre più chiaramente come progetto di specie, unica via per evitarne l'estinzione. Pensiamo alle metropoli di 20 milioni di abitanti: esse sono delle metastasi incontrollabili ("Decostruzione urbana", "La dimora dell'uomo"). E lo stesso vale per il traffico inquinante e l'insensata circolazione delle merci ("Evitare il traffico inutile", "Controllo dei consumi, sviluppo dei bisogni umani"). A distanza di un paio di decenni da quando il programma di Forlì fu scritto, alcune frazioni della classe dominante sono arrivate a capitolare ideologicamente di fronte ad esso, per esempio con il Rapporto sui limiti dello sviluppo (Club di Roma, 1972). E sulla "drastica riduzione della giornata di lavoro", uno dei punti del programma immediato ("Tempo di lavoro, tempo di vita"), sono già al lavoro capitalisti e governanti con le sperimentazioni di settimana lavorativa corta in vari paesi.

Una situazione di invivibilità, disagio e alienazione dovuta all'agonia di una forma sociale morente produce un disperato bisogno di comunità, che si manifesta nei modi più contradditori, vedi le tifoserie calcistiche o le sette religiose. Ci sono migliaia di persone, soprattutto negli Stati Uniti, che da anni si preparano alla fine del mondo costruendo bunker sotterranei, rifugiandosi in luoghi sperduti, facendo incetta di cibi a lunga conservazione. Si preparano all'apocalisse, dicono. Il "misterioso" fenomeno Qanon, una galassia di gruppi e movimenti che si basano su teorie strampalate, mobilita migliaia di persone e genera eventi come l'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Si tratta di raggruppamenti difficilmente classificabili con le vecchie etichette destra-sinistra tanto care agli europei. Dai suprematisti bianchi all'alt-right, dai survivalisti antisistema ai complottisti no vax, il mondo produce una profusione di fenomeni irrazionali. Le vecchie strutture politiche si stanno dissolvendo e il nuovo fatica ad emergere, ci troviamo perciò in una fase ibrida in cui dilagano populismi di vario genere e natura.

Siamo nel bel mezzo di una transizione che coinvolge tutto lo spettro della attività umane. Lo testimonia anche la guerra che si combatte in Ucraina, un conflitto piuttosto anomalo: gli attuali arsenali bellici non sono adatti per la guerra elettronica, i carri armati non servono più, al pari di navi e aerei. Quando la legge del valore viene meno, quando la crisi non è più congiunturale ma strutturale, ne risente anche la sovrastruttura sociale, la psicologia collettiva come quella individuale. Una situazione così critica il capitalismo non l'ha mai vista e non c'è nessun elemento interno al sistema che la possa invertire.

Dalle capitolazioni ideologiche della borghesia di fronte alla "nostra" dottrina si passerà a quelle pratiche. Quando si parla di transizione sociale non bisogna infatti dimenticare l'importante fenomeno dei transfughi di classe (i disertori del proprio ambiente sociale), un elemento invariante di ogni rivoluzione, un segno fondamentale della vicina rottura politica con la vecchia società. La risposta proletaria alla catastrofe montante non potrà che essere internazionale e internazionalista. Il partito comunista, come lo intende la nostra corrente, è un organismo di specie che si forma e si sviluppa grazie alle informazioni che arrivano dal futuro. Il suo programma non dipende dalle opinioni di questo o quel leader, ma da dimostrazioni scientifiche (l'attuale modo di produzione è condannato dal suo basso rendimento energetico). Oggigiorno c'è molta più facilità a far circolare le idee. Gli stati chiudono Internet quando scoppiamo sommosse o insurrezioni, ma in più di un'occasione i manifestanti sono riusciti a bypassare i blocchi (ad esempio allestendo reti mesh come durante le Primavere arabe).

Quando la rivoluzione è matura trova i suoi militanti, i suoi utensili vivi, che saranno spinti da potenti determinazioni a realizzare i suoi obiettivi, magari senza nemmeno essere consci di farlo. In fondo la rivoluzione è un fatto naturale, come lo sono i terremoti, le eruzioni vulcaniche e le tempeste.

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Editoriale: Reset

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