Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  8 marzo 2022

Scenari e modelli di guerra

La teleconferenza di martedì sera, presenti 20 compagni, è stata dedicata nuovamente a quanto sta accadendo sul territorio ucraino.

Almeno dalla Comune di Parigi, i comunisti in Europa sanno che non si deve parteggiare per questa o quell'altra fazione borghese, per questo o quell'altro governo, ma che bisogna contare solo sulle proprie forze, sulle forze della propria classe. E in caso di guerra la consegna per i militanti è quella di praticare il disfattismo rivoluzionario (con scioperi, manifestazioni, ecc.), cioè l'opposizione attiva e operante ad ogni sforzo bellico del proprio paese.

La borghesia è la classe che detiene il potere ed essa deve difenderlo. Il proletariato per sua natura non ha nulla da difendere (Manifesto) e qualsiasi movimento intraprenda è sempre all'attacco: in quanto classe "oppressa", può solo pretendere di più rispetto a ciò che ha, e di fronte alla guerra deve rigettare le ideologie pacifiste e difesiste. Nel filo del tempo "Onta e menzogna del "difesismo"" (1951) si afferma:

"Ininterrottamente, coerentemente, da Marx a Lenin, i rivoluzionari socialisti non hanno mai ricalcata la balorda figura borghese dello 'scongiuratore di guerre', scemo quanto impotente, ma si sono preparati ad essere, nel senso rivoluzionario, opposto a quello del superimperialismo, i 'profittatori di guerra'. Lenin eresse la dottrina del disfattismo e la condusse ad una clamorosa vittoria storica... Quando i partiti proletari sono stati, ad opera del tradimento, messi a 'desiderare' la vittoria di alcuni governi, e a combattere per essi, le forze della rivoluzione mondiale sono andate in rovina."

L'articolo citato è stato scritto settant'anni fa ma, come tutti i fili, è ancora utile per orientarsi. I comunisti di tutti i paesi, dunque, desiderano la disfatta dei propri governi e sabotano la guerra, a cominciare dalla lotta contro il capitalismo in tutte le sue manifestazioni. Naturalmente questo non deve essere interpretato come indifferentismo riguardo ai risultati di un conflitto armato tra stati. Nell'articolo "Wargame. Non solo un gioco" abbiamo visto come la proposizione "trasformare la guerra imperialista in guerra civile" oggi assumerebbe la forma di uno scontro tra forze simmetriche, cioè tra eserciti, un po' come nella guerra civile spagnola (sbocco teoricamente possibile, ma ben poco probabile e tantomeno auspicabile nella nostra epoca).

L'accodarsi alle partigianerie, come da antico vizio di certa sinistra resistenzialista che in molti casi si autodefinisce comunista e che, il più delle volte a chiacchiere, farnetica di intervenire sul campo di battaglia in una sorta di riedizione in chiave contemporanea della Resistenza al nazifascismo, va assolutamente evitato. Attualmente in Ucraina ci sono: un governo ufficiale, delle repubbliche autoproclamate (Donetsk e Luhansk), svariate migliaia di soldati russi, migliaia di mercenari, agenti di intelligence stranieri. Il partigiano trova sempre una parte borghese dietro cui schierarsi ("Marxismo o partigianesimo", 1949), eppure dovrebbe essere chiaro che se l'esercito russo occupasse il paese in pianta stabile ci sarebbe un passaggio di consegne da una borghesia all'altra e per il proletariato non cambierebbe nulla. Nella situazione attuale tutta la popolazione ucraina, compreso il proletariato, è intruppata in formazioni nazionali e usata come carne da cannone.

Non va dimenticato che nel passato si sono verificati movimenti operai significativi durante situazioni di guerra. Gli scioperi torinesi del 1943 si estesero alle principali fabbriche del Nord Italia e, seppur fatti passare come espressione della lotta resistenziale, furono episodi di lotta di classe, agitazioni di carattere economico e contro la continuazione del conflitto in corso. Negli Stati Uniti la guerra in Vietnam produsse decine di migliaia di renitenti alla leva e almeno 10.000 disertori. Il miscuglio di tutte le classi, l'umanitarismo, la non violenza, la difesa dei diritti sono altra cosa dal disfattismo, dall'opposizione reale alla guerra. Negli ultimi giorni in Russia migliaia di manifestanti sono stati arrestati per aver partecipato a manifestazioni contro la guerra; è facile essere pacifisti quando la guerra è altrove, è difficile esserlo quando il proprio paese sta combattendo.

L'esercito russo sta cercando di neutralizzare i sistemi difensivi ucraini e di allargare la propria influenza nel sud del paese. L'Ucraina ha industrie e infrastrutture elettriche datate e le sue centrali nucleari sono un'eredità del passato sovietico. Da tempo l'America arma il paese e addestra i gruppi neonazisti, mentre l'Inghilterra l'ha assistito nell'ammodernamento dei porti sul Mar Nero. Ancora non è chiaro quale sia il reale obbiettivo della Russia e fino a che punto sia raggiungibile. Di sicuro non si tratta di un'operazione lampo, dato che muovere 180 mila soldati è un'operazione complessa e lo sforzo logistico per sostenerli enorme. Tra l'altro, pare che la famigerata colonna blindata lunga 65 km e diretta verso Kiev si sia messa in moto. Dalle immagini pubblicate su alcuni siti si vedono le quattro direttive seguite dell'esercito russo e le città interessate dai bombardamenti (particolarmente duri a Mariupol). In questo, come del resto in altri conflitti, le popolazioni sono usate come merce usa e getta. I cosiddetti corridoi umanitari per far evacuare i civili dalle aree più calde del conflitto sembrano più che altro forme di ricatto tra i paesi belligeranti, e lo stesso vale per i profughi che diventano strumento di pressione geopolitica. La guerra in corso è basata soprattutto sulla disinformazione: ci sono morti e feriti ma non ci sono numeri certi (la Russia ne denuncia 500 tra i suoi soldati, per l'Ucraina invece sono 5mila). Dopo dieci giorni dall'inizio dello scontro militare, il generale Fabio Mini si è spinto a dire che non si tratta ancora di una guerra, bensì di una battaglia di sola propaganda.

Quando si parla di zone conquistate o di bombardamenti è d'obbligo essere cauti: i movimenti delle truppe russe non corrispondono a quelli che vengono mostrati nei telegiornali. È veramente difficile filtrare il vero dal falso. Su Internet, per esempio, non è più possibile seguire l'agenzia russa Tass, o i siti Russia Today o Sputnik, tutti i canali ufficiali della propaganda russa sono irraggiungibili. A noi non è dato sapere cosa si decide nelle varie cancellerie ed essere complottisti, in questo caso, è una virtù e non un difetto. E' passata in sordina la notizia riguardo le decisione della Nato di rafforzare la sua presenza in Romania: nella base aerea Mihail Kogalniceanu sul Mar Nero sono arrivati oltre 500 militari francesi. L'Ucraina, pur non essendo nell'alleanza atlantica, è sotto la tutela degli Usa ed è difficile che quest'ultimi accettino l'invasione senza reagire contro la Russia.

I modelli della complessità hanno il difetto di essere difficili da realizzare e di "ribellarsi" a forme di determinismo meccanicistico alla Laplace; ma sono l'unica maniera per riuscire a tratteggiare lo schema di una realtà così cangiante come quella della guerra. Oggi, a livello globale, siamo alle soglie di una biforcazione che può portare a situazioni completamente diverse da quelle che la classe dominante immagina. La Russia è un paese enorme dal punto di vista geografico ma non vale nulla sul piano economico. Ha un Pil minore di quello italiano, vive di esportazioni di materie prime e ciò gli ha precluso un adeguato sviluppo industriale. I suoi nemici sono in primis gli Usa, e poi la Cina, che sta valutando di investire nei colossi russi attraverso l'aumento di partecipazioni in società del settore energetico e delle materie prime. Pechino è nemica di Mosca, specialmente per quanto riguarda il controllo dell'Asia. Nella rivista di geopolitica Limes si sostiene da tempo che la Federazione Russa è a serio rischio di implosione ("Se crolla la Russia", il numero 6/21). Le maggiori agenzie di rating hanno declassato il debito del paese da B a C e alcune annunciano un imminente default. Il valore del rublo è crollato e le contrattazioni sulla Borsa di Mosca rimangono sospese dopo che i paesi occidentali hanno imposto sanzioni economiche.

Le ripercussioni del conflitto ucraino cominciano a farsi sentire anche in Europa. L'Ucraina è il settimo produttore di frumento al mondo (26 milioni di tonnellate) e il sesto di mais (28 mln di tonnellate). La Russia è il terzo produttore mondiale di grano (73 mln di tonnellate). Ne consegue che oltre ai già noti problemi di approvvigionamento di gas e petrolio russi, si intravede un possibile aumento del prezzo dei cereali in generale e, di conseguenza, del prezzo finale di pane, pasta, carne e latte.

I rincari si abbattono su una crescita economica globale già debole con conseguenze a livello sociale. In Italia, prima gli autotrasportatori e poi i pescatori hanno minacciato iniziative di protesta (blocchi) contro il caro carburante. La crisi capitalistica è di carattere storico e il suo andamento può essere descritto con gli schemi di catastrofe elaborati dal matematico Renè Thom (Stabilità strutturale e morfogenesi. Saggio di una teoria generale dei modelli). Così come la pandemia ha accelerato processi economici e politici già in atto, parimenti sta facendo la guerra in Ucraina o, forse sarebbe più corretto dire, in Europa.

Articoli correlati (da tag)

  • Conferenza pubblica sulla guerra - Roma

    Sabato 27 maggio 2023, ore 17.30

    Ci sono varie forme di rappresentazione della guerra in Ucraina e di tutte le guerre in corso nel mondo. Quella che va per la maggiore è una cronaca dei fatti condita da un'informazione parziale e propagandistica che non permette di distinguere i dati reali da quelli inventati; un'impostazione ideologica che ripropone il dualismo tra paesi aggrediti e paesi aggressori, e il relativo bisogno di intruppare il proletariato e chi vorrebbe rappresentarlo in un fronte borghese contro un altro. L'unico modo per analizzare i fatti in sintonia con il "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" è farlo proiettandosi nel futuro. E questo ci dice che l'esaurimento di qualsivoglia funzione propulsiva del presente modo di produzione si manifesta anche nel carattere che lo scontro interimperialista assume: una serie di guerre che porta distruzione senza alcuna possibilità di ringiovanimento del Capitale. In questo senso, la guerra attuale è diversa dalle grandi guerre dei secoli scorsi, dalle quali emergevano una potenza dominante e un nuovo ordine mondiale. Quando si sente parlare di un impero in declino e di uno in ascesa, bisogna tenere presente che il capitalismo d'oggi è senile ad Ovest come ad Est, e che la parabola che descrive l'andamento della produzione di plusvalore ha un inizio e una fine. Il sistema ha una freccia del tempo: dissipa energia, regredisce verso il disordine, procede verso la catastrofe.

    Sarà possibile seguire l'incontro anche via Skype. Per partecipare inviare una mail all'indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. entro il 26 maggio 2023.

    c/o Laboratorio politico Alberone via Appia Nuova 357 - Roma
    (fermata della metropolitana A Furio Camillo)

  • Un mondo sempre più disintegrato

    La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, è iniziata riprendendo il tema della guerra, con particolare attenzione a quello che sta succedendo in Sudan e alle cause generali che hanno portato allo scoppio del conflitto.

    La rivista Limes, nell'articolo "Prove di guerra per procura (anche) in Sudan", afferma che "lo scontro in atto nel paese africano è un tassello della tumultuosa transizione verso un nuovo ordine mondiale". Sarebbe più corretto dire nuovo disordine mondiale. Cina, Russia e Stati Uniti hanno interessi nel paese e sono presenti, mentre Onu e Unione Europea sono politicamente assenti. Il Sudan ha una popolazione di 48 milioni di abitanti, è il terzo paese più popoloso del continente africano e ha un'estensione di oltre 1,8 milioni kmq (circa 6 volte l'Italia). Ha una posizione geopolitica importante, poiché si affaccia sul Mar Rosso in un tratto che collega i paesi arabi con quelli africani, e per la disponibilità di materie prime (acqua, petrolio, oro). Non è troppo distante da Gibuti, dove ci sono le basi militari di Italia, Cina, Francia, Stati Uniti, Giappone, Arabia Saudita. Pochi mesi fa aveva dato il via libera alla costruzione di una base navale russa sul proprio territorio.

    Secondo l'Espresso, "la guerra in Sudan rischia di far collassare l'Africa". Nell'articolo "Marasma sociale e guerra" avevamo visto che già nel 2011 diversi paesi (Egitto, Siria, Libia) erano stati travolti da moti di piazza, in alcuni casi evoluti in guerra civile. A partire dal 2019, il Sudan è stato teatro di manifestazioni di massa che hanno contribuito alla cacciata del presidente Omar al-Bashir, al potere da oltre trent'anni, e poi di un golpe dell'esercito che però non ha risolto la situazione. In un quadro di instabilità generale proliferano le guerre civili. Esse diventano endemiche in quanto le cause che le generano sono molteplici: migrazioni, siccità, crisi economiche e politiche, mutati assetti internazionali.

  • Guerra civile, polarizzazione sociale e intelligenza artificiale

    La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata riprendendo gli argomenti trattati nelle scorse teleconferenze.

    L'Economist, che utilizziamo come serbatoio da cui prendere dati e informazioni utili per il lavoro, afferma che da circa dieci giorni è scoppiata in Sudan una guerra civile ("In Sudan and beyond, the trend towards global peace has been reversed"). In realtà, il paese africano è in una fase di conflitto permanente dalla data della sua indipendenza, il 1956. Ufficialmente il conflitto vede contrapporsi un generale dell'esercito regolare e un generale delle milizie paramilitari, ma in effetti si tratta di uno scontro tra due fazioni interne allo Stato rapidamente trasformatosi in guerra guerreggiata, con la chiusura delle maggiori ambasciate e la fuga del personale straniero.

    Sempre secondo il settimanale inglese, le guerre civili tendono a durare sempre più a lungo e diventano sempre più difficili da risolvere, anche perché si diffondono negli stati più poveri, in via di dissoluzione, sottoposti a notevoli pressioni interne ed esterne. In Sudan, sin dall'inizio dell'attuale conflitto, è stato chiaro che vi erano intrecci tra interessi locali dei signori della guerra e interessi internazionali.

Rivista n°52, dicembre 2022

copertina n°52

Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

Articoli: La malattia non esiste, parte prima - Un sistema che ingegnerizza sé stesso? - La riduzione dell'orario di lavoro non è più un tabù

Rassegna: L'ennesima conferenza sul clima - Polarizzazione crescente - Pericolose tempeste"

Recensione: Gaia, le macchine autoreplicanti e l'intelligenza collettiva

Doppia direzione: Più "avanzato" Lenin o Bogdanov? - Cooperazione e sostegno

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email