Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  18 aprile 2023

Accelerazione storica

La teleriunione di martedì sera, connessi 14 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardanti quanto discusso negli incontri precedenti in merito alla competizione sino-americana nel contesto della guerra globale.

Partendo dalla visione del video "USA contro Cina. La sfida del secolo vista da Pechino" (Giorgio Cuscito, analista di Limes), possiamo approfondire alcuni aspetti inerenti a ciò che i borghesi chiamano "geopolitica". Di questa nuova scienza, nata dalla constatazione che particolari aree geostoriche determinano i comportamenti dei vari attori statali e politici, se ne parla nel filo del tempo "Il pianeta è piccolo" (1950): "Essa [la geopolitica] vuole studiare la geografia del pianeta nei suoi incessanti mutamenti per effetto del soggiorno e dell'opera dell'uomo. È un ramo di scienza che ha capito che le leggi dei fatti storici non si scoprono nelle tracce che hanno lasciato nel cervello dell'individuo ma nella fisica reale degli oggetti ponderabili."

Riguardo il rapporto USA/Cina abbiamo ripreso alcune mappe di Limes che schematizzano la strategia di contenimento americana. Lo stretto di Malacca, che separa l'isola indonesiana di Sumatra dalla costa occidentale della penisola malese e mette in collegamento l'Oceano Pacifico con l'Oceano Indiano, è da secoli un hub strategico per le rotte commerciali. Il canale è sotto il controllo degli Americani, che hanno schierato armi e attrezzature a Singapore. In caso di aumento della tensione nell'area, la sua chiusura potrebbe avere importanti ripercussioni a livello commerciale (di lì passa il 40% del commercio mondiale), soprattutto per la Cina. Un altro aspetto a cui prestare attenzione è il programma cinese noto come "Obiettivo 2049": per i cento anni della nascita della Repubblica Popolare Cinese, Pechino si è posta l'obiettivo di annettere Taiwan. Durante l'ultimo congresso del PCC, il presidente Xi Jinping ha dichiarato che non è da escludere in assoluto l'uso della forza per riprendersi l'isola.

I Cinesi non hanno valutato positivamente la guerra ingaggiata dai Russi in Ucraina, dato che nella strategia di Pechino, almeno in questa fase, è molto più importante l'uso del soft power, ovvero l'estensione a livello globale della propria influenza politica ed economica, che non intraprendere uno scontro frontale con gli Stati Uniti. In aggiunta, il conflitto ha determinato una situazione di riarmo generale che ha coinvolto anche il Giappone, nemico storico della Cina, e facente parte di un'alleanza informale con USA, Australia e India (QUAD) con lo scopo dichiarato di contenere l'espansione cinese.

Per gli USA, invece, la situazione attuale è positiva, almeno nell'immediato: la polarizzazione determinatesi in Europa in seguito allo scoppio della guerra ha portato i paesi dall'Est (Paesi baltici, Polonia, Romania) a compattarsi ancor di più con Washington e a distanziarsi da quelli dell'Ovest. Le dichiarazioni del presidente francese riguardo al bisogno di un'autonomia strategica europea si pongono nell'ottica della costruzione di una terza forza, un polo europeo autonomo, di cui però non si vedono le premesse necessarie. La posizione di Macron ricalca quella tipica della Francia, alleata degli USA ma non allineata. Secondo Limes ("Il vuoto al centro dell'Europa. Crisi Germania, Francia e Polonia opposte: un problema per l'Italia"), la mancanza di una linea unica in Europa è un grosso problema per gli interessi italiani. La Cina, con la sua "iniziativa di sicurezza globale" (GSI), si fa promotrice di una nuova comunità umana, ergendosi a rappresentante di un non meglio definito Sud globale, fondato sul multilateralismo. Sono significativi, a tal proposito, i recenti accordi commerciali bilaterali tra Brasile e Cina, e la visita del ministro degli esteri russo Lavrov a Brasilia.

Xi Jinping ha affermato che Washington, con la sua politica di contenimento cinese, impedisce uno sviluppo equo di tutti i paesi e quindi la pace globale. Pechino cerca di aprirsi nuove strade, come la Nuova Via della Seta che passa per l'Heartland (il cuore del mondo), e così facendo attira l'attenzione degli USA, contribuendo a rendere instabili aree del pianeta geopoliticamente molto delicate. Punta a fare da intermediario in varie dispute tra paesi, come in quella tra Iran e Arabia Saudita e, ora, nello storico conflitto tra Palestina e Israele (entrato a far parte dell'elenco dei paesi interessati dal marasma sociale e dal disfacimento dello Stato nonostante sia una potenza militare e di intelligence), andando a coprire spazi lasciati vuoti da altri. Oltre all'attivismo diplomatico, è significativo anche il tentativo di internazionalizzazione dello yuan, teso a minare l'egemonia del dollaro, fondata su 800 basi militari sparse per il pianeta.

Secondo la tesi da noi sostenuta nell'articolo "Imperialismo in salsa cinese", Stati Uniti e Cina hanno invertito le parti: non è il vecchio paese imperialista a finanziare la crescita del suo avversario-erede, ma è l'erede a sostenere la sopravvivenza del vecchio paese imperialista. Invece di un cambio della guardia fra paesi imperialisti, siamo di fronte ad un meccanismo di conservazione dello status quo, che però potrebbe tramutarsi nel suo contrario dato il rapporto sempre più schizofrenico che si sta determinando tra i due giganti.

La Cina è un paese dalle grandi risorse e niente sembrerebbe impedirle di ereditare il posto di paese guida dell'imperialismo. Pechino è al primo posto nel mondo per PIL a parità di poteri d'acquisto e al secondo posto per PIL nominale, ma è al 72° posto per PIL pro capite. Cosa farebbe la Cina (produttore di merce) senza un paese complementare (consumatore di merce) come gli Stati Uniti? Gli Americani acquistano prodotti cinesi e la Cina possiede titoli di Stato americani (ultimamente se ne sta liberando). Gli USA continuano a essere un paese rentier perché strappano ancora le cedole degli investimenti passati, ma nel frattempo si indebitano invece di elargire crediti. Quando si parla di un impero in declino e di uno in ascesa, bisogna tenere a mente che il capitalismo d'oggi è senile ad Est come ad Ovest, la parabola del plusvalore ha un inizio e una fine, e il sistema ha una freccia del tempo, cioè perde energia.

Per questo motivo la tendenza alla guerra si fa sempre più reale. Essa sta assumendo varie forme: conflitto civile, militare, finanziario, spaziale, cibernetico, ecc.

La guerra civile c'è già ed è globale, perciò non è più possibile applicare la parola d'ordine "trasformare la guerra imperialista in guerra civile". In Sudan si è verificata una spaccatura tra esercito e paramilitari e la situazione si è velocemente trasformata in uno scontro generalizzato. Interessi internazionali e locali si intrecciano e producono mix esplosivi. Anche i fronti interni scricchiolano. La Francia, che non è certamente un paese secondario a livello mondiale, da settimane è alle prese con manifestazioni, picchetti e scioperi. Molti analisti hanno scritto che la guerra civile negli States non è un fenomeno a venire ma già in corso, sia per gli scontri interni alle istituzioni, sia per il numero di armi in circolazione e dei morti per scontri a fuoco. La Cina sta in piedi grazie ad un patto non scritto tra partito-stato e popolazione, per cui quest'ultima accetta un controllo governativo soffocante in cambio del miglioramento delle proprie condizioni di vita. Ci sono comunque migliaia di rivolte operaie ogni anno: il colosso cinese ha bruciato le tappe divenendo un paese imperialistico in breve tempo, ma senza la storia e la struttura corruttrice di questi ultimi.

In un articolo dell'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), intitolato "Il futuro della guerra", si prefigura il conflitto globale prossimo venturo, che vedrebbe l'utilizzo di armi tradizionali coadiuvate da altre tecnologicamente più evolute, come satelliti, intelligenza artificiale e droni. La guerra in Ucraina rappresenta chiaramente una fase di transizione: ogni guerra inizia con le tecniche, i metodi e le armi della guerra passata e sviluppa armi, metodi e persino teorie delle guerre successive. La guerra attuale, ibrida, prevede il controllo dell'acqua, del cibo, dell'energia, l'uso di partigianerie e agenti di influenza. Attacchi informatici, disinformazione e sabotaggi sono ampliamenti utilizzati. Nessuno capisce più quali siano le immagini e i video reali e quali quelli generati dai sistemi di intelligenza artificiale.

Dunque, quale sarà il futuro della guerra? Di sicuro non le trincee ma i missili ipersonici, non il pesante acciaio dei carri armati ma l'intercettazione delle onde elettromagnetiche emesse da una stazione radar. Si tratta di scenari da incubo in cui gli uomini, "insardinati" in metropoli da decine di milioni di abitanti, potrebbero trovarsi, in seguito all'interruzione delle catene logistiche, senza acqua, cibo e riscaldamento. Se collassano determinati hub, se si bloccano alcuni stretti (per esempio il canale di Suez, vedi caso Ever Given), il mondo capitalistico potrebbe andare velocemente fuori controllo. Per questa ragione ognuno cerca di occupare nuove arterie commerciali, anche quelle che passano per l'Artico, ricco di risorse naturali.

Per concludere, a differenza di quanto scrive Lucio Caracciolo nel suo ultimo libro (La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa), la storia non è ricominciata, per il semplice fatto che non si è mai fermata, ha semplicemente subito un'accelerazione.

Articoli correlati (da tag)

  • Una società in crisi irreversibile

    La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando la sommossa in corso in Bangladesh.

    Da un paio di settimane in tutto il paese si susseguono importanti manifestazioni. Gli studenti, opponendosi ad una legge che prevede una serie di facilitazioni alle famiglie dei reduci della guerra di liberazione dal Pakistan, si sono scontrati duramente con polizia ed esercito. L'epicentro della rivolta è stata l'Università di Dacca. Al di là della contestata legge, è evidente che anche il Bangladesh affronta gravi problemi di disoccupazione giovanile.

    Ottavo paese più popoloso del pianeta, con 170 milioni di abitanti, il Bangladesh ha un'età media molto bassa e una popolazione concentrata principalmente nell'area urbana di Dacca, che ha una densità abitativa altissima, con 45.000 abitanti per km². Finora si registrano 160 morti, oltre a migliaia di feriti, manifestanti scomparsi, casi confermati di torture, anche ai danni dei giornalisti. Il governo ha chiuso Internet, ma così facendo ha contribuito ad aumentare il caos.

    Oltre alle manifestazioni nella capitale, ci sono stati blocchi delle autostrade e delle ferrovie, attacchi alle stazioni di polizia, tentativi di invasione delle sedi delle TV, e la liberazione di detenuti dal carcere: tutti eventi che danno l'idea di una situazione quasi insurrezionale. Almeno a partire dal 2006, nel paese si è verificata una lunga serie di scioperi nelle fabbriche, in particolare nel settore tessile.

  • Direzione del moto storico

    La teleriunione di martedì sera è cominciata parlando del recente attentato a Donald Trump avvenuto durante un comizio elettorale in Pennsylvania.

    Si tratta di un ulteriore step nel livello di violenza che caratterizza la campagna elettorale americana. L'attentatore, un ragazzo di 20 anni con simpatie repubblicane, ha utilizzato un fucile semiautomatico AR-15, l'arma più diffusa in tutto il Paese con una stima di oltre 40 milioni di pezzi venduti. Naturalmente, non sono mancate le teorie del complotto, ma d'altronde in mancanza di informazioni vagliabili tutte le ipotesi sono aperte.

    Nel nostro articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana", nel capitolo finale intitolato La vita nel ventre della balena, abbiamo ribadito che il moto storico ha una direzione precisa. Gli USA sono ciò che la storia del pianeta li ha portati ad essere. La crisi dell'imperialismo unipolare è dovuta al fatto che sulla scena si stanno affacciando nuove potenze (lo sviluppo ineguale di cui parla Lenin nell'Imperialismo), l'America non ha più la forza di dare ordine al mondo, e non esiste un sostituto all'orizzonte. Si è interrotta la staffetta dell'imperialismo ("Accumulazione e serie storica") e il disordine mondiale aumenta con l'estendersi dei conflitti bellici su scala planetaria. Chiunque sarà il prossimo presidente americano (i pronostici danno per certa la vittoria di Trump), potrà far ben poco per invertire la tendenza economica, la quale produce effetti sulla società.

  • La società analizzata con il wargame

    La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando l'articolo "Wargame. Non solo un gioco" (rivista n. 50), particolarmente utile per comprendere i conflitti bellici e sociali in corso, e per evitare di commettere errori logici nell'analisi.

    In "Wargame" troviamo considerazioni inerenti alla "trasformazione della guerra imperialista in guerra civile", parola d'ordine dell'Internazionale Comunista. Storicamente, la guerra non rappresenta un problema per l'imperialismo ma la soluzione (temporanea) alla sua crisi. Difatti, la nostra corrente afferma che nell'epoca moderna, anche a causa del modo di condurre i conflitti, o passa la guerra o passa la rivoluzione. Oggi le determinazioni di una guerra classica che la farebbero passare da salvezza del modo di produzione capitalistico a elemento della sua distruzione non sono più da considerare ipotesi, dato che la crisi economica è da tempo diventata cronica. L'elettroencefalogramma del capitalismo è piatto.

    Detto questo, finché c'è guerra non c'è disfattismo e quindi non c'è rivoluzione. La rivoluzione, perciò, deve scattare prima che la guerra conquisti la scena mondiale, prima che diventi un fatto totale, tanto più che quella a venire sarà "gestita" da sistemi basati sull'intelligenza artificiale, potenzialmente fuori dal controllo umano. Pensiamo alla fabbrica: il robot, registrando in modo approfondito le competenze dell'operaio, lo va a sostituire.

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email