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  • Resoconto teleriunione  11 luglio 2023

La guerra del futuro

La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 16 compagni, è cominciata riprendendo quanto scritto nell'ultimo resoconto, ovvero che il conflitto in Ucraina sta dimostrando come la tecnologia stia cambiando il campo di battaglia.

Rispetto agli aspetti messi in luce nell'articolo "La sindrome di Yamamoto", notiamo che oggi molti processi sono ormai manifesti. L'Economist, nell'articolo "A new era of high-tech war has begun", osserva, ad esempio, che la carneficina ucraina contiene tre importanti lezioni per il futuro della guerra:

1) il campo di battaglia sta diventando trasparente e i conflitti futuri dipenderanno dalla capacità di riconoscere il nemico prima che lo faccia quest'ultimo; ciò vuol dire accecare i suoi sensori (siano essi droni o satelliti) e interrompere i canali di invio e ricezione dati, attraverso attacchi informatici, elettronici o di altra natura;
2) la guerra attuale, nonostante faccia largo uso di tecnologie avanzate, coinvolge ancora un'immensa massa di esseri umani e milioni di macchine e munizioni. La Russia, ad esempio, ha sparato 10 milioni di proiettili in un anno e l'Ucraina ha perso 10.000 droni in un mese;
3) il confine tra ambito militare e civile è sempre più sfumato. Anche uno smartphone può trasformarsi in un'arma: tramite un'app, infatti, un civile può segnalare la presenza del nemico e così aiutare a guidare il fuoco dell'artiglieria su un obiettivo. A ciò si aggiunge il complesso industriale bellico, composto da aziende private (vedi Starlink di SpaceX), università e laboratori.

Con lo sviluppo delle forze produttive, dice Marx, l'operaio diventa un'appendice della macchina. Il lavoro morto domina su quello vivo, e questo si riflette nel modo di fare la guerra. Oggi l'obiettivo non è solo distruggere le armi e i mezzi del nemico, ma prenderne il controllo; ed è proprio questo il rischio che corrono gli eserciti quando le macchine sono gestite da remoto. Se nel campo di battaglia ucraino si continuano a scavare trincee lunghe decine di chilometri, allo stesso tempo si studia lo sviluppo di armi, sistemi e metodi nuovi. Siamo in una fase di transizione tra due ere, e il conflitto in corso appare come un grande test delle capacità belliche dei maggiori paesi capitalistici e delle loro industrie. Mark Milley, capo dello stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, recentemente ha dichiarato che un terzo delle forze armate diventerà robotico entro i prossimi 10-15 anni (si pensi agli aerei senza pilota e ai carri armati senza equipaggio), confermando che la tendenza in atto è quella del fronteggiarsi di sistemi dotati di intelligenza.

Detto questo, gli Stati Uniti in Ucraina si trovano di fronte a due tipi di scenario: lasciare la vittoria in mano ai Russi (che già controllano circa il 20% del territorio ucraino), oppure accettare lo scontro, anche diretto, portandolo così ad un livello maggiore sia in termini di intensità che di estensione. In questo caso entreremmo a pieno titolo nella Quarta Guerra Mondiale.

Il fattore umano è sempre meno importante, al contrario l'industria tecnologica e la necessità di reperire e ordinare enormi quantità di dati (Big data) lo sono sempre di più. Chi ha la capacità di elaborare wargame computerizzati ha una marcia in più rispetto agli altri. La guerra elettronica passa anche per la ricerca della "supremazia elettromagnetica", poichè in un conflitto ognuno emette dei segnali che lo rendono un bersaglio visibile. Diventa quindi fondamentale sviluppare nuovi modi di combattere, basandosi sulla mobilità, la dispersione e l'inganno. Come scritto ne "La sindrome di Yamamoto":

"È intuitivo: essendo la guerra elettronica invisibile, impalpabile, a-dimensionale, attiva e passiva allo stesso tempo, esprime bene il mondo capitalistico giunto al suo crepuscolo, mondo nel quale si espandono le prove che spiegano la fine di un'epoca. Ricordiamo ad esempio scrittori come Calvino che hanno intuito prima di tutti il viaggio della tecnologia dalla pesantezza alla leggerezza, o come Baricco, che intravedono uno sviluppo unitario come totalizzante wargame in grado di sottomettere i potenti stati moderni."

In guerra vengono usati sensori sempre più potenti per rilevare gli obiettivi, e munizioni sempre più precise per colpirli. Il tutto è collegato da complesse strutture di comunicazione. In questi sistemi si possono, però, inserire segnali di disturbo capaci di interrompere il corretto funzionamento di GPS e Radar (The Economist, "The latest in the battle of jamming with electronic beams"). Come dice Engels, siamo alla dialettica cannone/corazza.

Nella precedente teleriunione abbiamo fatto cenno alle Tesi sulla tattica (Roma, 1922), da noi paragonate ad un wargame giocato senza computer. Oggi chiunque ha un computer a disposizione può rendere tale modello interattivo. Il wargame è un processo totalitario che coinvolge tutta la società (videogiochi, realtà aumentata, giochi di guerra, ecc.). Il partito rivoluzionario emergerà quale organismo bio-cibernetico, come anticipato nelle Tesi di Milano (1966), dove si dice che la "trasmissione tra le molecole che compongono l'organo partito ha sempre contemporaneamente la doppia direzione; e la dinamica di ogni unità si integra nella dinamica storica del tutto."

Il partito dell'antiforma non può rimanere indietro rispetto all'avanzamento generale del cervello sociale, deve anzi anticipare i caratteri futuri sviluppati. All'epoca dell'uscita del saggio I barbari, Eugenio Scalfari aveva polemizzato con l'autore Alessandro Baricco sul tema della profondità della conoscenza, condizione irraggiungibile, secondo il giornalista, da una intelligenza diffusa. Più o meno nello stesso periodo Umberto Eco, a proposito di Internet, tesseva l'elogio della ricchezza (intellettuale) e bacchettava la povertà di quelli che chattavano sul Web scambiandosi sciocchezze. Sia Eco che Scalfari non hanno saputo cogliere la trasformazione in corso, non hanno compreso di trovarsi di fronte alla formazione di un general intellect: tante intelligenze parziali collegate in rete producono un'intelligenza superiore (vedi Wikipedia).

Dopo le ultime proteste nelle banlieue la Francia vuole limitare l'uso dei social network durante le rivolte, ma un fenomeno di massa non si può fermare chiudendo qualche piattaforma. Infatti, è spuntata l'idea di lanciare appuntamenti fissi settimanali in piazza come al tempo dei gilet gialli. Spegnere Internet equivale a bloccare l'economia: il risultato sarebbe uno sciopero generale. Durante l'occupazione di piazza Taksim (Occupy Gezi) in Turchia nel 2013, vennero diffusi in Rete dai manifestanti immagini e disegni di pinguini, ben presto diventati meme, che ridicolizzavano il tentativo da parte dello stato di distogliere l'attenzione dalla protesta trasmettendo sulle tv del paese documentari su questi animali senza far cenno alla rivolta in corso. In Cina, alcuni mesi fa, ci sono state proteste contro la censura di stato (protesta dei fogli bianchi), e ora sono in corso quelle dei neolaureati contro la disoccupazione. La repressione fa aguzzare l'ingegno e spinge i manifestanti ad inventare nuovi mezzi per bypassare il controllo e limiti imposti dalle autorità.

Seguendo i siti che si occupano di questioni militari e geopolitiche, si nota che lo sguardo sulla guerra è unidirezionale, schiacciato sul presente, difetto tipico degli esperti che non riescono a collegare organicamente i vari piani d'analisi (che rapporto c'è, ad esempio, tra la guerra attuale e la crisi di accumulazione?). Eppure, la stessa borghesia è arrivata a formulare una "teoria generale dei sistemi" (von Bertalanffy), a comprendere che tutto è connesso e che viviamo in un mondo d'infinite relazioni. Marx ha anticipato la visione cibernetica della società: la sua non è un'ideologia politica ma una teoria dinamica dei sistemi economico-sociali. Nel corso del Novecento è stato il turno di Wiener, Shannon, Forrester, Lovelock e tanti altri. Questi scienziati, seppur borghesi, hanno raggiunto dei risultati utili alla specie.

Abbiamo concluso la teleriunione con un accenno alle manifestazioni in corso in Israele contro la legge sulla giustizia. Lo Stato è spiazzato perché da un po' di tempo scendono in piazza tutte le classi, anche quelle più reazionarie, e per i motivi più disparati. Alla base c'è un disagio montante che riguarda l'insieme della società. La piccola borghesia, schiacciata tra il proletariato e la borghesia, dà chiari segni di irrequietezza; il sistema va in cortocircuito quando a mobilitarsi è la poltiglia sociale di mezzo ("Wargame - parte seconda").

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    Nel video si afferma che i wargame non sono la replica esatta della situazione reale, ma possono essere utili per pianificare azioni. Per esempio, i "giochi di guerra" che simulano un conflitto tra USA e Cina nell'Indo-Pacifico, dimostrano che un scenario di questo tipo non avrebbe sbocchi (non ci sarebbe un vincitore) e che quindi andrebbe evitato. Non è detto, però, che tali "consigli" siano seguiti da chi ha responsabilità politiche e militari.

    La divulgazione e pubblicazione dei wargame, su riviste specializzate e non, è funzionale anche alla manipolazione della cosiddetta opinione pubblica, e cioè a prepararla a situazioni future. Dall'epoca napoleonica, quando queste simulazioni erano composte da soldatini da muovere su un campo di battaglia tridimensionale, sono stati introdotti elementi di complessità conseguenti alle capacità di elaborazione dei computer; wargame molto sofisticati non sono più pertinenza esclusiva degli addetti ai lavori, ma permeano la società intera. Il gioco di guerra immaginato, preparato e tradotto in una realtà virtuale è più potente di quello studiato a tavolino, anche in questo campo gli uomini sono surclassati delle macchine. Si pensi alla gamification, termine difficilmente traducibile in italiano ("ludicizzazione"), che non è altro che l'utilizzo di elementi mutuati dai giochi in contesti diversi. Gli eserciti, in alcuni casi, si sono appoggiati ai videogamer per simulare scenari di guerra.

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