Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  17 marzo 2015

Guerra diffusa e "power to the people"

La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 14 compagni, è iniziata dal commento di due articoli di giornale su temi economici.

Il primo, comparso sul Venerdì di Repubblica, è una recensione di Riccardo Staglianò al libro Ego. Gli inganni del capitalismo di Frank Schirrmacher. Nel testo si stima che il valore dei derivati presenti sul mercato mondiale, nel 1970 pari a zero, abbia raggiunto i 1200 trilioni di dollari nel 2010. La cifra è da capogiro. Se davvero gli investimenti stanno per ripartire, questa enorme massa di capitale fittizio, la prima a riattivarsi e a muoversi nei mercati in caso di ripresa economica, minaccia di avere un impatto tremendo sui circuiti della finanza globale.

Nel secondo articolo commentato, Ma i Nobel riaccendono l'allarme ora il rischio è la stagnazione secolare, il giornalista Federico Rampini richiama l'attenzione sulla necessità di un aumento della produttività per salvare il capitalismo da una stagnazione secolare. Ne hanno discusso a New York i guru dell'economia mondiale, tra cui il Nobel Edmund Phelps che ha dichiarato: "L'innovazione tecnologica non si trasmette più come una volta negli aumenti di produttività del lavoro. Crediamo di vivere in un'epoca prodigiosamente innovativa, ma i gadget sfornati dalla Silicon Valley non stanno aumentando la produttività umana ai ritmi che erano tipici degli anni Sessanta. E se non riparte la produttività, c'è un altro freno alla ripresa delle buste paga."

Ne siamo proprio sicuri? L'aumento della produttività determina la produzione di un maggior numero di merci con l'impiego di un minor numero di operai; nello stato attuale dell'economia questo si tradurrebbe in un ulteriore aggravamento della crisi di sovrapproduzione. D'altra parte Thomas Piketty avverte da tempo gli esimi colleghi: esiste un nesso tra stagnazione e diseguaglianze: la ricchezza mal distribuita, concentrata in una minoranza della popolazione, non alimenta più i consumi. L'ambiente accademico tenta insomma di rispondere alle richieste di cambiamento economico e politico che si alzano da più parti nella società, ma gli riesce solo di sfornare ricette per tamponare gli effetti, senza osare un passo in più verso la radice del problema.

La teleconferenza è proseguita con la lettura di alcuni brani da due articoli dell'analista militare americano John Robb: The Open-Source War e Security: Power To The People. I due scritti, pubblicati una decina di anni fa, hanno il merito di aver anticipato i principi teorici e la prassi adottati dalla politiguerra americana. Robb comprende lo stretto legame tra la guerra e le condizioni della produzione, intravedendo la dinamica che porta il conflitto a farsi sempre più robotico, telematico e diffuso nella società.

Dalla seconda guerra del Golfo in avanti, l'insurrezione anti-Usa si è data una struttura a rete basata su unità autonome, seguendo cicli di innovazione molto più veloci di quelli degli eserciti classici legati alla burocrazia e alle decisioni dei rispettivi parlamenti. Con gli attacchi dell'11 settembre alle Twin Towers, Stati Uniti e alleati si sono trovati di fronte ad un nuovo nemico, agile, internazionale e senza volto. Per questo motivo per combattere tali fenomeni deve essere messo in campo una contro-insurrezione altrettanto diffusa, attivando partigianerie e praticando l'outsourcing globale con ampio utilizzo di contractors, mercenari, organizzazioni paramilitari e non governative.

Per spiegare le differenze generate da questi cicli di innovazione, Robb utilizza un paragone: se l'esercito americano corrisponde alla Microsoft Corporation, le forze militari del cosiddetto terrorismo possono essere associate al funzionamento dei network open-source. Si sviluppano quindi strutture a rete, che combattono gli Stati con armi modeste ma capaci di provocare l'interruzione dei sistemi energetici; si finanziano con il traffico di droga, armi ed esseri umani; investono i capitali così ottenuti nel sistema finanziario mondiale. La minaccia di una serie di attacchi alle infrastrutture statali che possa mettere in ginocchio un paese e alla lunga farlo collassare, deve trovare risposta in nuovi sistemi di sicurezza a loro volta decentralizzati: l'esercito si deve fondere con la società e formare delle comunità combattenti che possano resistere alla dissoluzione dei servizi pubblici e al fallimento del Welfare State.

Dell'analisi di Robb colpisce soprattutto l'approccio bio-cibernetico alla guerra, lo stesso che abbiamo utilizzano nei nostri articoli sulla politiguerra e su Occupy Wall Street. Di notevole interesse è anche il suo libro Brave New War (2007), in cui tratta di comunità resilienti che si organizzano diventando autosufficienti e pronte a resistere ad attacchi esterni.

La borghesia è in difficoltà, tocca con mano il marasma sociale e la guerra. Alcune sue componenti propongono strategie e tattiche per la trasformazione della guerra generale in guerra civile, fino all'idea di separarsi dal resto della società munendosi di strutture armate di auto-difesa. Tra l'altro negli Stati Uniti esistono già zone residenziali private, spesso protette da cancelli e muri, che puntano all'auto-sufficienza energetica. Resta da chiedersi che tipo di comunità costituiranno i senza riserve. Un primo abbozzo lo si è visto in OWS, e nelle strutture di mutuo soccorso che il movimento è riuscito a mettere in campo in questi ultimi anni.

La riunione si è conclusa, oramai come d'abitudine, con un aggiornamento sulla situazione irachena e uno sguardo alla faccende interne italiane.

L'offensiva su Tikrit ha subito un arresto: lo Stato Islamico ha disseminato la città di cecchini e trappole esplosive, dimostrando di avvalersi di combattenti di prim'ordine. L'esercito iracheno ha richiesto l'ausilio delle forze aeree degli Stati Uniti, i quali però si guardano bene dall'intervenire in maniera decisiva tenendo il piede in due scarpe - l'Arabia Saudita e Israele -, probabilmente riservandosi l'azione per un secondo momento quando le energie del nemico saranno calate e il terreno più favorevole.

In un ambiente di alleanze imperialistiche mutevoli i sinistri nostrani sono completamente disorientati. Un giorno sono contro gli yankee e per il sostegno incondizionato alla resistenze antimperialiste, l'altro contro l'islamofascismo e a favore dei curdi del Rojava; ripropongono i soliti slogan senza contenuto empirico, si indignano per gli "attacchi padronali" e lavorano per la formazione dell'ennesimo "fronte politico" o "coalizione sociale" che dir si voglia.

Non riescono a capire che la grande controrivoluzione in corso esiste solo perché incombe il suo oggetto, cioè la rivoluzione.

Articoli correlati (da tag)

  • Un mondo inospitale

    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 18 compagni, è iniziata con il commento di alcune note di un compagno sul libro di Nouriel Roubini La grande catastrofe: dieci minacce per il nostro futuro e le strategie per sopravvivere.

    Il libro è forse il primo in cui nella parte conclusiva non si fa cenno a miracoli per salvare la società capitalistica da sé stessa. Già questo è un tratto interessante. Infatti, l'autore propone solo due scenari a cui deterministicamente faremo fronte: uno "distopico" e uno "utopico". Ancora una volta l'economia politica si dimostra incapace, attraverso i suoi modelli e strumenti interpretativi, di compiere un salto, a noi già noto, "dall'utopia alla scienza". Se non si riconosce il comunismo come " movimento reale che abolisce lo stato di cose presente", non si possono che raffigurare distopie e utopie rinascimentali (altro spartiacque storico). I due termini sono raffrontati senza far riferimento a un qualsiasi parametro di specie: Utopia rispetto a cosa? Distopia dovuta a? Roubini ci spiega solo che siamo in una tempesta "perfetta", perché le megaminacce ormai incombenti sono date come "strutturali"; diremo noi, connaturate all'attuale modo di produzione. Sono strutturali ma non si dà una spiegazione di questo aggettivo. Si dice, correttamente, che la complessità delle megaminacce sta nella loro sincronia e nell'interagire tra loro, difficilmente prevedibile e computabile. L'ideologia dominante comincia a proporre la sua visione cieca: è molto più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo.

    Per l'economista statunitense è sicuro che una bolla finanziaria scoppierà, l'incognita riguardo solo il quando e quanto in termini di danni provocati. Dice inoltre che bisogna tenere d'occhio l'eurozona e i suoi anelli più deboli, come Italia e Grecia, i primi che a causa di una crisi del debito potrebbero saltare, provocando un effetto domino.

  • La grande catastrofe

    La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata commentando lo stato del sistema bancario alla luce del crollo dei mercati seguito al fallimento della Silicon Valley Bank (SVB), un istituto californiano fondato a Santa Clara nel 1983 e divenuto rapidamente la banca di fiducia di aziende tecnologiche e startup.

    SVB, la sedicesima banca degli Stati Uniti, non sapendo che farsene della liquidità raccolta negli ultimi anni, ha investito principalmente in titoli di Stato americani, arrivando a fine 2022 a detenere quasi 100 miliardi di bond governativi. Con il rialzo dei tassi d'interesse, le startup che prima riuscivano ad ottenere denaro pressoché gratuito dai fondi, sono andate in affanno e hanno dovuto prelevare dai depositi della banca californiana una grande quantità di denaro. Per far fronte ai prelievi, SVB ha dovuto vendere ad un prezzo inferiore i titoli accumulati, perdendo circa due miliardi di dollari, e facendo scattare prima la corsa agli sportelli e poi l'intervento di FED e governo. Biden si è affrettato a dichiarare al mondo che il "sistema bancario è solido. Nessuna perdita sarà a carico dei contribuenti."

    Assicurazioni sulla solidità del castello di carta della finanza sono state elargite anche quando è scoppiata la crisi dei mutui subprime nel 2008, eppure da allora il mondo non si è più ripreso. Nell'articolo "Non è una crisi congiunturale", pubblicato quell'anno (rivista n. 23), scrivevamo che ogni proiezione prevedeva il ripresentarsi di una crisi catastrofica entro un paio di decenni. Se aggiungiamo gli eventi che si sono verificati in seguito, come la Primavera araba, la crisi degli Stati, la pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina, ne deduciamo che il sistema si sta sgretolando.

  • Cicli che si chiudono

    Alla teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 20 compagni, abbiamo parlato di robot e automazione partendo da un articolo dell'Economist intitolato "Don't fear an AI-induced jobs apocalypse just yet".

    Lo scorso primo marzo, all'Investor Day 2023 di Tesla, Elon Musk ha presentato Optimus, un robot umanoide da utilizzare a casa e in fabbrica del costo previsto di 20.000 dollari. Durante il meeting è stato proiettato il video di un automa intento a costruirne un altro simile: a breve, ha dichiarato l'imprenditore sudafricano, il rapporto 1:1 tra robot e umani potrebbe essere superato.

    Se effettivamente si arrivasse a produrre un esercito di otto miliardi di robot, i problemi derivanti da tassi di disoccupazione elevatissimi non potrebbero essere tollerati dall'attuale modo di produzione, basato sul sistema del lavoro salariato. Osserva infatti Musk: "Non è nemmeno chiaro cosa sia un'economia a quel punto".

    Già oggi vi sono produzioni altamente automatizzate: lo scorso dicembre ABB, multinazionale elettrotecnica svizzero-svedese, ha aperto una mega-fabbrica di 67.000 metri quadrati a Shanghai, dove i robot producono altri robot. Ocado, il più grande rivenditore di generi alimentari online al mondo, si affida agli automi per consegnare cibo fresco a migliaia di persone nel Regno Unito; i suoi magazzini sono progettati come organismi viventi, dotati di un sistema nervoso centrale (software), un sistema cardiovascolare (nastri trasportatori) e di globuli rossi (casse). Il confine tra il mondo del nato e quello del prodotto è sempre più incerto.

Rivista n°52, dicembre 2022

copertina n°52

Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

Articoli: La malattia non esiste, parte prima - Un sistema che ingegnerizza sé stesso? - La riduzione dell'orario di lavoro non è più un tabù

Rassegna: L'ennesima conferenza sul clima - Polarizzazione crescente - Pericolose tempeste"

Recensione: Gaia, le macchine autoreplicanti e l'intelligenza collettiva

Doppia direzione: Più "avanzato" Lenin o Bogdanov? - Cooperazione e sostegno

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email