Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  28 giugno 2016

La fine delle illusioni

La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sulla Brexit e sulle sue conseguenze nel breve e medio periodo.

Dopo la vittoria del leave al referendum del 23 giugno, il premier britannico Cameron prende tempo e annuncia che non chiederà l'uscita immediata del Regno Unito dall'Unione Europea, mentre i maggiori paesi membri spingono per una soluzione veloce. Significativo l'articolo Ipotesi balcanizzazione per l'Europa del Sole 24 Ore: "Il salvataggio dell'euro e dell'Europa non sarà comunque l'inizio di una nuova era di benessere ma il tentativo estremo di evitare la balcanizzazione, le guerre e i conflitti. Questa è la posta in gioco. Quanto all'economia è la fine delle illusioni: il sistema attuale non produce posti di lavoro, che scompaiono o diventano sempre più precari, numeri effimeri buoni per le statistiche. La fine del lavoro come lo abbiamo conosciuto accompagna quello del welfare europeo."

Siamo arrivati al punto in cui gli stessi giornali della borghesia ammettono che il Sistema non regge più e che la balcanizzazione dell'Europa è una realistica possibilità. Lo scorso venerdì 24 giugno, ennesimo "Black Friday", è costato alle Borse mondiali 2000 miliardi di dollari in perdite. Secondo gli operatori finanziari questo tonfo supera il precedente storico di 1.900 miliardi bruciati nel 2008 all'indomani del crack di Lehman Brothers.

E' percezione diffusa che quella in corso non sia una crisi congiunturale: il marasma sociale e la guerra si estendono sempre più, dopo gli attacchi a Parigi e Bruxelles ora è il turno di Istanbul. Il processo della vita senza senso si aggrava a ritmi incredibili e attentati e "stragi terroristiche" non fanno più notizia.

Le classi dominanti prendono atto che sta venendo avanti qualcosa di sconvolgente, ma brancolano nel buio. Il numero del 25 giugno dell'Economist esce con un dossier sulle macchine in cui i pasdaran del capitalismo liberista ripetono messaggi rassicuranti: attraverso investimenti nell'istruzione, il potenziamento della formazione e la modernizzazione dei sistemi di welfare si potrebbe vincere la sfida lanciata dall'intelligenza artificiale. Tutte balle: lo sviluppo della forza produttiva elimina per sempre lavoro umano. Di fronte a questa realtà, Stephen Hawking ed Elon Musk mettono in guardia l'umanità dalla possibilità che le macchine prendano il sopravvento.

Il problema non sono i robot o i computer, il problema è il capitalismo. Lo sviluppo del sistema di macchine, come detto in Traiettoria e catastrofe della forma capitalistica, mette in crisi il sistema del lavoro salariato: "Questa dottrina dell'automatismo nella produzione si riduce a tutta la nostra deduzione della necessità del comunismo, fondata sui fenomeni del capitalismo."

Fino a poco tempo fa parlare di salario ai disoccupati e drastica riduzione dell'orario di lavoro era difficile, oggi è lo stesso capitalismo a sfornare teorie sul reddito di cittadinanza. Lottare per la difesa del posto di lavoro ha sempre meno senso, ed è necessario cambiare paradigma e adottare un punto di vista di specie: la prossima rivoluzione conoscerà di nuovo l'unità tra lavoro e vita ma non sarà un "ritorno" al passato, sarà un balzo verso l'eliminazione del lavoro come "pena", verso la trasformazione in tempo di vita di tutta l'esistenza attiva dell'uomo.

A proposito di nuovi paradigmi, pochi ricordano l'esperienza di Occupy Wall Street, un movimento di classe, leaderless e anticapitalista. Nel 2011, giovani esuberanti che odiano il capitalismo si ritrovano a Zuccotti Park e danno vita a OWS, occupando la piazza, piantando tende e allestendo una libreria e una mensa comune. #Occupy diventa presto un meme e comincia a vivere di vita propria sulla Rete. Le iniziali parole d'ordine democratoidi vengono velocemente abbandonate e il movimento scatta di livello: la netta contrapposizione 99/1 per cento s'impone e si generalizza al mondo intero. I massimi rappresentanti del Capitale, gli Stati Uniti, esprimono il massimo dell'antiforma. Così come al tempo della Grande Depressione quando, in reazione ad un sistema economico che risultava sempre più inefficiente nel soddisfare i bisogni materiali degli individui, prese piede il "movimento tecnocratico" che teorizzava la possibilità di conteggiare l'attività umana in quantità fisiche o addirittura in semplici scambi di energia (Soviet of Technicians). Per quanto riguarda l'Europa, probabilmente è necessario passare attraverso forme ibride come Nuit Debout affinché si possa affermare un movimento genuinamente antiformista. Viene in mente quanto scrive Marx ne Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850:

"Chi soccombette in queste disfatte non fu la rivoluzione. Furono i fronzoli tradizionali prerivoluzionari, risultato di rapporti sociali che non si erano ancora acuiti sino a diventare violenti contrasti di classe, persone, illusioni, idee, progetti, di cui il partito rivoluzionario non si era liberato prima della rivoluzione di febbraio e da cui poteva liberarlo non la vittoria di febbraio ma solamente una serie di sconfitte. In una parola: il progresso rivoluzionario non si fece strada con le sue tragicomiche conquiste immediate, ma, al contrario, facendo sorgere una controrivoluzione serrata, potente, facendo sorgere un avversario, combattendo il quale soltanto il partito dell'insurrezione raggiunse la maturità di un vero partito rivoluzionario."

Le rivoluzioni procedono per differenze. La società borghese è obsoleta e il nuovo mondo spinge con sempre maggiore forza per emergere: prima o poi singoli e gruppi cominceranno a fare il confronto tra quello che c'è e quello che potrebbe esserci, e se volgeranno lo sguardo al futuro invece che al passato per il capitalismo sarà la fine.

Il partito storico si forma e si sviluppa tutto intorno a noi, basta avere antenne sintonizzate sulla lunghezza d'onda giusta per captarne i segnali. La controrivoluzione in corso è un blocco, un fermo della rivoluzione, ma potrebbe anche essere, dialetticamente, un momento di slancio: non è possibile arrestare a lungo lo sviluppo delle forze produttive.

Articoli correlati (da tag)

  • Guerra, debito, polarizzazioni

    La teleriunione di martedì è iniziata riprendendo l'articolo "Wargame. Parte seconda", pubblicato sul numero 51 della rivista.

    In quel lavoro abbiamo contrapposto il Partito Azzurro, rappresentante della conservazione, al Partito Arancione, espressione dei manifestanti, in un "gioco" dinamico riguardante un'ipotetica manifestazione dai confini sfumati. Per inibire i comportamenti emergenti dalla piazza, il Partito Azzurro è costretto ad intervenire aggiornando il proprio programma, ma le configurazioni previste sono obsolete, in quanto dettate da una consuetudine che non contempla soluzioni antiforma. Al contrario, il Partito Arancione, opportunamente diretto, può cambiare le regole del gioco.

    Le difficoltà rispetto alla lettura della complessità di questo mondo possono essere superate solo da quelle che abbiamo definito macchine per conoscere, ovvero teorie, modelli e schemi.

    Il tema del wargame è utile per comprendere le dinamiche e gli sbocchi della guerra guerreggiata. C'è chi esulta per la tregua tra Israele ed Hamas, mediata dagli USA (e che ha già prodotto decine di morti tra i Palestinesi), ma all'orizzonte si prospetta la riapertura del fronte con l'Iran. Il conflitto in Ucraina è tutt'altro che risolto. Il conflitto mondiale in corso non si può combattere con le armi e le dottrine a disposizione, ma le nuove non sono ancora pronte; è impossibile mettere in forma questo tipo di guerra, tanto che i vari think tank che si occupano di analisi geopolitica non riescono a tracciare una dinamica, faticando a comprendere come potrebbe evolvere la situazione mondiale.

  • Un mondo, un wargame

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con alcune considerazioni riguardo le recenti mobilitazioni pro-Pal alla luce dei nostri lavori sul wargame.

    In diverse parti del mondo sono in corso da mesi manifestazioni in solidarietà con la popolazione palestinese nella Striscia di Gaza. In Italia, durante lo sciopero generale del 3 ottobre, oltre due milioni di persone hanno preso parte ai cortei organizzati in più di 100 città, con 300 mila manifestanti solo a Roma. Secondo la CGIL, l'adesione media nazionale è stata intorno al 60%. Quando scendono in piazza così tante persone, a prescindere dalla motivazione ufficiale, vuol dire che c'è qualcosa nel sottosuolo sociale.

    La guerra ha fatto emergere un malessere che già covava all'interno della società. Da anni scriviamo che la spinta alla rivolta deriva dalla crisi storica del capitalismo, dall'inceppamento della legge del valore. A ciò si aggiunge un diffuso senso di insicurezza verso il futuro, avvertito in particolare dalle giovani generazioni che si trovano a fare i conti con la "vita senza senso", la precarietà, la miseria, la prospettiva della guerra (i politici parlano apertamente della necessità di reintrodurre la leva obbligatoria).

  • Un esercito di senza-riserve

    La teleconferenza di martedì è iniziata con il commento di due articoli dell'Economist sulla situazione della forza lavoro cinese.

    In "China's 200m gig workers are a warning for the world" si parla della più grande concentrazione al mondo di gig-workers, i 200 milioni di lavoratori precari cinesi. In Cina il capitalismo si è sviluppato molto rapidamente e circa il 40% della forza lavoro urbana è coinvolto nel processo di precarizzazione del lavoro, con salari spesso insufficienti per acquistare una casa e fare dei figli (nel paese il problema demografico è rilevante). Questa platea di lavoratori è la più avanzata al mondo e dimostra un'estrema facilità ad accedere alle piattaforme digitali, dato che il rapporto economico non è più con un datore di lavoro in carne ed ossa ma con applicazioni e software. La diffusione delle app, sia tra i consumatori che tra i lavoratori, è diventata molto importante in tutta l'Asia: l'Economist collega le lotte scoppiate nelle ultime settimane, ad esempio in Indonesia, ai fenomeni di trasformazione della forza lavoro, sottolineando come la carenza di buoni impieghi sia una delle ragioni per cui i giovani di diversi paesi dell'area si sono sollevati in protesta contro i loro leader politici.

    Le forme di lavoro occasionale e flessibile si sono estese al settore manufatturiero, dove milioni di lavoratori, circa un terzo del proletariato industriale, ricoprono impieghi on demand, su richiesta. A differenza della gig-economy occidentale, quasi interamente incentrata sui servizi, in Cina circa 40 milioni di lavoratori qualificati sono pagati a giornata o a settimana per lavorare in fabbrica. Secondo un'indagine di Zhang Dandan dell'Università di Pechino, nei più grandi complessi manifatturieri del paese i precari arrivano a costituire l'80% della forza lavoro. Parallelamente, stime semi-ufficiali indicano che circa 84 milioni di cinesi sono impiegati in aziende online, consegnando cibo e pacchi o guidando taxi.

Rivista n°57, luglio 2025

copertina n° 57

Editoriale: Illusioni capitalistiche / Articoli: Ideologie di un capitalismo che nega sé stesso - Insiemi, modelli, previsione / Rassegna: Crisi americana, crisi globale - Leone XIV / Recensione: La catastrofe ed il rattoppo / Doppia direzione: Collegamenti a non finire / In memoria di Jacques Camatte

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email