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  • Resoconto teleriunione  1 luglio 2025

Dinamiche di collasso

La teleriunione di martedì sera è iniziata riprendendo i temi trattati durante lo scorso incontro redazionale, a partire dall'irrisolvibile problema del debito americano.

Nella video-intervista "USA: ricorrere alla forza per sostenere l'economia non funziona più", Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea, spiega che le spese degli Stati Uniti per gli interessi sul debito hanno superato quelle per la difesa. Si tratta di un deficit colossale, condito da una situazione finanziaria in continuo peggioramento. Secondo lo storico, la tenuta del dollaro è a rischio poichè lo strumento militare non solo è inefficace, ma è ormai diventato fattore di ulteriore instabilità interna. Quando abbiamo scritto l'articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" (2003), certe analisi non erano così diffuse; oggi, di fronte ai profondi cambiamenti in atto, alcuni ambienti borghesi giungono alle medesime conclusioni. Gli USA hanno problemi di deterrenza e, di conseguenza, registrano problemi finanziari, ovvero nella gestione dei flussi di valore internazionali.

Secondo Volpi, la divergenza esiste anche all'interno del potere finanziario americano: da un lato vi è chi è più concentrato sugli interessi nazionali, e dall'altro chi, come nel caso delle Big Three capaci di muovere migliaia di miliardi di dollari (BlackRock, State Street, Vanguard), comincia a puntare su altre monete, sul riarmo europeo, sulle criptovalute, diversificando maggiormente gli investimenti per non trovarsi impantanato in caso di crisi acuta del dollaro.

Nel capitalismo giunto alla fase senescente, gli USA non sono in guerra soltanto con il resto mondo ma anche con la propria popolazione. Lo storico britannico Niall Ferguson ha scritto molto sul declino delle economie e ha elaborato un modello che oggi applica alla fase di crisi attraversata dagli Stati Uniti. Storicamente, una grande potenza economica-militare cessa di essere tale quando spende più per gli interessi del debito che per la propria difesa; la Spagna asburgica, la Francia dell'Ancien Régime, l'Impero Ottomano e l'Austria-Ungheria vennero sopraffatte dal peso del debito. La pressione politica per mantenere la spesa pubblica, i disavanzi storici, l'invecchiamento della popolazione, l'aumento dei tassi d'interesse sono tutti segnali dell'inevitabile tramonto.

Al vertice NATO tenutosi in Olanda, la maggior parte dei paesi europei (tranne la Spagna) ha deciso di portare al 5% del PIL la quota da devolvere alle spese militari. Gli USA vogliono far pagare ai "vassalli" europei i costi della propria difesa.

La "guerra dei 12 giorni" tra Iran ed Israele si è conclusa con una tregua. Gli analisti di geopolitica ritengono che si sia trattato di una sceneggiata, poiché i vari attori coinvolti sono stati preventivamente informati. In questo conflitto sembra aver prevalso la volontà americana di impedire l'estendersi della guerra nell'intera area mediorientale. Tutti cantano vittoria, USA, Israele e Iran, ma questo tipo di operazioni costa parecchio, sia a chi attacca sia a chi si difende. In Iran si è svolta una guerra prevalentemente aerea e di sistemi d'intelligence, senza un intervento diretto di truppe di terra, se non quello dei commando israeliani. D'altronde, conquistare un paese di 90 milioni di abitanti, di cui 16 nella sola Teheran, è estremamente difficile.

Trump è andato al governo intenzionato a risolvere la guerra in Ucraina in 24 ore, ma non solo il conflitto continua, è stato anche costretto ad intervenire in Medioriente. Gli USA hanno grossi problemi di arruolamento, e il loro apparato militare-industriale non riesce a tenere il passo con le crisi che si prospettano all'orizzonte. Come faranno a mantenere la loro enorme struttura militare fuori confine? Le 800 basi americane sparse per il pianeta sono sempre più aliene, e devono confrontarsi con un mondo in preda al marasma sociale e alla guerra. Sia gli individui che gli Stati sono sprovvisti di libero arbitrio e prendono decisioni perché sottoposti ad una rete di azioni e reazioni. Nel caso degli Houthi, che minacciano il passaggio nello stretto di Bab el-Mandeb, gli USA sono stati costretti ad intervenire, militarmente e poi diplomaticamente.

Tutti questi elementi indicano che la guerra mondiale non riesce a dispiegarsi nella sua totalità proprio per l'intricata situazione a livello inter-imperialistico, dovuta alla precarietà delle alleanze, che riflette a sua volta la precarietà delle economie. Ci riferiamo alla condizione critica degli USA, ma bisognerebbe soffermarsi anche su quella di Cina, Russia, Iran e dei paesi europei. Lo stesso vale per i problemi sociali interni, che caratterizzano gli Stati Uniti ma anche, ad esempio, Israele, dove recentemente alcuni coloni hanno attaccato una base dell'esercito.

Nel conflitto ucraino, Kiev combatte da una parte con i carri armati e le trincee, dall'altra con droni e velivoli terresti senza pilota (The Economist, "Ukraine is inching towards robot-on-robot fighting"), dotati di telecamere e sistemi per condurre la guerra elettronica. Esiste una terra di nessuno, una fascia di circa 10 km tra esercito russo e ucraino, dove è massiccio l'utilizzo di robot per lo spionaggio. Squadre di droni terrestri vengono utilizzati per posare le mine e abbattere i droni nemici. Scarseggiando gli uomini da mandare al fronte, l'Ucraina ha annunciato l'intenzione di schierare 15.000 robot terrestri. Ovviamente, Mosca non starà con le mani in mano e aggiornerà il proprio sistema militare. Del resto, quanto avviene nel contesto bellico è il portato dello sviluppo dell'industria. E' notizia recente l'annuncio di Amazon sull'impiego di un maggior numero di robot (sono già un milione) nei suoi centri logistici.

L'Ucraina ha un PIL di 180 miliardi di dollari e attualmente sopravvive grazie agli ingenti prestiti dei paesi occidentali. La Russia, come l'Italia, ha un PIL di circa 2 mila miliardi di dollari, ma è un gigante militare e si muove come tale. La Germania, pur avendo un PIL maggiore, è un nano politico: evidentemente esistono fattori che non dipendono soltanto dalla capacità economica, ma dalla storia dello sviluppo capitalistico che ha condizionato certe aree geostoriche ("Il pianeta è piccolo", 1950).

Trump dice di voler far ritornare l'America grande, reindustrializzandola, ma bisognerebbe capire come mai il paese è diventato piccolo. Alle primarie dei Dem per la candidatura al sindaco di New York ha vinto Zohran Mamdani, politico e attivista musulmano, demo-socialista, contrario alle campagne anti-immigrati dell'attuale amministrazione. Mamdani ha condotto una campagna elettorale imperniata sulla necessità di tassare i ricchi ed investire in sanità e servizi, soprattutto per i più poveri. Una parte della classe dominante americana vede di buon occhio l'opzione redistributrice: tassare i ricchi pur di evitare l'acutizzarsi delle polarizzazioni sociali.

Così come il movimento MAGA ha scombussolato il Partito Repubblicano, allo stesso modo la vittoria di Mamdani ha messo in crisi il Partito Democratico. Queste polarizzazioni sono il frutto della crisi economica: chi ha votato Trump vuole indietro il sogno americano e vede nell'establishment democratico un nemico; chi invece si è polarizzato su Mamdani pretende che la crisi la paghino i ricchi (1%). Si tratta di rivendicazioni interne al sistema, ma che dimostrano che quest'ultimo non funziona più. Oggi si muovono sciami sociali, difficilmente inquadrabili nelle vecchie strutture politiche di novecentesca memoria. Musk, critico della nuova legge di bilancio voluta da Trump, ha dichiarato su X: "È evidente con la spesa folle di questo disegno di legge che aumenta il tetto del debito di un record di cinquemila miliardi di dollari, che viviamo in un Paese con un unico partito, il 'partito dei porci che si abbuffano'. È ora di un nuovo partito politico che si preoccupi davvero delle persone".

In Serbia, da mesi, sono in atto manifestazioni di massa che negli ultimi giorni hanno portato a violenti scontri con la polizia e a decine di arresti. Nel continente europeo la Serbia è uno dei paesi che ha forti legami con la Russia. Va detto che le rivolte non si creano a tavolino, al massimo si possono influenzare. L'est Europa versa in una condizione di instabilità crescente: se scoppia la Serbia, ci saranno riflessi su tutta l'area. Le manifestazioni sono iniziate con il crollo di una pensilina nella stazione ferroviaria di Novi Sad, ma si sono rapidamente trasformate in una protesta contro il governo. Le condizioni materiali provocano rivolte e marasma sociale: elementi iniziali apparentemente controllabili possono diventare qualcos'altro, andando anche oltre i confini nazionali.

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