Nel saggio di recente pubblicazione La guerra della finanza. Trump e la fine del capitalismo globale, Alessandro Volpi sostiene che gli USA hanno un limite all'incremento della spesa in armamenti. Questo limite è legato alla gestione del loro debito, che è solo per il 15% nelle mani della FED: circa il 40% è gestito dai grandi fondi d'investimento, che racimolano i risparmi dei privati attraverso banche, grandi aziende, persino fondi pensione; il restante 25% è posseduto da Giappone, Canada, Francia e Taiwan, con la Cina in costante ritirata. Scrive Volpi:
"La politica internazionale di Trump deve fare i conti, necessariamente, con questi numeri rappresentati da un debito enorme capace di fermare la spesa militare e molto dipendente dai grandi fondi che sono difficilmente sostituibili. In tale ottica, quindi, i dazi sono quasi obbligati per Trump anche per incrementare le entrate fiscali americane, ma scontano il rischio di far saltare un equilibrio fragilissimo, destinato a passare proprio dai fondi."
Secondo l'ex capo economista del FMI, Gita Gopinath, una crisi degli asset americani provocherebbe una crisi sistemica mondiale. L'Unione Europea è schiacciata da una parte dalla mancata provvigione di gas russo, e dall'altra dalla costrizione a sostenere l'Ucraina e il debito USA, a comprare armi e materie prime americane. Il mondo capitalistico è talmente interconnesso che è difficile immaginare un attore vincitore assoluto. The Economist, nell'articolo "The coming debt emergency", fa notare che, se la bolla del debito USA dovesse scoppiare, non sarebbe più possibile utilizzare le medicine finanziare del passato. La ricchezza in ballo oggi è molto più grande, lo sono invece molto meno i margini di manovra. Diversi paesi hanno già iniziato a guardare con più interesse alla Cina; anche in Italia si sta configurando una corrente politica, più o meno definita, con posizioni filocinesi.
L'oro, storicamente considerato un bene rifugio, ha raggiunto la cifra record di 4.380 dollari l'oncia, segnalando una crescente incertezza sui mercati. Da qualche tempo si parla insistentemente della bolla dell'intelligenza artificiale, a fronte degli accresciuti investimenti nel settore che, però, sembrano non produrre ritorni altrettanto significativi in termini di profitto.
Amazon punta all'automazione per evitare l'assunzione di centinaia di migliaia di lavoratori nei prossimi anni: oltre al licenziamento di circa 15mila dipendenti entro il 2033, 600mila lavoratori statunitensi potrebbero essere rimpiazzati da robot. Facebook, Instagram, WhatsApp stanno licenziando manager e impiegati, le cui mansioni possono essere, già adesso, svolte da sistemi di intelligenza artificiale. Da una parte una massa di capitale mondiale ha bisogno di trovare nuovi settori di valorizzazione, dall'altra le grandi aziende sviluppano sistemi in grado di subentrare ai lavoratori occupati sia nelle mansioni più semplici che in quelle "cognitive". Se si sostituisce il lavoro umano con macchine, localmente aumenta la produttività del singolo lavoratore, ma su scala generale il sistema non può estrarre da pochissimi lavoratori, anche sfruttati al massimo, la stessa quantità di plusvalore ricavabile da tanti lavoratori, anche sfruttati meno.
I processi globali di sostituzione di lavoro umano sono portati avanti da aziende che hanno un raggio d'azione internazionale.
Ogni Stato dispone dei suoi wargame, che stabiliscono le strategie a breve e medio termine su diversi fronti, dall'approvvigionamento energetico alla sicurezza, dalla gestione delle piazze a quella dei confini. Vengono simulati diversi scenari e si valutano quelli ritenuti più realistici. Ma gli Stati devono rapportarsi con situazioni che sfuggono al loro controllo, come può essere lo scoppio di una crisi debitoria in un altro paese oppure dei licenziamenti di massa decisi da una multinazionale. Come visto sopra, gli stessi USA dipendono dai grandi fondi di investimento, che gestiscono una parte consistente del loro debito e che possiedono "azioni di altri fondi, di banche e assicurazioni che a loro volta sono azionisti degli stessi fondi. State Street, Vanguard e Black Rock, di fatto, si controllano a vicenda, essendo fondi di fondi senza alcuna trasparenza e presentando al loro interno numerosi incroci. In pratica ciascuno dei fondi ha partecipazione negli altri due e a sua volta è partecipato da società che appartengono al fondo capofila, in una sequenza praticamente non ricostruibile dove compaiono, nella proprietà, gli stessi amministratori." (Volpi, La guerra della finanza)
La crisi del capitalismo senile non è risolvibile con le armi a disposizione delle borghesie. Tutto quello che sta succedendo è rappresentabile con l'immagine di un imbuto (vedi diagramma degli incrementi relativi della produzione industriale presente nell'articolo "Un modello dinamico di crisi"), che conduce ad una singolarità (cuspide, catastrofe). L'enorme bolla finanziaria con centro negli USA non esploderà finché il resto del mondo continuerà a sostenerla. Ma tale sostegno è legato alla deterrenza esercitata dagli Stati Uniti. Il conflitto in Ucraina e quello in Medioriente sono dunque direttamente collegati alla tenuta finanziaria degli USA, così come il conflitto in corso all'interno del paese: sette milioni di persone, in cinquanta stati americani, sono scesi in piazza contro il governo Trump ("No Kings protests"). Se si incrina la fiducia nei confronti del dollaro, salta il sistema che su di esso è fondato.
Un aspetto rilevante delle recenti rivolte nel mondo, dall'Indonesia al Marocco fino al Perù, che le rende particolarmente interessanti è il protagonismo dei giovani, che sembrano percepire un futuro sempre più incerto. Qualche anno fa, il sociologo Mike Davis scrisse il saggio Il pianeta degli slum, in cui descriveva fenomeni di urbanizzazione ormai svincolati sia dai processi di industrializzazione sia dalla crescita economica. Questa è la società dove si espande la produzione di plusvalore relativo, aumenta la popolazione operaia, si polarizzano la ricchezza e la miseria; tutto il sistema capitalistico è basato su fondamenta d'argilla, ossia sul debito e sull'illusione dell'auto-creazione del valore dalla circolazione. Questo gioco non può durare a lungo.

