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La teleconferenza di martedì sera, presenti 25 compagni, è iniziata riprendendo l'argomento toccato in chiusura della scorsa riunione, ovvero la teoria della rendita agraria e immobiliare nel moderno capitalismo in relazione al conflitto in Ucraina, che ormai coinvolge, a diversi livelli, tutto il mondo.

Gli attori che giocano a questo wargame sono tanti, ma in testa ci sono le potenze maggiori. Abbiamo parlato della rendita partendo dal problema della fornitura del gas russo, dato che Mosca ha paventato la possibilità di interrompere i flussi verso l'Europa, evento che innescherebbe conseguenze dal punto di vista politico, economico e sociale. La Russia ha comunicato ai paesi ritenuti ostili, quelli che hanno messo in atto delle sanzioni, che se vogliono continuare ad acquistare gas russo dovranno pagarlo in rubli; e a quelli ritenuti amici, che sta valutando se accettare pagamenti in bitcoin.

Pubblicato in Teleriunioni aprile 2022

La teleriunione di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata commentando gli sviluppi della situazione di tensione determinatesi in Ucraina.

La Russia non può perdere la sua influenza sull'Ucraina. Se ai confini occidentali essa vede crescere l'ascendente dei paesi della Nato, a oriente assiste al grandeggiare della Cina, mentre a sud, verso l'Hearthland, registra una situazione di crescente instabilità (vedi Kazakistan). Almeno dal 2013, dalla rivolta di Euromaidan, l'Ucraina è al centro di uno braccio di ferro tra Occidente e Oriente; allora fu la sospensione da parte del governo ucraino dell'accordo di libero scambio con l'Unione europea a sollecitare lo scontro sociale nel paese, che portò prima manifestazioni pro-europee e poi all'intervento della Russia nella regione del Donbass e all'annessione della Crimea. L'entrata dell'importante paese dell'Europa orientale nella NATO, con i suoi 600 mila kmq e con oltre 40 milioni di abitanti (è l'ottavo paese per numero di abitanti in Europa), sarebbe considerata da Mosca come un atto ostile da parte degli Stati Uniti.

Diversi osservatori di geopolitica hanno dato una lettura dei fatti ucraini utilizzando come paradigma lo scenario della Jugoslavia degli anni '90, ma ampliato al mondo intero, cioè ipotizzando una balcanizzazione del pianeta. Durante quel conflitto il vero obiettivo degli Stati Uniti era contenere la Germania che si stava espandendo commercialmente e politicamente verso l'area balcanica. In Slovenia, in Croazia, e persino in Serbia, prima del collasso jugoslavo circolava da tempo il marco tedesco come moneta parallela al dinaro. Va poi ricordato che durante la guerra le forze della NATO lanciarono numerosi attacchi aerei, uno dei quali colpì "incidentalmente" l'ambasciata cinese di Belgrado. Secondo gli osservatori, l'Ucraina è il classico vaso di coccio tra vasi di acciaio, e l'obiettivo degli Usa è impedire un avvicinamento tra la Germania, paese esportatore netto di merci e capitali, e la Russia, che esporta gas e materie prime ma non possiede una struttura produttiva e finanziaria in grado di impensierire seriamente gli Stati Uniti. Cresce la pressione a stelle e strisce sulla Germania per fermare il progetto del gasdotto Nord Stream 2, che mira a raddoppiare la portata del gasdotto Nord Stream 1, in funzione dal 2011. Entrambi i gasdotti sono offshore e collegano direttamente il paese con la Russia passando sotto al Mar Baltico. Se Nord Stream 2 (la cui costruzione è iniziata nel 2018 ed è terminata nel settembre del 2021) diventerà operativo, consentirà alla Germania una maggiore indipendenza sul mercato energetico europeo.

La teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata con la segnalazione dell'articolo "Le navi si svuotano. Giù il Baltic Index, primo allarme di crisi economica", pubblicato il 12 febbraio nella sezione economia di Repubblica.

Nato nel 1985, il Baltic Dry Index raccoglie i prezzi dei trasporti e dei noli marittimi, misurando la frequenza annuale delle principali rotte. Esso non tiene conto del trasporto del petrolio ma solo delle merci secche come derrate agricole, carbone e ferro, misurando lo stato di salute del commercio mondiale. Gli analisti hanno notato una netta flessione dell'indice: "nel giro delle ultime cinque settimane ha perso il 50 per cento del suo valore, allontanandosi ancora di più dai massimi raggiunti circa una anno fa: dal marzo del 2018, la discesa supera addirittura il 70 per cento". Tra le cause di questo tonfo, vi sarebbero la guerra dei dazi tra Usa e Cina, il rallentamento dell'economia nella zona Euro, il caos Brexit e la contrazione della crescita cinese. Il Nobel per l'economia Paul Krugman intervistato da Bloomberg ha dichiarato che "la Cina entrerà in crisi a causa dei consumi inadeguati".

Durante la teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, abbiamo parlato del progetto di "reddito universale" che sarà sperimentato il prossimo anno a Stockton, in California: "Stockton, una città californiana di circa 300mila abitanti sarà la prima comunità a sperimentare il reddito universale negli Stati Uniti. Il programma è costituito di una prova triennale nella quale un gruppo di cittadini selezionati (quanti non è ancora chiaro) riceverà un assegno mensile di 500 dollari al mese, per un totale di 6mila dollari all'anno" ("Per la prima volta Usa sperimentano il reddito universale", WSI).

Il tema della ridistribuzione della ricchezza è oggi all'ordine del giorno. Joseph Stiglitz, in un intervento alla conferenza organizzata dall'Istituto Cattaneo di Bologna su "Non si esce dalla crisi senza politica redistributiva della ricchezza", ha affermato che "l'1 per cento della popolazione controlla il 90 per cento della ricchezza mondiale"; e Romano Prodi, anch'egli presente all'incontro bolognese, ha dichiarato: "Io credo che ci sarebbe bisogno di un organismo mondiale in grado di redistribuire le risorse ma da questo punto di vista sono tutt'altro che ottimista. Le difficoltà che si incontrano ad esempio nel tassare le nuove multinazionali come Google e Apple sono significative. Comunque penso che spetti alla politica, ai governi invertire questo trend. Ma non mi pare che ci siano progetti credibili."

Questi professori pensano che la polarizzazione della ricchezza sia dovuta alle politiche dei governi e che intervenendo nel modo giusto si possa invertire questa tendenza. Per Marx invece la "legge della miseria crescente" è la legge assoluta dell'accumulazione capitalistica, un fatto fisico che nessun governante o gruppo di governanti può annullare:

Durante la teleconferenza di martedì sera, presenti 16 compagni, abbiamo parlato dei dati che secondo alcuni giornalisti rappresentano i segnali di una tempesta perfetta che presto si abbatterà sui mercati finanziari.

Secondo il presidente della BCE Draghi, "ci sono forze nell'economia globale di oggi che cospirano per tenere bassa l'inflazione". Non è da scartare l'ipotesi che esistano cospirazioni in corso che spingono verso determinate direzioni, ma è da escludere che siano queste a provocare la crisi economica attuale.

Dal 2016 la Borsa Italiana ha perso il 17%, a causa di crolli borsistici e anche della mancata crescita (ad oggi la produzione industriale non è neppure al livello del 2007).

Con le crisi il mercato si incarica di far fuori quel capitale che non viene reinvestito nella produzione. Dall'inizio della crisi (non congiunturale) del 2007 le banche centrali hanno fatto di tutto per contrastare l'esplosione di bolle finanziarie, emettendo provvedimenti affinché l'enorme massa di capitale fittizio accumulata negli anni non venisse cancellata. Nessuno vuole scatenare il disastro, ma così facendo i problemi permangono e si ingigantiscono. E' solo questione di tempo: i capitali in eccesso si auto-cancelleranno.

La teleconferenza di martedì, a cui si sono collegati 13 compagni, è iniziata con le notizie riguardanti il prezzo del petrolio.

Alcune fonti riportano che i satelliti americani avrebbero individuato centinaia di petroliere in viaggio attraverso lo stretto di Hormuz. Il greggio iraniano, libero dalle sanzioni della comunità internazionale, potrebbe ora riversarsi sui mercati mondiali creando ulteriori sconquassi.

Il mercato petrolifero si trova effettivamente in una condizione difficile: il calo dei prezzi, l'accantonamento di grandi riserve (l'Iran ha dichiarato di aver stoccato 50 milioni di barili), e il crollo degli investimenti a lungo termine per le ricerche di nuovi giacimenti rappresentano una miscela micidiale, i cui effetti si registrano ovunque, dall'Arabia Saudita alla Russia al Venezuela. A fronte dei mezzi e della possibilità di produrre a bassa dissipazione, la società capitalista rimane altamente energivora, permanendo ad uno stadio primitivo.

La teleconferenza di martedì sera, presenti 16 compagni, è iniziata dalle notizie del nuovo crollo del prezzo del petrolio.

Mentre in passato l'Opec riusciva a mantenere alta la quotazione del greggio tramite il coordinamento dei paesi produttori, oggi non solo non riesce più a farlo, ma si trova nella condizione per cui tale operazione è materialmente impossibile: evidentemente la guerra e il marasma sociale in corso sono più profondi di quanto si percepisca.

La Russia ha annunciato di poter resistere per anni ad un petrolio venduto a 40 dollari al barile, ma è una stupidaggine dato che Mosca dalla vendita di combustibili ricava la maggior parte delle sue entrate. Le dichiarazioni dei governi lasciano il tempo che trovano e, al massimo, rivelano il livello di conflittualità tra le principali potenze mediorientali e mondiali. Nessun produttore di "oro nero" è in grado di resistere a lungo a prezzi così bassi. Per il petrolio vale la legge della rendita: quello che viene intascato dai paesi nel cui sottosuolo giacciono delle riserve è sovraproffitto, mancando il profitto nel settore industriale, il meccanismo di ripartizione del valore si inceppa. Senza contare gli enormi investimenti fatti dagli Stati Uniti nello shale oil dove sono sempre di più le aziende in fallimento.

Rivista n°54, dicembre 2023

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Editoriale: Reset

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Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

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Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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