La teleriunione di martedì sera è iniziata prendendo spunto dalle ultime notizie dal Medioriente.
In seguito al massiccio attacco sferrato da Israele contro le postazioni di Hezbollah in Libano, durante il quale è stato ucciso Hassan Nasrallah, segretario generale dell'organizzazione, l'Iran ha lanciato circa 200 missili in direzione di Tel Aviv.
Sono le determinazioni materiali a costringere gli stati a muoversi, e tutti lo fanno all'interno di una complessa rete di condizionamenti. In un'intervista, reperibile su YouTube ("E' ancora possibile evitare la terza guerra mondiale?"), il generale Fabio Mini afferma che la situazione mondiale non è tanto complicata quanto complessa, poichè gli attori in campo sono molti ma comunque tutti ben individuabili. L'annientamento di Hamas e Hezbollah ad opera di Israele non può essere portato a termine e ciò innesca un'escalation bellica. Rispetto al passato, ad azione non corrisponde una reazione proporzionata, bensì una risposta "randomica", caotica e di difficile previsione.
Durante la teleriunione di martedì sera abbiamo ripreso alcuni temi discussi nello scorso incontro redazionale (21-22 settembre 2024), in cui abbiamo parlato dell'impossibilità di passare da un mondo capitalistico a guida USA (con l'egemonia del dollaro) ad un mondo multipolare.
Qualche tempo fa abbiamo svolto una relazione (89° incontro redazionale, 11-12 marzo 2023) utilizzando il libro di due generali cinesi, L'arco dell'impero. Con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità, curato dal generale Fabio Mini. Secondo i militari cinesi, la Cina non ambisce a sostituirsi all'imperialismo americano, ma si sta adoperando per la costruzione di un mondo multipolare, pacifico e giusto. Non sono solo i generali cinesi a farsi portavoce di questa idea, ma ci sono gruppi e movimenti anche in Occidente che lottano per l'illusoria costruzione di un mondo (capitalistico) multipolare.
Nel nostro articolo "Accumulazione e serie storica" abbiamo dimostrato che non può esserci un ulteriore sviluppo capitalistico dopo quello unipolare americano. Il tema si ricollega alla relazione tenuta lo scorso sabato, dal titolo "Chi sono i padroni del mondo?", incentrata sul livello di sviluppo oggi raggiunto dal capitalismo, oltre il quale non si può andare. La fase del capitale senza capitalisti e dei capitalisti senza capitali è già stata descritta in un testo come Proprietà e Capitale (1948-50), e adesso si è sviluppata a pieno: dopo il capitale anonimo ed impersonale, ci può essere solo un'altra forma sociale. I grandi fondi d'investimento gestiscono risparmi altrui cercando settori proficui. Oltre 1/5 del PIL mondiale è rappresentato dai primi due fondi d'investimento, BlackRock e Vanguard, i quali hanno una massa critica e una capacità di intervento superiore a quella della maggior parte degli stati.
La teleriunione di martedì sera è iniziata dall'analisi del recente attacco a Hezbollah in Libano e Siria.
Lo scorso 17 settembre migliaia di cercapersone, utilizzati da Hezbollah appositamente per evitare l'impiego di dispositivi maggiormente tracciabili (come i telefoni cellulari), sono stati fatti esplodere provocando diversi morti e migliaia di feriti, tra cui l'ambasciatore iraniano in Libano. Oltre Israele, nessun altro attore nell'area dispone di quel tipo di capacità tecnica ed ha interesse a colpire in questo modo il partito-milizia sciita. Le informazioni sull'attacco restano contrastanti: alcune testate giornalistiche sostengono che l'esplosione degli apparecchi elettronici sia stata causata dal surriscaldamento delle batterie tramite un malware, mentre altri analisti ipotizzano la presenza di mini cariche esplosive inserite precedentemente nei dispositivi. L'attacco simultaneo ai cercapersone è stato seguito dall'incursione di caccia israeliani che hanno colpito diverse postazioni di Hezbollah a 100 km dal confine.
La teleriunione di martedì sera è iniziata con il commento della newsletter di Federico Rampini pubblicata sul Corriere della Sera e intitolata "L'Italia è in pericolo, ma non vuole difendersi".
Da buon patriota con l'elmetto in testa, Rampini vuole un'Italia pronta a contrastare le minacce belliche e con una popolazione preparata all'ideologia di guerra. L'Europa non ha una difesa unitaria, dipende da altri per l'acquisto di armamenti, non ha una chiara strategia militare. Il giornalista sprona l'Occidente ad attrezzarsi per la guerra ibrida, quella in cui forze con pochi mezzi a disposizione riescono a tenere in scacco nemici molto più potenti. Come gli Houthi, ad esempio, che stanno dando del filo da torcere alle navi commerciali (e non solo) che passano dallo Stretto di Bab al-Mandab. O come l'Iran, che nell'attacco ad Israele dello scorso aprile con missili e droni, a prima vista fallimentare perchè efficacemente contrastato dal sistema antimissile Iron Dome e dalla coalizione che sostiene Israele (USA, Inghilterra, Giordania, Arabia Saudita), ha affrontato una spesa di 100 milioni di dollari contro i 2 miliardi di dollari sostenuti dalla difesa isareliana.
La teleriunione di martedì è iniziata con il commento di una video puntata di Limes, "Wargames: i giochi di guerra e la sindrome di Rommel" (dedicata all'articolo "Contro la Sindrome di Rommel: la guerra non è un wargame"), alla luce dei nostri lavori sul tema pubblicati sui numeri 50 e 51 della rivista.
Nel video si afferma che i wargame non sono la replica esatta della situazione reale, ma possono essere utili per pianificare azioni. Per esempio, i "giochi di guerra" che simulano un conflitto tra USA e Cina nell'Indo-Pacifico, dimostrano che un scenario di questo tipo non avrebbe sbocchi (non ci sarebbe un vincitore) e che quindi andrebbe evitato. Non è detto, però, che tali "consigli" siano seguiti da chi ha responsabilità politiche e militari.
La teleconferenza di martedì 30 luglio è iniziata facendo il punto sulle recenti proteste in Venezuela.
Le elezioni presidenziali hanno visto la vittoria di Nicolàs Maduro con circa il 51% dei voti, ma le opposizioni hanno denunciato brogli. Migliaia di manifestanti sono scesi in strada scontrandosi con la polizia e i militanti pro-Maduro, e si contano già i primi morti. Anche il Venezuela si aggiunge alla lista dei paesi interessati dal marasma sociale: dal punto di vista politico, la parte borghese che si fa portatrice del progetto bolivariano si scontra con l'opposizione filostatunitense. L'economia venezuelana è basata prevalentemente sull'esportazione di greggio, mentre industria e agricoltura contano poco nella formazione del PIL. Da anni nel paese serpeggia un malessere profondo che coinvolge milioni di senza-riserve, quasi metà della popolazione versa in condizioni di povertà estrema.
La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando la sommossa in corso in Bangladesh.
Da un paio di settimane in tutto il paese si susseguono importanti manifestazioni. Gli studenti, opponendosi ad una legge che prevede una serie di facilitazioni alle famiglie dei reduci della guerra di liberazione dal Pakistan, si sono scontrati duramente con polizia ed esercito. L'epicentro della rivolta è stata l'Università di Dacca. Al di là della contestata legge, è evidente che anche il Bangladesh affronta gravi problemi di disoccupazione giovanile.
Ottavo paese più popoloso del pianeta, con 170 milioni di abitanti, il Bangladesh ha un'età media molto bassa e una popolazione concentrata principalmente nell'area urbana di Dacca, che ha una densità abitativa altissima, con 45.000 abitanti per km². Finora si registrano 160 morti, oltre a migliaia di feriti, manifestanti scomparsi, casi confermati di torture, anche ai danni dei giornalisti. Il governo ha chiuso Internet, ma così facendo ha contribuito ad aumentare il caos.
Oltre alle manifestazioni nella capitale, ci sono stati blocchi delle autostrade e delle ferrovie, attacchi alle stazioni di polizia, tentativi di invasione delle sedi delle TV, e la liberazione di detenuti dal carcere: tutti eventi che danno l'idea di una situazione quasi insurrezionale. Almeno a partire dal 2006, nel paese si è verificata una lunga serie di scioperi nelle fabbriche, in particolare nel settore tessile.
La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando l'articolo "Wargame. Non solo un gioco" (rivista n. 50), particolarmente utile per comprendere i conflitti bellici e sociali in corso, e per evitare di commettere errori logici nell'analisi.
In "Wargame" troviamo considerazioni inerenti alla "trasformazione della guerra imperialista in guerra civile", parola d'ordine dell'Internazionale Comunista. Storicamente, la guerra non rappresenta un problema per l'imperialismo ma la soluzione (temporanea) alla sua crisi. Difatti, la nostra corrente afferma che nell'epoca moderna, anche a causa del modo di condurre i conflitti, o passa la guerra o passa la rivoluzione. Oggi le determinazioni di una guerra classica che la farebbero passare da salvezza del modo di produzione capitalistico a elemento della sua distruzione non sono più da considerare ipotesi, dato che la crisi economica è da tempo diventata cronica. L'elettroencefalogramma del capitalismo è piatto.
Detto questo, finché c'è guerra non c'è disfattismo e quindi non c'è rivoluzione. La rivoluzione, perciò, deve scattare prima che la guerra conquisti la scena mondiale, prima che diventi un fatto totale, tanto più che quella a venire sarà "gestita" da sistemi basati sull'intelligenza artificiale, potenzialmente fuori dal controllo umano. Pensiamo alla fabbrica: il robot, registrando in modo approfondito le competenze dell'operaio, lo va a sostituire.
La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando due articoli pubblicati sull'ultimo numero dell'Economist (22 giugno 2024), dedicato al rapporto tra guerra e intelligenza artificiale.
Nell'articolo "AI will transform the character of warfare" si dimostra come la guerra condotta da macchine gestite da sistemi di IA potrebbe rivelarsi incontrollabile. C'è un rapporto stretto tra industria militare e civile. I computer, si afferma, sono nati in guerra e dalla guerra. La stessa ARPANET, aggiungiamo noi, che anticipò Internet, venne realizzata a partire dal 1969 dalla DARPA (Defence Advanced Research Projetcs Agency) per collegare centri di calcolo e terminali di università, laboratori di ricerca ed enti militari.
Oggigiorno esistono sistemi di IA che si occupano del riconoscimento degli oggetti in un dato spazio e che vengono utilizzati per elaborare i dati e le informazioni raccolte dai droni tramite foto e video. L'integrazione di tali sistemi produce un gigantesco automa che relega ai margini l'essere umano: dato che il tempo per individuare e colpire gli obiettivi è compresso in pochi minuti o addirittura in secondi, il soldato può al massimo supervisionare il sistema. Combattimenti più rapidi e meno pause tra uno scontro e l'altro renderanno più difficile negoziare tregue o fermare l'escalation. Dice Marx nei Grundrisse: con lo sviluppo dell'industria l'operaio da agente principale del processo di produzione ne diventa il sorvegliante per essere sostituito anche in questa funzione da un automa generale.
La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando le conseguenze politiche delle recenti elezioni europee.
In Francia i partiti di sinistra hanno prospettato una riedizione del fronte popolare del 1936-1941 per fermare l'avanzata delle destre. Dalla tragedia si sta passando alla farsa, perchè chiunque vada al governo non può far altro che assecondare i diktat dei mercati, che sia di destra, centro o sinistra. Detto questo, le elezioni si stanno trasformando da fattori di stabilità in fattori di caos, e il fenomeno della decadenza del sistema dei partiti, di cui è conferma l'aumento dell'astensionismo, è sintomo di una disgregazione più generale. La Francia sta diventando un laboratorio per gli altri paesi: lì, solo negli ultimi anni, ci sono stati gli incendi sociali nelle banlieue, i gilet jaunes, il movimento contro l'aumento delle pensioni. Se il sistema perde energia, se va in crisi la legge del valore, allora viene meno il patto tra lo Stato e la società civile, e cresce la polarizzazione politica interna agli stati. In Italia si è già sperimentato tutto, tra cui l'affermarsi di formazioni politiche che hanno ottenuto un grande successo criticando la "casta" per poi integrarsi in breve tempo (vedi M5S). Anche la Germania, in seguito a queste elezioni, mostra incrinature interne: il centro d'Europa si presenta spaccato, incapace di ricucire il tessuto sociale.
È difficile pensare ai cambiamenti rivoluzionari prossimi venturi come a passaggi pacifici, graduali e indolore. Quando si muovono masse di milioni di persone incollerite si producono terremoti sociali.
La teleriunione di martedì sera è iniziata con un breve report della conferenza tenuta a La Spezia lo scorso sabato 1° giugno. L'impressione che abbiamo avuto è stata positiva, sia perché ci siamo incontrati tra compagni di diverse località, sia perché abbiamo avuto modo di presentare la rivista.
Si è passati poi a commentare "Il ciclo storico del dominio politico della borghesia", facente parte delle Tesi del dopoguerra, una potente difesa del programma comunista. È sempre utile rileggere i testi della Sinistra perché si prestano a molteplici collegamenti con il presente e il futuro. Se nel testo "Il ciclo storico dell'economia capitalistica", analizzato la scorsa settimana, si tratta maggiormente l'aspetto materiale dello sviluppo del capitalismo, in questo viene esaminato l'aspetto politico-organizzativo del dominio di classe della borghesia.
Lo scontro armato che portò alla vittoria della classe borghese su quella feudale fu anche battaglia di idee e teorie. Le classi feudali costruivano la loro sovrastruttura dottrinale su categorie immutabili, come ad esempio la religione; la nascente borghesia mette in discussione tutte le concezioni tradizionali e proclama, contro il dominio dell'autorità, quello della ragione umana. La borghesia impone una nuova impalcatura ideologica che si basa su libertà, eguaglianza e fraternità.
La teleriunione di martedì sera è iniziata con il commento del testo "Il ciclo storico dell'economia capitalistica" (Prometeo n. 5 del 1947), nel quale si dimostra che il capitalismo nasce all'interno della società feudale, e che è possibile delineare una dinamica storica che va dalla bottega artigiana alla manifattura, fino alla fase senile del capitalismo in cui la finanza domina l'industria.
Ad un certo grado di sviluppo delle forze produttive si verifica una scissione tra chi detiene i mezzi di produzione, i datori di lavoro, e gli operai, che non sono più padroni del prodotto del loro lavoro. L'artigiano, che precedentemente poteva compiere tutte le operazioni utili alla produzione, viene sostituito da un operaio complessivo (lavoro associato) che è la somma di tanti operai parziali. La figura unitaria dell'artigiano si sdoppia: appaiono sulla scena storica il capitalista e il salariato. All'interno della vecchia società maturano gli elementi della nuova, e questo vale anche per la prossima rivoluzione, che sarà a titolo umano. Giunto il capitalismo alla sua fase suprema, l'imperialismo, la stessa figura dell'imprenditore, quello che veniva chiamato padrone, praticamente non esiste più, sostituito da funzionari lautamente stipendiati oppure addirittura da algoritmi.
La teleriunione di martedì sera è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'emergenza nei Campi Flegrei, a ovest della città di Napoli, dove da giorni si susseguono scosse di terremoto.
L'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) nota che l'area flegrea è soggetta a bradisismo (movimento lento del suolo), e non si possono escludere altri eventi sismici di energia analoga o superiore a quanto già registrato durante lo sciame sismico in corso. I Campi Flegrei sono una vasta area vulcanica attiva con una struttura detta "caldera", cioè un'area ribassata di forma quasi circolare che si è formata per effetto di eruzioni esplosive del passato. Secondo un articolo pubblicato sulla rivista Nature, si prefigurano tre possibili scenari: 1) un fenomeno di equilibrio in cui il sollevamento del suolo rallenta fino ad assestarsi, 2) un fenomeno di oscillazione per cui il suolo sale e scende, 3) un sollevamento continuo che porta la crosta superiore a rompersi completamente. La situazione è dunque rischiosa per tutta l'area, soprattutto perché si tratta di una delle zone più densamente abitate d'Italia. Un vulcano su dieci, tra quelli storicamente attivi sul pianeta, è una grande caldera di oltre 5 km di diametro. Spesso si verificano diversi episodi sismici nel corso di decenni prima che questo tipo di vulcano esploda; tali episodi appartengono ad un'unica sequenza evolutiva, per cui il comportamento di ciascun evento dipende dall'effetto cumulativo dei suoi predecessori.
La teleriunione di martedì sera è iniziata prendendo spunto dall'ultimo numero dell'Economist ("The new economic order", 11 maggio 2024), che dedica diversi articoli alla crisi mondiale in atto.
Secondo il settimanale inglese, a prima vista il capitalismo sembra resiliente, soprattutto alla luce della guerra in Ucraina, del conflitto in Medioriente, degli attacchi degli Houthi alle navi commerciali nel Mar Rosso; in realtà, esso è diventato estremamente fragile. Esiste, infatti, un numero preoccupante di fattori che potrebbero innescare la discesa del sistema verso il caos, portando la forza a prendere il sopravvento e la guerra ad essere, ancora una volta, la risposta delle grandi potenze per regolare i conflitti. E anche se non si arrivasse mai ad uno scontro bellico mondiale, il crollo dell'ordine internazionale potrebbe essere improvviso e irreversibile ("The liberal international order is slowly coming apart").
La teleriunione di martedì sera è iniziata discutendo dell'evoluzione degli attuali scenari di guerra.
Gli Stati, anche quelli importanti come USA e Federazione Russa, faticano a tenere il passo nella produzione di munizioni necessaria per il conflitto in corso in Ucraina. Il Fatto Quotidiano riporta alcuni dati significativi: nel giugno 2022 i Russi sparavano 60 mila colpi al giorno, a gennaio del 2024 ne sparavano 10-12 mila contro i 2 mila dell'esercito avversario. Senza l'aiuto dell'Occidente l'Ucraina sarebbe già collassata, ma ora l'America ha delle difficoltà: "Gli Usa, il principale fornitore di proiettili di artiglieria dell'Ucraina, producono 28mila munizioni da 155 mm al mese con piani di aumento della produzione a 100mila entro il 2026." La fabbricazione di tali quantità di munizioni comporta uno sforzo nell'approvvigionamento di materie prime, e infatti c'è una corsa all'accaparramento di scorte di alluminio e titanio. Già l'anno scorso l'Alto rappresentante UE per la politica estera, Josep Borrell, affermava: "In Europa mancano le materie prime per produrre le munizioni da mandare all'Ucraina".
La teleriunione di martedì sera è iniziata con un focus sulla situazione economico-finanziaria mondiale.
Abbiamo già avuto modo di scrivere delle conseguenze di una massa enorme di capitale finanziario (il valore nozionale dei derivati è di 2,2 milioni di miliardi di dollari) completamente slegata dal Prodotto Interno Lordo mondiale (circa 80 mila miliardi annui). Quando Lenin scrisse L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo, il capitale finanziario serviva a concentrare investimenti per l'industria, che a sua volta pompava plusvalore. Oggigiorno, questo capitale non ha la possibilità di valorizzarsi nella sfera della produzione, perciò è destinato a rimanere capitale fittizio e quindi, dice Marx, ad essere cancellato.
Nell'articolo "Accumulazione e serie storica" abbiamo sottileneato che è in corso un processo storico irreversibile, e che non si tornerà più al capitale finanziario del tempo di Lenin e Hilferding. In "Non è una crisi congiunturale", abbiamo ribadito come il rapido incremento del capitale finanziario è una conseguenza del livello raggiunto dalle forze produttive. La capacità del capitale di riprodursi bypassando la produzione materiale è un'illusione, e il ritorno alla realtà è rappresentato dallo scoppio delle bolle speculative. Ogni strumento finanziario è necessariamente un espediente per esorcizzare la crisi di valorizzazione, nella speranza di poter trasformare il trasferimento di valore in creazione del medesimo.
La teleconferenza di martedì sera è iniziata riprendendo gli argomenti trattati durante la riunione pubblica tenuta a Milano lo scorso 20 aprile.
La conferenza, incentrata sul tema "Guerra e nuove tecnologie", si è tenuta presso il circolo anarchico Bruzzi-Malatesta. Al termine della riunione sono state poste alcune domande riguardo la socializzazione del capitale e le strutture fisiche alla base della guerra cibernetica, che ci hanno dato l'occasione di ribattere alcuni chiodi teorici. L'impressione che abbiamo avuto è stata positiva sia per la presenza di giovani che per l'attenzione del "pubblico" durante lo svolgimento di tutta la relazione.
L'acutizzarsi della guerra e lo sviluppo di nuove armi fanno parte di un processo unico, di una dinamica di crisi strutturale del capitalismo. I fatti hanno la testa dura, dice Lenin, e la realtà si incarica di fare piazza pulita delle vecchie "questioni" che in passato sono state motivo di interminabili dibattiti (partito, sindacato, ecc.). Nell'introduzione alla relazione di Milano è stato ribadito che il capitalismo non può funzionare senza l'estrazione di plusvalore, e che la guerra, fenomeno invariante, si è trasformata nel tempo essendo soggetta al modo di produzione che la esprime. Engels nota che l'innescarsi della dialettica cannone/corazza porta all'intensificazione del conflitto, motivo per cui, ad esempio, ben presto le barricate risultano obsolete rispetto all'impiego dell'artiglieria.
La teleriunione di martedì sera è iniziata dall'analisi del recente attacco dell'Iran ad Israele.
Secondo un portavoce dell'esercito israeliano, nell'azione compiuta nella notte tra il 13 e il 14 aprile l'Iran ha impiegato 170 droni, 30 missili da crociera e 120 missili balistici, che sono stati quasi tutti abbattuti. L'attacco è stato simbolico, le nazioni arabe erano state avvertite e probabilmente anche gli Americani; dopo il bombardamento di un edificio annesso all'ambasciata iraniana a Damasco il primo aprile scorso, Teheran non poteva non rispondere. Gli USA hanno chiesto ad Israele di evitare una reazione a caldo e di pazientare, onde evitare un'escalation; gli Iraniani hanno dichiarato che se Israele lancerà un nuovo attacco essi colpiranno più duro: "Con questa operazione è stata stabilita una nuova equazione: se il regime sionista attacca, sarà contrattaccato dall'Iran."
Teheran è all'avanguardia nella produzione di droni, ha sviluppato un'industria bellica specializzata e vende queste tecnologie alla Russia ma anche ad Algeria, Bolivia, Tagikistan, Venezuela ed Etiopia.
Ciò che sta accadendo in Medioriente conferma l'importanza del lavoro sul wargame, a cui abbiamo dedicato due numeri della rivista (nn. 50 - 51). I giochi di guerra servono a delineare scenari futuri, e le macchine amplificano le capacità dell'uomo aiutandolo a immaginare come potrebbero svilupparsi i conflitti in corso. Gli eserciti e gli analisti militari che lavorano con i wargame sono in grado di accumulare grandi quantità di informazioni, ma sono però costretti a vagliarne solo una parte. È un dato oggettivo: i big data vanno ordinati e l'ordine risente dell'influenza di chi applica il setaccio.
La teleriunione di martedì sera è iniziata con alcune considerazioni riguardo i sistemi di intelligenza artificiale utilizzati da Israele nella Striscia di Gaza. L'argomento si inserisce nel nostro lavoro in corso sulla guerra e sulle nuove armi in via di sperimentazione in Medioriente e Ucraina.
Prendendo spunto da fonti israeliane (i due siti di informazione +972 e Local Call), il manifesto ha pubblicato un lungo articolo ("20 secondi per uccidere: lo decide la macchina") in cui sono riportate le interviste ad ufficiali dell'intelligence israeliana che spiegano il funzionamento del sistema IA Lavender e il ruolo che esso ha giocato nei bombardamenti sulla Striscia. Lavender opera in sinergia con il sistema Gospel, che si occupa nello specifico di contrassegnare gli edifici e le strutture da cui Hamas lancia i razzi; e ha il compito di individuare i nemici assegnando un punteggio da 1 a 100 ad ogni individuo: per un alto responsabile di Hamas, se identificato in una palazzina molto abitata, è possibile accettare una certa quantità di "danni collaterali", per un militante minore se ne accetta una inferiore. Il sistema di intelligenza artificiale riesce a costruire dei profili e a definire una "kill list" secondo un processo statistico che ha perciò un margine di errore (intorno al 10%); i tempi impiegati dalla macchina per individuare e colpire un obiettivo sono di circa 20 secondi, l'operatore umano non può quindi tenerne il passo e tantomeno eseguire un'analisi approfondita della lista dei bersagli.
Non si tratta di indignarsi perché l'IA uccide gli uomini, anche i cannoni e le mitragliatrici lo fanno; si tratta invece di comprendere le novità che emergono dall'utilizzo di questa tecnologia. Siamo nel bel mezzo di una transizione di fase, tra un vecchio tipo di conflitto ed uno nascente: la guerra inizia sempre con gli armamenti, le dottrine, le tecniche del passato, ma in corso d'opera evolve diventando altra cosa. Oggigiorno si combatte ancora nelle trincee, come in Ucraina dove però allo stesso tempo si utilizzano i robot; si adoperano i fucili e le granate, ma anche i missili ipersonici. Nell'articolo dell'Economist "How Ukraine is using AI to fight Russia" si informa il lettore che sin dall'estate del 2022 sono stati utilizzati software per ridurre gli attacchi-disturbo dei Russi. Tante start-up ucraine operanti nel settore hi-tech hanno virato verso le necessità belliche, e sono state utilizzate tecniche di profilazione e monitoraggio, consulenze e indagini statistiche per raccogliere dati e scovare la posizione delle truppe e dei sistemi d'arma nemici. Semantic force è una start-up che si è specializzata nel trattamento dei dati riguardanti il morale della popolazione: ora il suo scopo è comprendere lo stato d'animo dei soldati russi (attraverso i social network e non solo).
La teleriunione di martedì sera è iniziata dall'analisi della guerra in corso.
Il bombardamento ad opera di Israele di un edificio annesso all'ambasciata iraniana a Damasco ha provocato una decina di morti, tra cui un importante generale iraniano e altri sei membri dei pasdaran, le Guardie rivoluzionarie dell'Iran. Colpire un'ambasciata equivale ad un attacco diretto al paese che essa rappresenta. Per adesso le potenze imperialiste non si combattono direttamente, ma per procura. Nel caso del conflitto israelo-palestinese, l'Iran utilizza Hamas e il Jihad islamico palestinese, ma anche Hezbollah in Libano e gli Houthi nello Yemen. L'attacco di Israele a Damasco ha alzato la tensione, accrescendo la possibilità del passaggio da una proxy war allo scontro diretto. L'Iran ha annunciato che risponderà nei tempi e nei modi che riterrà opportuni per vendicare l'uccisione dei propri militari.
In Medioriente, la situazione sta evolvendo in una direzione opposta a quella dell'ordine. Israele deve gestire anche il fronte interno: oltre 100mila persone sono scese per le strade del paese dando luogo a quelle che sono state definite le più grandi manifestazioni antigovernative dal 7 ottobre. Le mobilitazioni più partecipate sono state a Tel Aviv, Haifa, e a Gerusalemme davanti alla sede del parlamento israeliano.
La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando le ultime news sulla guerra.
A Mosca un gruppo di miliziani, presumibilmente appartenenti a ISIS Khorasan (c'è una rivendicazione), ha preso d'assalto il teatro Crocus City Hall, causando oltre centotrenta vittime e centinaia di feriti. Quattro persone di nazionalità tagika sono state arrestate dai servizi di sicurezza russi mentre si dirigevano verso il confine ucraino.
Con le informazioni a disposizione è difficile capire quali forze ci siano dietro all'attacco. I Russi affermano che è opera di "islamisti radicali", ma hanno denunciato anche il coinvolgimento di Ucraini, Americani e Inglesi. Negli ultimi anni la Russia ha visto sul suo territorio diversi attentati di matrice islamica (vedi teatro Dubrovka o scuola Beslan); quest'ultimo, però, si inserisce in un contesto particolare e cioè quello della guerra in corso in Ucraina, dove da una parte si sta consumando un conflitto classico combattuto tra eserciti nazionali, e dall'altra c'è l'impiego da ambo i fronti di partigianerie, mercenari e miliziani. I servizi segreti occidentali avevano avvertito per tempo della possibilità di un attentato in Russia e l'attacco al Crocus può essere considerato come un episodio della guerra mondiale a pezzi, simile alla strage del Bataclan di Parigi avvenuta nel 2015 e compiuta da gruppi legati a Daesh, che causò centrotrenta vittime. Qualche mese fa l'ISIS K ha rivendicato l'attentato a Kerman, in Iran, vicino alla tomba del generale Qassem Soleimani; l'attacco ha provocato oltre ottanta morti e centinaia di feriti.
La teleriunione di martedì 13 marzo, presenti 15 compagni, è iniziata commentando alcune news sulla guerra globale.
Papa Francesco, che già da qualche mese ha lanciato l'allarme riguardo il passaggio dalla terza guerra mondiale combattuta a pezzi ad un vero e proprio conflitto mondiale, ha invitato il governo ucraino ad una riflessione seria sul da farsi, affermando "che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare. E oggi si può negoziare con l'aiuto delle potenze internazionali. Ci sono. Quella parola negoziare è una parola coraggiosa."
La dichiarazione ha avuto una certa risonanza sui media perché il Papa, sostanzialmente, ha esortato il governo ucraino ad arrendersi, sostenendo che oramai l'Ucraina non ha più le forze per continuare a reggere lo scontro con la Russia. Il Vaticano è uno stato particolare, ha ramificazioni in tutto il mondo, e in quanto centro della cattolicità controlla un miliardo di fedeli ed ha una rete di influenza internazionale: disponendo di propri agenti anche in Ucraina, possiede informazioni dettagliate, comprese quelle sulla tenuta del fronte interno. Forte di una tradizione bimillenaria, la Chiesa fiuta gli scenari futuri.
La teleriunione di martedì sera, presenti 16 compagni, è iniziata commentando un articolo di Maurizio Novelli, "Perché il sistema capitalistico è praticamente morto", pubblicato sul quotidiano economico Milano Finanza. Si tratta di un'analisi di ormai quattro anni fa, ma i problemi che l'autore solleva sono ancora presenti, anche se nascosti accuratamente sotto il tappeto.
Nel pezzo si parla della necessità capitalistica di fare sempre più debito per sostenere l'economia (il debito ha superato il 330% del PIL globale), del problema della valorizzazione del capitale, e in generale del dominio del capitale azionario su quello industriale:
"Il sistema capitalistico, degenerato a causa di questo modo di operare, è praticamente morto e la finanza, così come funziona oggi, lo ha ucciso. Gli Stati Uniti, dal 2001 in poi, hanno messo l'economia reale a sostegno della finanza, ribaltando la funzione che la finanza era a sostegno dell'economia reale. Oggi il settore finanziario 'fa leva' 4/5 volte sull'economia reale per ottenere rendimenti che l'economia reale non riesce più a produrre, così come le banche nel 2008 facevano leva 40 volte sul capitale per ottenere rendimenti che l'attività caratteristica non poteva dare."
La finanziarizzazione del capitale, riflesso della sua autonomizzazione, è la parte conclusiva della parabola storica del plusvalore. Il fenomeno è descritto nel nostro articolo "L'autonomizzazione del capitale e le sue conseguenze pratiche", che si basa sul Frammento del testo originario di "Per la critica dell'economia politica" del 1858. Oggi tale processo è ben visibile, basti pensare alla recente impennata del Bitcoin che vale più di Visa e MasterCard messe insieme. I crolli di borsa, le crisi finanziarie del 1987, del 1997, delle Dot-com e del 2008 testimoniano la difficoltà del sistema a riprodursi in quanto tale. La finanziarizzazione dell'economia non è altro che una risposta alla crisi di valorizzazione, dovuta all'aumentata produttività del lavoro. Non c'è mai pletora di capitali senza pletora di merci: per questo motivo "rilanciare la produzione" o "ritornare all'economia reale" sono slogan privi di senso.
La teleriunione di martedì sera, connessi 16 compagni, è iniziata con il commento di alcuni articoli inerenti il nuovo modo di condurre la guerra.
Da segnalare l'importanza acquisita dai droni nel teatro bellico ucraino, ma non solo. Nell'articolo "Legioni di 'droni intelligenti' all'orizzonte", pubblicato sul sito di Analisi Difesa, si afferma: "Non è utopico immaginare un futuro in cui legioni di droni, guidati da un unico comandante, si confrontino sul campo di battaglia. Droni da ricognizione, d'attacco, kamikaze e da supporto impiegati contemporaneamente per svolgere compiti diversi, come del resto sta già accadendo sui campi di battaglia in Ucraina."
Recentemente, l'intelligence americana ha fatto circolare la notizia, pubblicata dalla CNN e ripresa da La Stampa, di una nuova arma russa (electro magnetic pulse, impulso elettromagnetico nucleare) "in grado di distruggere i satelliti creando un'enorme ondata di energia paralizzando potenzialmente una vasta fascia di satelliti commerciali e governativi.". Il dispositivo rappresenterebbe un'importante minaccia per la sicurezza del paese.
Si sta dunque configurando un nuovo modo di fare guerra. Gli USA sono riusciti a vincere la Seconda guerra mondiale perché hanno esternalizzato a livello globale la loro catena di montaggio industrial-militare ("Guerra di macchine. La battaglia delle Midway"); la guerra moderna è, invece, un conflitto tra sistemi cibernetici, incentrato sull'elettronica e su reti di sensori. Il progetto Replicator del Pentagono, ad esempio, dà l'idea di uno scontro tra sciami di veicoli autonomi guidati dall'intelligenza artificiale. Il sistema israeliano Gospel, sempre attraverso l'utilizzo dell'IA, riesce a orientare il fuoco verso le postazioni di lancio di Hamas. Il gruppo italiano Leonardo sta sviluppando un progetto che "intende definire un'architettura spaziale in grado di fornire agli enti governativi e alle Forze Armate nazionali una capacità di calcolo e memorizzazione ad alte prestazioni direttamente nello spazio" ("Leonardo: al via il progetto per il primo sistema di Space Cloud per la difesa").
La teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 21 compagni, è iniziata con il commento del testo "Danza di fantocci: dalla coscienza alla cultura" (1953).
Con l'analisi di quest'ultimo articolo si chiude la trilogia dei fili del tempo centrati sulla critica al gruppo "Socialisme ou Barbarie", di cui si può trovare traccia negli ultimi resoconti. Ancora oggi è utile ribadire che cos'è la classe per la teoria marxista. Essa non è un ordine e il proletariato non è un quarto stato, caposaldo su cui invece si basano le varie forme di operaismo:
"La parola classe che il marxismo ha fatto propria è la stessa in tutte le lingue moderne: latine, tedesche, slave. Come entità sociale-storica è il marxismo che la ha originalmente introdotta, sebbene fosse adoperata anche prima. La parola è latina in origine, ma è da rilevare che classis era per i Romani la flotta, la squadra navale da guerra: il concetto è dunque di un insieme di unità che agiscono insieme, vanno nella stessa direzione, affrontano lo stesso nemico. Essenza del concetto è dunque il movimento e il combattimento, non (come in una assonanza del tutto... burocratica) la classificazione, che ha nel seguito assunto un senso statico."
La teleconferenza di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata dal commento di una video-intervista a Fabio Mini, generale dell'esercito italiano in pensione, incentrata sull'escalation in Medio Oriente e sul ruolo degli Stati Uniti. Secondo Mini, la dottrina militare americana prevede al massimo due fronti di guerra: in questo momento gli Americani sono impegnati in Ucraina (da quasi due anni) e in Medioriente, ma in futuro potrebbe aprirsi un altro fronte nell'Indopacifico.
Il caos scoppiato in Medioriente ha avuto delle ripercussioni in Ucraina, che non è più al centro dell'attenzione mediatica come prima del 7 ottobre. Adesso l'iniziativa è in mano russa (vedi l'accerchiamento di Avdiivka), mentre alle forze ucraine mancano proiettili, armi e uomini. Inoltre, il sostegno da parte del blocco NATO non è più certo, anche perché potrebbe esserci bisogno di armi e munizioni in altri contesti.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 17 compagni, è iniziata commentando la situazione mondiale, che vede una recrudescenza dei conflitti bellici in corso. Le forze armate statunitensi e britanniche hanno lanciato una serie di attacchi contro obiettivi militari in varie zone dello Yemen in risposta agli attacchi degli Houthi alle navi in transito nel Mar Rosso.
Nell'articolo "L'imperialismo delle portaerei" (1957), la nostra corrente scrive:
"Sappiamo che cos'è l'imperialismo del dollaro: esso non occupa territori, anzi 'libera' quelli su cui grava ancora la dominazione colonialista e li aggioga al carro della sua onnipotenza finanziaria, sulla quale veglia la flotta aeronavale più potente del mondo. L'imperialismo americano si presenta come la più pura espressione dell'imperialismo capitalista, che occupa i mari per dominare le terre. Non a caso la sua potenza si fonda sulla portaerei, nella quale si compendiano tutte le mostruose degenerazioni del macchinismo capitalista che spezza ogni rapporto tra i mezzi di produzione e il produttore. Se la tecnica aeronautica assorbe i maggiori risultati della scienza borghese, la portaerei è il punto di incontro di tutti i rami della tecnologia di cui va orgogliosa la classe dominante".
Gli USA, usciti vittoriosi dalla Seconda Guerra Mondiale, attraverso le portaerei controllano gli Oceani. In realtà, per controllare il Pianeta basta avere il controllo di alcuni hub strategici, ovvero degli stretti più importanti (Suez, Panama, Hormuz, Malacca, ecc.). Sullo stretto di Bab al-Mandab (quasi 40 km) si affacciano il Gibuti e lo Yemen, il canale è importante per la sua posizione cruciale lungo una delle rotte commerciali più importanti del mondo, tra il Corno d'Africa e la Penisola Arabica. Circa il 25% del traffico marittimo mondiale passa attraverso questo stretto, comprese le forniture energetiche provenienti dai paesi del Golfo Persico e dall'Asia e dirette verso l'Europa. Bloccando questo corridoio marittimo si può bloccare, o quantomeno rallentare, parte del commercio internazionale.
La teleriunione di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con una breve presentazione del saggio Riot. Sciopero. Riot. Una nuova epoca di rivolte, scritto nel 2019 da Joshua Clover.
Secondo lo scrittore e professore di inglese e letteratura comparata all'Università della California "Davis", a partire dal Medioevo si può ravvisare una dinamica storica che vede prima la rivolta, poi lo sciopero ed infine di nuovo la rivolta, ma in forma diversa rispetto alla fase iniziale.
Nel testo si descrive come, fino al XIX secolo, lo scontro avviene principalmente nell'ambito della circolazione, dato che lì si trovano i beni necessari alla riproduzione. Successivamente, soprattutto con l'entrata in scena del proletariato, si rafforzano le forme di lotta più organizzate, le rivolte combaciano con gli scioperi, e il conflitto si manifesta per la maggior parte con l'interruzione organizzata del lavoro. A partire dalla fine degli anni 60' del secolo scorso, le forme di scontro si fanno sempre più incontrollabili (vedi riot negli USA): finita l'epoca di crescita industriale del capitalismo, l'accumulazione avverrebbe nella sfera della finanza, almeno nei paesi a capitalismo avanzato, dando così inizio ad una fase di espulsione della forza lavoro dalla produzione. Con lo scoppio della crisi industriale, gli afroamericani sono i primi a trovarsi alle prese con seri problemi di sopravvivenza e le rivolte, che assumono apparentemente una connotazione razziale, riguardano in realtà le condizioni di milioni di proletari. La seconda fase della rivolta, o rivolta prime, come la chiama Clover, si pone quindi direttamente in conflitto con lo Stato, poiché esso dispone di strumenti di repressione e controllo che le società precedenti non avevano, raggiungendo livelli di sofisticazione mai visti prima. Gli scioperi moderni toccano la circolazione di uomini e soprattutto di merci, dal trasporto aereo ai treni, dalla logistica ai petroliferi. I gilet jaunes, ad esempio, a partire dal 2018 hanno occupato le principali vie di comunicazione bloccando autostrade e rotatorie. La logistica connette il tessuto produttivo ed è fondamentale nell'epoca del just in time e della produzione senza magazzino.
La teleriunione di martedì, a cui hanno partecipato 16 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo le conseguenze degli attacchi dei guerriglieri Houthi alle navi mercantili che transitano nel Mar Rosso.
Le grandi compagnie di navigazione che utilizzano la rotta del Canale di Suez sono in allarme, e alcune hanno annunciato che abbandoneranno questa via di comunicazione. "Dopo l'incidente sfiorato giovedì dalla Maersk Gibilterra e di un ennesimo attacco contro una nave portacontainer, abbiamo dato istruzioni a tutte le nostre imbarcazioni che dovrebbero attraversare lo stretto di Bab al-Mandab (che separa il mar Rosso dall'Oceano indiano) di sospendere il loro viaggio fino a nuovo avviso", scrive in un comunicato Maersk, leader mondiale nel settore del trasporto merce.
Dallo scorso 15 dicembre, 4 delle 5 maggiori società navali hanno interrotto o sospeso il traffico nel Mar Rosso, un'area lontana 1000 miglia da Gaza ma che è diventata zona di guerra: gli Houthi dello Yemen hanno dichiarato che le loro azioni sono in solidarietà ai palestinesi. In risposta agli attacchi, gli USA stanno mettendo in piedi una coalizione ("Prosperity guardian") che fornisca navi e uomini. Questa crisi ha un'implicazione economica mondiale, data l'importanza cruciale per il commercio internazionale dello stretto di Bab al Mandab, che collega il Mar Rosso con l'Oceano Indiano e da cui transita il 30% del traffico globale di container; ma anche un'implicazione militare, perché essa potrebbe dar luogo ad un'escalation che coinvolgerebbe l'Iran, sostenitrice del gruppo armato yemenita. Per Israele, il contesto di minaccia costante deriva non soltanto dagli Houthi ma anche, al nord, dal Libano, dove Hezbollah quotidianamente lancia missili verso gli insediamenti israeliani. Ciò fa pensare che tra i piani di Israele, oltre a ripulire Gaza, ci sia anche un intervento in quell'area. Si sta configurando un conflitto di dimensione globale, una guerriglia diffusa che dispone di armamenti normalmente in dotazione a Stati.
Durante la teleriunione di martedì sera, presenti 17 compagni, abbiamo fatto il punto sulla guerra israelo-palestinese e, più generale, sui problemi che attanagliano il presente modo di produzione.
Il 1° dicembre scorso sono ricominciate le azioni militari dell'esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Dopo il cessate il fuoco, che ha reso possibile lo scambio di prigionieri, il conflitto è ripreso: se nella prima fase l'offensiva di terra si era concentrata sulla parte nord della Striscia, adesso le operazioni si stanno spostando verso sud, anticipate da intensi bombardamenti. Centinaia di migliaia di civili palestinesi, sfollati dal nord, sono in trappola: non possono tornare nelle loro case e i valichi verso Egitto e Israele sono chiusi. Ed ora i raid dell'aviazione israeliana sono diretti proprio nelle zone precedentemente indicate come sicure.
Un carro armato Merkava pesa all'incirca 60 tonnellate e fatica a muoversi in un contesto urbano; per questo motivo, le IDF hanno raso al suolo interi quartieri e praticato lo sgombero forzato di parte della popolazione della Striscia. Le truppe israeliane entrano in un territorio senza civili, vuoto, perlustrando isolato per isolato, zona per zona, per stanare i "terroristi".
La teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 17 compagni, è iniziata con il commento delle notizie riguardanti OpenAI, uno dei più avanzati laboratori di ricerca nel campo dell'Intelligenza Artificiale (IA).
La startup che ha elaborato ChatGPT ("Chat Generative Pre-trained Transformer"), un sistema linguistico LLM ("Large Language Model") basato sull'apprendimento automatico profondo, recentemente è salita all'onore delle cronache per il licenziamento di uno dei suoi fondatori e CEO, Sam Altman. Da quanto si può leggere sui giornali, sembra che l'allontanamento di Altman ad opera del consiglio di amministrazione rientri nello scontro in atto tra i sostenitori di due diversi approcci nello sviluppo dell'intelligenza artificiale, ed in particolare riguardo allo sviluppo di un nuovo progetto denominato Q*. ChatGPT produce risultati in base ad un calcolo probabilistico, legato alla statistica del linguaggio; Q*, invece, sarebbe un sistema autonomo in grado di "superare gli esseri umani nei compiti con il maggiore impatto a livello economico" (Wired).
Secondo la Reuters, lo scontro verterebbe sulle precauzioni da adottare verso lo sviluppo del progetto: mentre la maggioranza del consiglio di amministrazione richiedeva una maggiore cautela, sembra che Altman spingesse per la sua commercializzazione. Nei giorni successivi al licenziamento, Microsoft, il maggior finanziatore della società, si è fatta avanti per assumere Altman, e più di 700 dipendenti hanno minacciato di andarsene per seguire il loro ex-capo. OpenAI nasce nel 2015 come organizzazione di ricerca senza scopo di lucro; qualche anno più tardi, nel 2019, viene affiancata da un braccio commerciale che si occupa di attrarre gli investimenti e gestire i profitti. All'interno della startup è presente la corrente dell'altruismo efficace, un movimento filosofico che si propone di applicare la ricerca scientifica e la tecnologia per migliorare il mondo, e di mettere in pratica la massimizzazione dei profitti per incentivare le donazioni economiche a favore dei problemi sociali.
Durante la teleriunione di martedì sera, connessi 21 compagni, abbiamo fatto il punto sulla guerra in Ucraina e in Medioriente.
L'Occidente è in grande difficoltà: non può sostenere a lungo gli Ucraini e deve fare i conti con la polveriera mediorientale. I giornalisti faticano ad ammettere che la Russia ha vinto la guerra e che l'Ucraina rischia il collasso. La blitzkrieg di Mosca (febbraio 2022) non era diretta alla conquista di Kiev ma era volta all'occupazione di una fascia di territori che gli Ucraini effettivamente ormai hanno perso. La controffensiva ucraina di primavera è andata male ed ora il governo Zelensky non sa più che fare, trovandosi alle prese con un'economia sorretta dagli aiuti occidentali, con una carenza di soldati e munizioni, e con uno scontro interno tra politici e militari. Nel frattempo le forze russe continuano a bombardare porti, infrastrutture, basi e centrali elettriche nemiche, e già si vocifera di trattative per cedere un 1/5 dell'Ucraina alla Russia, e accettare lo stato di neutralità del paese.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 21 compagni, è iniziata prendendo spunto da un articolo pubblicato sul sito Difesa Online intitolato "Hamas e Houthi e la guerriglia modernizzata a lunga distanza".
Secondo la testata giornalistica, che diffonde informazioni sulle Forze Armate italiane e straniere, l'attacco del 7 ottobre condotto da Hamas in territorio israeliano è da classificare come "guerriglia modernizzata a lunga distanza". Nella guerra ibrida "non esistono più fronti chiari e definiti", perché si è abbandonata la logica centrata sul controllo del territorio nemico. La guerriglia del passato si svolgeva in uno spazio circoscritto, mentre adesso le forze irregolari hanno la capacità di colpire a decine se non centinaia di km di distanza (come nel caso degli Houthi). In Medioriente ci sono diverse organizzazioni armate non statali: Hamas, gli Houthi, Hezbollah, e tutti gli altri gruppi meno conosciuti che si scontrano con Stati come Israele e USA. I gruppi armati non statali sono collegati sia economicamente che militarmente a forze statali (nel caso di Hamas, con Iran ma anche Qatar) e non si limitano ad utilizzare armamenti leggeri o ordigni costruiti artigianalmente, ma impiegano anche armi tecnologiche avanzate e di una certa potenza. All'escalation verticale della guerra ibrida data dalla potenza di fuoco acquisita da soggetti non statali (Hamas ha sparato oltre tremila razzi contro Israele in poche ore), si accompagna la possibilità di una escalation orizzontale, che si allarga coinvolgendo sempre più soggetti, statali e non.
Durante la teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 21 compagni, abbiamo analizzato l'evolversi della guerra israelo-palestinese.
Gli USA hanno espresso la loro contrarietà all'occupazione a tempo indeterminato della Striscia di Gaza da parte di Israele, come anche a qualsiasi ipotesi di trasferimento forzato dei palestinesi al di fuori. L'America vuole evitare l'allargamento del conflitto, che andrebbe a suo svantaggio.
Nell'articolo "Israeli soldiers fight to reach Hamas's headquarters" (6 novembre), L'Economist sostiene che, dopo 10 giorni di bombardamenti volti a neutralizzare la struttura militare di Hamas, siamo entrati nella fase "pericolosa" della guerra. Israele accusa l'organizzazione islamista di aver collocato le proprie postazioni sotto gli ospedali e di utilizzare le ambulanze (che vengono puntualmente bersagliate) per gli spostamenti. Gaza City è isolata dal resto della Striscia, che è stata divisa in due; gruppi di incursori israeliani sono penetrati all'interno della città compiendo operazioni mirate. Hamas non ha la forza di ingaggiare uno scontro aperto con le Forze di difesa israeliane (IDF) e quindi ha adottato come tattica la guerriglia urbana, basandosi sulla rete di tunnel che ha costruito negli anni. Come fanno notare gli stessi analisti militari, più andrà avanti l'offensiva e più moriranno civili palestinesi (si parla già di oltre dieci mila morti) e soldati israeliani.
Durante la teleriunione di martedì sera, connessi 19 compagni, abbiamo fatto il punto sulla guerra israelo-palestinese.
The Economist ha pubblicato un paio di articoli sulla situazione nell'area: "Why urban warfare in Gaza will be bloodier than in Iraq", nel quale si elencano le problematiche cui dovrà far fronte Israele qualora decidesse di intraprendere una guerra urbana a Gaza; e "American power: indispensable or ineffective?", dove si fa un parallelo tra il potere di deterrenza di Israele nel Medio Oriente e quello globale degli USA. In questi giorni la Marina americana ha inviato due portaerei in supporto ad Israele per lanciare un segnale chiaro agli attori ostili (a cominciare dall'Iran); il destino dei due paesi è strettamente connesso, dato che questa guerra definirà non solo il ruolo di Israele in Medio Oriente, ma anche quello dell'America nel resto del mondo. Secondo il settimanale inglese, sono tre le minacce per gli USA: i fronti mediorientali (gli Iraniani sono presenti in Siria, Libano, Iraq e Yemen) e ucraino, che consumano risorse politiche, finanziarie e militari; il fatto che una serie di paesi comincia a muoversi autonomamente per ricavare spazi di manovra (India, Arabia Saudita, ecc.); la questione Taiwan, ovvero il controllo dell'Indo-Pacifico.
Gli Houthi, al potere in una parte dello Yemen e sostenuti dall'Iran, hanno lanciato droni e missili contro Israele (intercettati e abbattuti dalle navi americane); l'Iran esporta petrolio in Cina e fornisce droni alla Russia che, a sua volta, ha accolto un alto rappresentante di Hamas dopo il 7 ottobre. L'apertura di un nuovo fronte di guerra per gli americani non è di certo cosa sgradita a Putin, che ha colto l'occasione per sottolineare la perdita di energia da parte del gendarme mondiale e la fine della "pax americana".
Durante la teleriunione di martedì sera, presenti 21 compagni, abbiamo discusso della situazione politica internazionale con particolare attenzione a Stati Uniti e Stato di Israele.
Secondo le rivelazioni dell'Huffington Post, negli USA sarebbe in corso un ammutinamento a tutti i livelli: alcuni diplomatici starebbero preparando ciò che viene definito un "dissent cable", un documento di critica verso la politica americana consegnato ai leader del Dipartimento di Stato tramite un canale riservato. Sembra che il conflitto all'interno dell'agenzia governativa verta sulle scelte di politica estera riguardanti la questione ucraina e quella israelo-palestinese. Riguardo quest'ultima, sembrano esserci problemi anche in casa del Partito Democratico per la posizione smaccatamente filoisraeliana di Joe Biden.
Anche in Israele ci sono conflitti interni. Tre ministri hanno minacciato di dare le dimissioni perché contrari alla condotta politica di Netanyahu, e dal punto di vista sociale, dopo l'iniziale compattamento seguito all'attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, sono riemerse le critiche della stampa verso il governo. In un discorso pubblico il presidente Biden ha ammesso che l'America ha sbagliato dopo l'11 settembre e perciò ha consigliato ad Israele di non fare gli stessi errori con Gaza, ignorando il dopo invasione. Gli USA cercano di frenare l'annunciato ingresso nella Striscia delle forze di difesa israeliane, anche perché l'Iran ha dichiarato che la situazione rischia di andare fuori controllo. Se continua il massacro di civili palestinesi, Hezbollah sarà costretto ad intervenire e potrebbe scattare un effetto domino in Medioriente e oltre. A tutti è ben chiaro che superata una certa soglia nessuno riuscirà più a controllare nulla. Si sa quando una guerra inizia, ma è difficile prevedere quando finirà.
La Sinistra definì positivo l'impianto di capitalismo modernissimo avvenuto con la fondazione dello Stato di Israele nel 1948. Durante la teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, abbiamo ripreso questa affermazione.
Per ribadire il concetto può tornare utile ricordare quanto scrivevano Marx ed Engels a metà Ottocento riguardo la necessità di una profonda rivoluzione nei rapporti sociali dell'Asia: se tale sommovimento è necessario, qualunque sia il crimine perpetrato dall'Inghilterra in India, essa si è fatta strumento inconscio della storia. Per i padri della teoria comunista c'è qualcosa nella storia umana di simile a una legge del contrappasso, e uno degli articoli di questa legge è che lo strumento di emancipazione sia forgiato non dagli offesi, ma da coloro che offendono (India, Cina, Russia. Le premesse per tre rivoluzioni).
La vittoria delle rivoluzioni anticoloniali ha dato modo di estendere la rete capitalistica al mondo intero e di sviluppare le basi del comunismo (lavoro associato). È da notare che tutte le ultime rivoluzioni nazionali borghesi (Congo, Algeria, Angola, Mozambico) avevano carattere urbano ed erano improntate a metodi più proletari che contadini (scioperi generali). Il trapianto di elementi di capitalismo in Israele ha fatto fare un passo in avanti a tutta l'area, saltando un passaggio storico:
La teleriunione di martedì, presenti 19 compagni, è iniziata commentando l'attacco di Hamas ad Israele il 7 ottobre scorso, a ridosso dell'anniversario della guerra dello Yom Kippur.
Quanto sta accadendo in quella tormentata aerea del mondo non è slegato dal quadro geopolitico mondiale, contraddistinto da un disordine crescente. Il Papa l'ha chiamata "terza guerra mondiale a pezzi", noi l'abbiamo definita sia "Guerra civile diffusa" che "Quarta Guerra Mondiale".
La corrente a cui facciamo riferimento, la Sinistra Comunista "italiana", ha lasciato del materiale utile per capire il retroterra storico degli avvenimenti in corso, a partire da articoli come "Le Alsazie-Lorene del Medio Oriente" (1955), "La crisi del Medio Oriente" (1955), "Il terremotato Medio Oriente" (1956). I confini del Medio Oriente sono stati tracciati a tavolino dopo la Prima Guerra Mondiale da Francia e Gran Bretagna, e il conflitto israelo-palestinese nasce proprio in quel periodo. Non si può capire l'oggi e, soprattutto, il domani senza aver individuato una traiettoria storica. La Sinistra valutò positivamente l'impianto di un capitalismo modernissimo, tramite la creazione artificiosa dello stato di Israele, in un'area geostorica fino ad allora (1948) abitata da popolazioni nomadi, piccolo contadiname e artigiani.
Nel 2015 la popolazione palestinese era composta da circa 12 milioni di persone. Di questi, 5 abitavano in Palestina (3 milioni in Cisgiordania e 2 nella Striscia di Gaza), 1,5 in Israele (cittadini arabi di Israele), 5,5 nei paesi arabi (soprattutto nei vicini Egitto, Giordania, Siria e Libano), e 685.000 nel resto del mondo. Vivono più palestinesi al di fuori dalla Palestina che al suo interno, e per la maggior parte si tratta di proletari sfruttati nelle fabbriche del mondo e quindi con gli stessi interessi degli altri salariati (Manifesto: "Proletari di tutti i Paesi, unitevi!"). Non esiste, di conseguenza, una questione nazionale palestinese specifica, tanto più che è finita da tempo l'epoca delle guerre di liberazione nazionale.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 17 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'intervista di Repubblica (05.09.23) a Daniel Susskind, professore di economia al King's College di Londra e autore di Un mondo senza lavoro, che afferma la necessità di cambiare paradigma dato che si sta stabilendo un nuovo rapporto tra lavoro e senso della vita: "l'idea di intraprendere una carriera, trascorrere diversi decenni a progredire e poi andare in pensione, è piuttosto superata".
Nell'articolo "Proletari, schiavi, piccolo-borghesi o... mutanti?", pubblicato sulla rivista n. 4 (2001), descrivevamo una serie di trasformazioni che all'epoca si potevano solo intravedere; allora, infatti, non c'erano i rider, non c'erano i clickworkers e di intelligenza artificiale si parlava poco:
"La struttura mondiale del lavoro sociale, la socializzazione crescente della forza produttiva umana, non possono non avere effetti materiali sulle forme in cui si manifesta lo sfruttamento. Se la miseria e il sottosviluppo odierni sono fenomeni modernissimi dovuti alla distruzione irreversibile dei rapporti antichi, l'estendersi enorme di rapporti di lavoro atipici nelle aree metropolitane non devono essere considerati fenomeni di regresso: saranno anch'essi a tutti gli effetti il risultato di progresso, quindi, per definizione, riflessi del futuro sul presente in via di liquidazione continua."
La teleconferenza di martedì, presenti 20 compagni, è iniziata commentando la situazione internazionale alla luce del recente golpe in Niger e del conflitto in Ucraina.
Il Niger è il più esteso e il più povero paese dell'Africa Occidentale (circa 1,3 milioni di kmq e 25 milioni di abitanti); tuttavia, è fondamentale per la sua posizione geografica essendo collocato tra il Maghreb a nord (Tunisia, Algeria, Libia) e i paesi del golfo di Guinea a sud (Nigeria, Camerun, Costa d'Avorio). E' difatti un importante crocevia per commerci di ogni tipo, anche di esseri umani. Nel suo sottosuolo giacciono uranio, petrolio, gas naturale, oro, diamanti e terre rare, che hanno sempre attirato interessi stranieri.
Lo scorso 26 luglio la guardia presidenziale ha prima circondato il palazzo presidenziale e poi messo agli arresti il presidente Mohamed Bazoum, il primo democraticamente eletto nel paese africano dal 1960. Questo golpe si aggiunge alla sequenza di colpi di stato militari consumati recentemente fra Mali (2020, 2021), Guinea (2021) e Burkina Faso (2022), facendo scivolare ancora di più nel caos l'intera area. Il Niger è stato uno dei pochi paesi ex coloniali ad aver mantenuto uno stretto e continuativo rapporto negli anni con la Francia ed è destinatario di investimenti in sicurezza degli Stati Uniti, che hanno impiantato una base militare (Air Base 201) a 500 miglia a nord ovest della capitale. Considerato un avamposto occidentale nel Sahel, ora il governo golpista guidato dal generale Abdourahaman Tchiani ha intimato la Francia a non intervenire nelle questioni interne del paese.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 18 compagni, è iniziata commentando la situazione economico-finanziaria della Cina, a partire dal possibile scoppio della bolla immobiliare.
Quanto successo nelle ultime settimane, tra cui le difficoltà del colosso Country Garden ma non solo, conferma quanto andiamo sostenendo da anni circa la raggiunta senilità della Cina. Ora se ne accorgono anche i borghesi, in particolar modo l'Economist che nell'edizione del 26 agosto ipotizza una "giapponificazione" (bassa crescita e deflazione) della economia cinese ("China's economy is in desperate need of rescue"). L'immobiliare è diventato un settore strategico, rappresentando il 30% del PIL cinese; l'enorme bolla speculativa è dovuta al fatto che il capitale ha cercato di valorizzarsi nella costruzione ex novo di decine di città, rimaste poi abbandonate. Secondo la banca Morgan Stanley, dal 2010 al 2020 il gigante asiatico ha costruito più di 140 milioni di unità abitative, e in soli tre anni ha prodotto una quantità di cemento che potrebbe trasformare la superficie della Gran Bretagna in un parcheggio; non pago, ha costruito città fantasma anche in Africa.
Secondo il Wall Street Journal il boom cinese è finito da tempo. La domanda di nuove abitazioni nelle città ha raggiunto il suo picco e i problemi di natura economica si assommano a quelli derivanti dalla disoccupazione giovanile, dall'invecchiamento della popolazione e dal calo degli investimenti esteri. Al pari dei paesi a vecchio capitalismo, la Cina installa robot nelle fabbriche e investe in intelligenza artificiale, e quindi si trova di fronte alla diminuzione relativa della produzione di plusvalore. Il gigante asiatico ha bruciato rapidamente le tappe capitalistiche passando in pochi anni da una crescita impetuosa a un altrettanto veloce declino.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 15 compagni, è cominciata dall'analisi di quanto sta succedendo in Israele, dove è stata approvata la prima parte della riforma giudiziaria con l'abrogazione della "clausula di ragionevolezza".
Lo Stato d'Israele non ha una costituzione ma solo leggi fondamentali, e la Corte Suprema svolge un ruolo di preservazione della "democrazia". Questo organo si fa sentire quando vengono promulgate leggi considerate non idonee o quando vengono eletti politici indecorosi, appellandosi, appunto, alla "ragione". La modifica favorisce il primo ministro Benjamin Netanyahu, che ha dei guai con la giustizia, e il suo governo, che comprende partiti di estrema destra e fondamentalisti.
Con l'avvicinarsi dell'approvazione della riforma le mobilitazioni hanno ripreso vigore e si sono radicalizzate, soprattutto a Tel Aviv, Haifa e a Beer Sheva. Lo scontro non si manifesta solo in piazza, con arresti e feriti, ma anche all'interno degli apparati statali. Riservisti, militari in servizio e anche forze di polizia sono scesi in piazza. Il capo del Mossad ha espresso viva preoccupazione per la crisi istituzionale, il Capo di stato maggiore dell'esercito non è stato ricevuto da Netanyahu. In Israele è in corso una forte polarizzazione politica in cui entrambi gli schieramenti si dichiarano difensori della democrazia, ed è proprio questo a preoccupare di più: è il sistema nel suo complesso ad essere andato in cortocircuito. Il leader dell'opposizione, Yair Lapid, ha dichiarato: "Vogliono fare a pezzi lo Stato, la democrazia, la sicurezza, l'unità del popolo di Israele e le nostre relazioni internazionali". Alle critiche di Lapid ha risposto Netanhyau: "La norma approvata oggi non è affatto la fine della democrazia, bensì la realizzazione del volere dell'elettorato e dunque l'essenza stessa della democrazia". Si prospetta anche la possibilità di uno sciopero generale. Il presidente americano Biden aveva consigliato al Primo Ministro di non avere fretta nell'approvare la proposta di legge per evitare di acuire la tensione, ma all'interno del governo israeliano ci sono forze ed equilibri che non permettono di rallentare la marcia. Israele è un avamposto degli USA: se dovesse collassare, tutto il Medioriente (e non solo) ne risulterebbe sconvolto. La banca Morgan Stanley e l'agenzia di rating Moody's hanno formulato un giudizio negativo sull'evoluzione economica del paese, e lo shekel sta perdendo valore sui mercati internazionali.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 16 compagni, è cominciata riprendendo quanto scritto nell'ultimo resoconto, ovvero che il conflitto in Ucraina sta dimostrando come la tecnologia stia cambiando il campo di battaglia.
Rispetto agli aspetti messi in luce nell'articolo "La sindrome di Yamamoto", notiamo che oggi molti processi sono ormai manifesti. L'Economist, nell'articolo "A new era of high-tech war has begun", osserva, ad esempio, che la carneficina ucraina contiene tre importanti lezioni per il futuro della guerra:
1) il campo di battaglia sta diventando trasparente e i conflitti futuri dipenderanno dalla capacità di riconoscere il nemico prima che lo faccia quest'ultimo; ciò vuol dire accecare i suoi sensori (siano essi droni o satelliti) e interrompere i canali di invio e ricezione dati, attraverso attacchi informatici, elettronici o di altra natura;
2) la guerra attuale, nonostante faccia largo uso di tecnologie avanzate, coinvolge ancora un'immensa massa di esseri umani e milioni di macchine e munizioni. La Russia, ad esempio, ha sparato 10 milioni di proiettili in un anno e l'Ucraina ha perso 10.000 droni in un mese;
3) il confine tra ambito militare e civile è sempre più sfumato. Anche uno smartphone può trasformarsi in un'arma: tramite un'app, infatti, un civile può segnalare la presenza del nemico e così aiutare a guidare il fuoco dell'artiglieria su un obiettivo. A ciò si aggiunge il complesso industriale bellico, composto da aziende private (vedi Starlink di SpaceX), università e laboratori.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 20 compagni, è iniziata analizzando i fatti russi, in particolare la "marcia per la giustizia" della compagnia militare privata Wagner verso Mosca, che ha catalizzato l'attenzione del mondo intero.
Il quadro generale da cui partire per non essere risucchiati dal vortice dell'attualismo è il seguente: il fine della guerra in corso è il mantenimento dell'egemonia americana, e tale spinta non può che produrre una reazione contraria da parte del resto del mondo. L'unipolarismo a stelle e strisce è messo in discussione da sempre più attori statali.
Il contesto globale è contraddistinto da una crisi dell'ordine internazionale, per il semplice motivo che un passaggio di consegne nella catena imperialistica non si vede. La causa profonda del marasma sociale e della guerra in atto è riconducibile alla crisi della legge del valore, tema che abbiamo approfondito in diversi articoli della rivista.
La stampa occidentale presenta i recenti accadimenti russi o come conseguenza dell'aumento del caos dovuto alla pessima conduzione della guerra o come un mancato colpo di stato. Questa lettura risulta però superficiale e poco convincente.
Appaltare la guerra può essere vantaggioso per gli Stati ("L'outsourcing globale") e per le varie lobbies, ma può condurre anche a inconvenienti di percorso. Sembra che il motivo scatenante dell'azione di Prigožin sia stato l'annuncio dell'annessione delle compagnie militari private sotto il controllo del Ministero della Difesa a partire dal prossimo 1° luglio. La Wagner, cresciuta d'importanza a livello internazionale per l'impegno nelle varie operazioni militari all'estero, avrebbe voluto ritagliarsi uno spazio autonomo nella gestione dei territori scenario di guerre (materie prime, ad esempio). In questi anni diversi oligarchi russi si sono fatti la propria milizia privata (vedi Potok e Fakel per Gazprom) e, evidentemente, Mosca ha sentito l'esigenza di mettere un po' d'ordine.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 18 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo le rivolte scoppiate in Francia in seguito all'uccisione del giovane Nahel per mano della polizia a Nanterre.
Quanto accade in Francia ci ha dato modo di riprendere l'articolo "La banlieue è il mondo", scritto dopo la sommossa del 2005. In questi giorni, così come nel passato, nel paese si è innescata una potente polarizzazione che ha schierato da una parte i difensori dell'esistente, e dall'altra chi non ha nulla da perdere se non le proprie catene: senza riserve che non hanno rivendicazioni da fare all'interno del sistema, di cui non si sentono parte e che non riconoscono. Successivamente alla rivolta del 2005, iniziò la lotta contro il CPE, il contratto di primo impiego; oggi, la rivolta scoppia poco dopo la fine del movimento contro la legge sulle pensioni. In entrambi i casi le mobilitazioni dei sindacati non si sono incontrate con le proteste del proletariato delle periferie, "estremo, disoccupato, escluso anche per fattori etnici". Le lotte sindacali sono rivendicative e hanno come obiettivo la critica a leggi promulgate dal governo, i giovani banliuesard, invece, attaccano tutto quanto ha attinenza con lo Stato e saccheggiano la proprietà. Sono le loro condizioni materiali, non l'ideologia, a spingerli a comportarsi in un determinato modo. Fonti governative affermano che l'età media dei rivoltosi è di 17 anni.
Dal 2005 in Francia è in corso un'escalation sociale. Secondo il ministero dell'Interno francese, il livello di violenza attuale (poliziotti feriti, edifici pubblici distrutti, ecc.) è superiore alla precedente ondata di rivolta. Marsiglia, seconda città francese per numero di abitanti dopo Parigi, è stata teatro di scontri durissimi tra giovani e forze dell'ordine, ed una persona è rimasta uccisa da una "flash ball" sparata dalla polizia, lo stesso tipo di arma (proiettile di gomma) che durante le proteste dei Gilets jaunes aveva causato decine di feriti gravi.
La teleriunione di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata con un aggiornamento sul conflitto in Ucraina.
Il crollo della diga di Kakhovka sul Dnepr esprime in maniera lampante le forme attuali della guerra e le conseguenze che essa mette in atto. Elenchiamole per punti: 1) il raccolto di frumento di tutta l'area è pesantemente compromesso. Trattandosi di una regione particolarmente importante a livello agricolo, la produzione sarà notevolmente inferiore alla media; 2) la diminuzione della quantità di grano disponibile avrà conseguenze sulle popolazioni più povere del mondo, in particolare dell'Africa; 3) una minore produzione implica l'aumento dei prezzi e conseguentemente la crescita dell'inflazione; 4) l'impossibilità di fornire acqua dolce alla penisola di Crimea; 5) lo straripamento delle acque, oltre ai danni alla flora e alla fauna, comporta forti rischi di diffusione di epidemie; 6) l'allagamento potrebbe ripercuotersi negativamente sulla falda acquifera e quindi sulla stabilità della centrale nucleare di Zaporizhzhia e del suo sistema di raffreddamento; 7) l'inondazione ha spostato le mine russe nelle campagne.
Sia a livello locale (regione di Kherson) che nazionale ci sarà un sensibile peggioramento delle condizioni di vita di ampie fette di popolazione e gravi conseguenze per l'ambiente. Sulla vicenda, la propaganda si è messa in moto da una parte e dall'altra, lanciando reciproche accuse riguardo la responsabilità dell'esplosione che ha causato il crollo della diga. Per ora non vi sono elementi per formulare un'ipotesi, e va tenuto conto che esiste anche la possibilità che il danneggiamento non sia "volontario" ma il risultato dei danni indiretti provocati dalle operazioni belliche e, soprattutto, dell'evidente carenza di manutenzione conseguente alla guerra. Questa possibilità, qualora fosse reale, esprimerebbe in pieno il carattere assunto oggi dalle contrapposizioni militari delle potenze imperialiste e dei loro vari galoppini. In sintesi, questo episodio è emblematico di alcuni aspetti della guerra moderna, che assume una durata sempre più prolungata e una dimensione puramente distruttiva, mettendo a rischio la stessa riproduzione della specie umana.
La teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 13 compagni, è iniziata dalla segnalazione di un articolo del quotidiano Il Post, intitolato "Bisogna capirsi su cosa sia 'l'intelligenza artificiale'".
Nell'articolo si sostiene che non esiste una versione unica dell'IA in quanto essa varia rispetto ai contesti e agli ambiti di ricerca. Una delle tante definizioni che vengono date è quella di "ambito dell'informatica per risolvere problemi con vari gradi di difficoltà", come ad esempio la guida autonoma di un'autovettura oppure il funzionamento di una chatbot. Quando se ne parla, bisogna perciò distinguere tra intelligenza artificiale "generale" e "ristretta": la prima riguarda il campo delle macchine che arrivano a riprodurre interamente l'intelligenza umana, come nei film di fantascienza, e questo è l'aspetto che fa più paura; la seconda, l'IA ristretta, indica quei sistemi che svolgono compiti precisi ma molto complessi, differenti dai normali software.
Abbiamo sempre detto che non ci serve una macchina che sia una copia dell'uomo. Ci servono invece protesi per amplificare le nostre capacità e soprattutto che ci aiutino a conoscere noi stessi. Un algoritmo, procedimento di calcolo nato prima dell'informatica, non è altro che una sequenza definita di istruzioni per arrivare a un risultato: partendo dal suo funzionamento base fondato sul binomio "se, allora", si possono inserire più dati e variabili e renderlo estremamente complesso.
Gli algoritmi basati sull'IA (bot) svolgono il lavoro che prima svolgevano gli umani e al giorno d'oggi ci sono algoritmi che costruiscono altri algoritmi: bot vengono testati da altri bot precedentemente istruiti dai programmatori. Miliardi di interazioni fanno sì che il sistema migliori strada facendo, imparando dai propri errori, e ciò vale sia per i bot che devono riconoscere immagini o suoni, che per i bot che devono addestrarli e testarli. Il passo successivo sono i bot che costruiscono altri bot. Una macchina che impara ad imparare rientra nella categoria del machine learning. Man mano che questi algoritmi analizzano i dati trovano andamenti e schemi sulla base dei quali fare previsioni.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sulla conferenza pubblica, tenuta a Roma lo scorso 27 maggio, sul tema della guerra.
La riunione è andata bene, sia per la chiarezza con cui sono stati esposti gli argomenti sia per gli interventi e le domande che sono state poste ai relatori. Tra gli intervenuti c'è stato chi ha sottolineato come in questa fase di guerra generalizzata sia fondamentale ribattere il chiodo contro le partigianerie in genere ("Marxismo o partigianesimo"), e chi ha ribadito che l'unico modo per analizzare i fatti in sintonia con il "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" è proiettarsi nel futuro. Diversi i compagni collegati via Skype, una modalità utile per chi non può essere presente fisicamente a questi incontri.
Nella stessa giornata si è svolta a Roma la manifestazione "Ci vuole un reddito", in difesa del reddito di cittadinanza; molti i gruppi e i partitini della sinistra che vi hanno aderito, oltre a sindacati e a diverse realtà di base. La misura del reddito di cittadinanza, inizialmente intesa come erogazione monetaria per raggiungere la parità tra tutti i cittadini, si è trasformata nel giro di pochi anni in un reddito di base, una sorta di salario di sopravvivenza. Non si tratta più di un'astratta forma di accompagnamento al lavoro, ma della possibilità di poter arrivare a fine mese. Secondo i dati dell'Osservatorio Inps, in Italia due milioni e mezzo di senza riserve vivono con questo assegno (l'importo medio è di 550 euro), e tra poco rimarranno economicamente scoperti.
Sabato 27 maggio 2023, ore 17.30
Ci sono varie forme di rappresentazione della guerra in Ucraina e di tutte le guerre in corso nel mondo. Quella che va per la maggiore è una cronaca dei fatti condita da un'informazione parziale e propagandistica che non permette di distinguere i dati reali da quelli inventati; un'impostazione ideologica che ripropone il dualismo tra paesi aggrediti e paesi aggressori, e il relativo bisogno di intruppare il proletariato e chi vorrebbe rappresentarlo in un fronte borghese contro un altro. L'unico modo per analizzare i fatti in sintonia con il "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" è farlo proiettandosi nel futuro. E questo ci dice che l'esaurimento di qualsivoglia funzione propulsiva del presente modo di produzione si manifesta anche nel carattere che lo scontro interimperialista assume: una serie di guerre che porta distruzione senza alcuna possibilità di ringiovanimento del Capitale. In questo senso, la guerra attuale è diversa dalle grandi guerre dei secoli scorsi, dalle quali emergevano una potenza dominante e un nuovo ordine mondiale. Quando si sente parlare di un impero in declino e di uno in ascesa, bisogna tenere presente che il capitalismo d'oggi è senile ad Ovest come ad Est, e che la parabola che descrive l'andamento della produzione di plusvalore ha un inizio e una fine. Il sistema ha una freccia del tempo: dissipa energia, regredisce verso il disordine, procede verso la catastrofe.
Sarà possibile seguire l'incontro anche via Skype. Per partecipare inviare una mail all'indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. entro il 26 maggio 2023.
c/o Laboratorio politico Alberone via Appia Nuova 357 - Roma
(fermata della metropolitana A Furio Camillo)
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, è iniziata riprendendo il tema della guerra, con particolare attenzione a quello che sta succedendo in Sudan e alle cause generali che hanno portato allo scoppio del conflitto.
La rivista Limes, nell'articolo "Prove di guerra per procura (anche) in Sudan", afferma che "lo scontro in atto nel paese africano è un tassello della tumultuosa transizione verso un nuovo ordine mondiale". Sarebbe più corretto dire nuovo disordine mondiale. Cina, Russia e Stati Uniti hanno interessi nel paese e sono presenti, mentre Onu e Unione Europea sono politicamente assenti. Il Sudan ha una popolazione di 48 milioni di abitanti, è il terzo paese più popoloso del continente africano e ha un'estensione di oltre 1,8 milioni kmq (circa 6 volte l'Italia). Ha una posizione geopolitica importante, poiché si affaccia sul Mar Rosso in un tratto che collega i paesi arabi con quelli africani, e per la disponibilità di materie prime (acqua, petrolio, oro). Non è troppo distante da Gibuti, dove ci sono le basi militari di Italia, Cina, Francia, Stati Uniti, Giappone, Arabia Saudita. Pochi mesi fa aveva dato il via libera alla costruzione di una base navale russa sul proprio territorio.
Secondo l'Espresso, "la guerra in Sudan rischia di far collassare l'Africa". Nell'articolo "Marasma sociale e guerra" avevamo visto che già nel 2011 diversi paesi (Egitto, Siria, Libia) erano stati travolti da moti di piazza, in alcuni casi evoluti in guerra civile. A partire dal 2019, il Sudan è stato teatro di manifestazioni di massa che hanno contribuito alla cacciata del presidente Omar al-Bashir, al potere da oltre trent'anni, e poi di un golpe dell'esercito che però non ha risolto la situazione. In un quadro di instabilità generale proliferano le guerre civili. Esse diventano endemiche in quanto le cause che le generano sono molteplici: migrazioni, siccità, crisi economiche e politiche, mutati assetti internazionali.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata riprendendo gli argomenti trattati nelle scorse teleconferenze.
L'Economist, che utilizziamo come serbatoio da cui prendere dati e informazioni utili per il lavoro, afferma che da circa dieci giorni è scoppiata in Sudan una guerra civile ("In Sudan and beyond, the trend towards global peace has been reversed"). In realtà, il paese africano è in una fase di conflitto permanente dalla data della sua indipendenza, il 1956. Ufficialmente il conflitto vede contrapporsi un generale dell'esercito regolare e un generale delle milizie paramilitari, ma in effetti si tratta di uno scontro tra due fazioni interne allo Stato rapidamente trasformatosi in guerra guerreggiata, con la chiusura delle maggiori ambasciate e la fuga del personale straniero.
Sempre secondo il settimanale inglese, le guerre civili tendono a durare sempre più a lungo e diventano sempre più difficili da risolvere, anche perché si diffondono negli stati più poveri, in via di dissoluzione, sottoposti a notevoli pressioni interne ed esterne. In Sudan, sin dall'inizio dell'attuale conflitto, è stato chiaro che vi erano intrecci tra interessi locali dei signori della guerra e interessi internazionali.
La teleriunione di martedì sera, connessi 14 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardanti quanto discusso negli incontri precedenti in merito alla competizione sino-americana nel contesto della guerra globale.
Partendo dalla visione del video "USA contro Cina. La sfida del secolo vista da Pechino" (Giorgio Cuscito, analista di Limes), possiamo approfondire alcuni aspetti inerenti a ciò che i borghesi chiamano "geopolitica". Di questa nuova scienza, nata dalla constatazione che particolari aree geostoriche determinano i comportamenti dei vari attori statali e politici, se ne parla nel filo del tempo "Il pianeta è piccolo" (1950): "Essa [la geopolitica] vuole studiare la geografia del pianeta nei suoi incessanti mutamenti per effetto del soggiorno e dell'opera dell'uomo. È un ramo di scienza che ha capito che le leggi dei fatti storici non si scoprono nelle tracce che hanno lasciato nel cervello dell'individuo ma nella fisica reale degli oggetti ponderabili."
Riguardo il rapporto USA/Cina abbiamo ripreso alcune mappe di Limes che schematizzano la strategia di contenimento americana. Lo stretto di Malacca, che separa l'isola indonesiana di Sumatra dalla costa occidentale della penisola malese e mette in collegamento l'Oceano Pacifico con l'Oceano Indiano, è da secoli un hub strategico per le rotte commerciali. Il canale è sotto il controllo degli Americani, che hanno schierato armi e attrezzature a Singapore. In caso di aumento della tensione nell'area, la sua chiusura potrebbe avere importanti ripercussioni a livello commerciale (di lì passa il 40% del commercio mondiale), soprattutto per la Cina. Un altro aspetto a cui prestare attenzione è il programma cinese noto come "Obiettivo 2049": per i cento anni della nascita della Repubblica Popolare Cinese, Pechino si è posta l'obiettivo di annettere Taiwan. Durante l'ultimo congresso del PCC, il presidente Xi Jinping ha dichiarato che non è da escludere in assoluto l'uso della forza per riprendersi l'isola.
La teleconferenza di martedì, presenti 16 compagni, è iniziata riprendendo il tema affrontato la scorsa settimana, ovvero il confronto tra Cina e Stati Uniti. Come abbiamo scritto nell'articolo "Accumulazione e serie storica", la Cina è allo stesso tempo rivale e partner fondamentale degli USA. Si fa dunque sempre più evidente un modello globale assolutamente schizofrenico.
La proiezione di potenza cinese vede nel Pacifico il suo sbocco naturale. Hanno suscitato parecchio rumore sui media i tre giorni di esercitazioni compiuti da mezzi navali ed aerei cinesi intorno a Taiwan. Dopo la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, il Kuomintang si rifugiò sull'isola trasformandola in uno stato indipendente, mai riconosciuto dalla Cina (e anche dai quattro membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU), che continua tuttora a considerare il territorio taiwanese come una propria estensione.
Alle esercitazioni cinesi, meno intense rispetto a quelle dell'anno scorso quando la Speaker della Camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, si recò in visita a Taiwan, sono seguite le manovre americane: mobilitazioni congiunte con le forze armate filippine che hanno visto lo schieramento di migliaia di uomini e di un cacciatorpediniere che, secondo la Cina, "è entrato illegalmente nelle acque vicino alla barriera corallina cinese di Meiji nelle Nansha (isole contese note anche come Spratly). Queste isole sono disputate da Vietnam, Filippine, Cina, Malaysia, Taiwan e Brunei. Sono un gruppo di atolli naturali e artificiali, alcuni dei quali costruiti da Pechino per piazzare basi militari in mezzo al Mare Cinese Meridionale.
La teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 16 compagni, è cominciata con il commento dell'ultimo numero dell'Economist, che rappresenta in copertina i due pesi massimi USA e Cina intenti a combattere un match di pugilato ("Why the China-US contest is entering a new and more dangerous phase"). La preoccupazione del settimanale inglese riguarda il fatto che la ricerca del dominio militare intorno ad alcuni punti critici, come ad esempio Taiwan, provochi incidenti o scontri che possano sfuggire al controllo innescando processi catastrofici.
È notizia di questi giorni l'accordo tra le banche centrali di Brasile e Cina che consentirà ai due paesi di utilizzare le loro valute per gli scambi commerciali, bypassando l'uso del dollaro. In Rete circolano articoli di elementi di sinistra che valutano tale intesa come epocale, dato che aprirebbe la possibilità di una biforcazione storica: "di fronte alla crisi del ruolo dominante degli Usa dobbiamo scatenare la terza guerra mondiale o dobbiamo ricercare una nuova cooperazione tra i popoli e i paesi?" ("Brasile e Cina, perché l'accordo monetario che estromette il dollaro può sconvolgere il mondo", Paolo Ferrero)
In realtà, in regime capitalistico una cooperazione tra tutti gli stati è impossibile, così com'è impossibile la cooperazione tra tutte le aziende: la concorrenza non lo permette. Restando all'interno della presente forma sociale, non c'è soluzione alle contraddizioni che essa genera: "A causa della proprietà e dei confini nazionali ci sarà sempre la corsa al maggior accaparramento, la concorrenza sui mercati, l'utilizzo di eserciti regolari e irregolari, insomma la guerra fra capitalisti con qualunque aspetto essa si manifesti." ("Super-imperialismo?")
La teleriunione di martedì sera, connessi 19 compagni, è iniziata con l'analisi delle recenti manifestazioni in Israele e in Francia.
Nello Stato d'Israele, dove le mobilitazioni vanno avanti da circa tre mesi, ufficialmente si scende in piazza per difendere l'indipendenza della Corte Suprema e il potere giudiziario, minacciati da una legge del governo Netanyahu (il Parlamento, oltre a scegliere i giudici, può annullare le decisioni della Corte). Secondo gli organizzatori delle mobilitazioni, si tratta di proteggere la democrazia israeliana, messa a repentaglio da un governo di estrema destra.
Israele è un paese con poco meno di nove milioni di abitanti, si trova in un'area geopolitica in subbuglio e negli ultimi anni ha visto l'avvicendarsi di diversi governi. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha avvertito Netanyahu del malcontento all'interno dell'esercito in merito all'approvazione della legge, considerata un attacco tangibile allo stato israeliano. Per tutta risposta, il primo ministro ne ha chiesto e ottenuto le dimissioni, scatenando proteste di massa, l'assedio della sua residenza a Gerusalemme e il blocco delle strade principali di Tel Aviv. L'esercito israeliano è un esercito di popolo, per tal motivo la protesta ha coinvolto sia riservisti che reparti d'élite, che hanno minacciato di non presentarsi nelle caserme qualora la legge fosse stata approvata; migliaia di soldati israeliani hanno dichiarato che si rifiuteranno di prestare servizio nell'esercito, tanto che il presidente americano Joe Biden si è detto preoccupato che Israele vada verso una guerra civile. Di fronte al crescere della mobilitazione e la minaccia dello sciopero generale, il primo ministro ha annunciato il "congelamento" della riforma giudiziaria.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata commentando lo stato del sistema bancario alla luce del crollo dei mercati seguito al fallimento della Silicon Valley Bank (SVB), un istituto californiano fondato a Santa Clara nel 1983 e divenuto rapidamente la banca di fiducia di aziende tecnologiche e startup.
SVB, la sedicesima banca degli Stati Uniti, non sapendo che farsene della liquidità raccolta negli ultimi anni, ha investito principalmente in titoli di Stato americani, arrivando a fine 2022 a detenere quasi 100 miliardi di bond governativi. Con il rialzo dei tassi d'interesse, le startup che prima riuscivano ad ottenere denaro pressoché gratuito dai fondi, sono andate in affanno e hanno dovuto prelevare dai depositi della banca californiana una grande quantità di denaro. Per far fronte ai prelievi, SVB ha dovuto vendere ad un prezzo inferiore i titoli accumulati, perdendo circa due miliardi di dollari, e facendo scattare prima la corsa agli sportelli e poi l'intervento di FED e governo. Biden si è affrettato a dichiarare al mondo che il "sistema bancario è solido. Nessuna perdita sarà a carico dei contribuenti."
Assicurazioni sulla solidità del castello di carta della finanza sono state elargite anche quando è scoppiata la crisi dei mutui subprime nel 2008, eppure da allora il mondo non si è più ripreso. Nell'articolo "Non è una crisi congiunturale", pubblicato quell'anno (rivista n. 23), scrivevamo che ogni proiezione prevedeva il ripresentarsi di una crisi catastrofica entro un paio di decenni. Se aggiungiamo gli eventi che si sono verificati in seguito, come la Primavera araba, la crisi degli Stati, la pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina, ne deduciamo che il sistema si sta sgretolando.
La teleriunione di martedì 28 sera, presenti 18 compagni, è iniziata riprendendo il tema della guerra in corso in Europa, fatto che per gli attori statali coinvolti e le forze in campo presenti non si verificava dalla Seconda Guerra Mondiale.
Gli analisti militari non sanno bene come inquadrare ciò che sta accadendo in Ucraina e quanto possa durare il conflitto. L'obiettivo della "operazione militare speciale", come l'ha definita Putin, era la sostituzione del governo di Kiev per mezzo di un colpo di mano dell'esercito ucraino con l'annessione definitiva da parte della Federazione Russa delle regioni dell'est del paese e della Crimea.
Ad un anno dall'inizio della guerra, le maggiori potenze hanno svuotato gli arsenali (NATO e Russia denunciano la carenza di scorte di armi e munizioni) e si trovano a doverne fabbricare di diversa qualità, visto che nel frattempo si sta verificando un cambiamento dei mezzi e dei fini della guerra. Uno dei problemi maggiori di questo conflitto riguarda i costi: un drone Bayraktar Tb2 turco costa da uno a 5 milioni di dollari, e un carro armato moderno come il Leopard 2 costa tra i 4 e i 6 milioni di euro. La produzione di Leopard e il trasferimento dei modelli più vecchi che giacevano nei magazzini rappresentano una scommessa soprattutto per la NATO, che deve decidere se in futuro avrà ancora senso continuare a produrne. Il drone, nato per recepire informazioni dal campo tramite filmati e foto dall'alto, si è trasformato in un vero e proprio aereo da guerra. La Russia ha ordinato alle proprie industrie la produzione di migliaia di missili ipersonici Zircon, ma resta da capire come saranno utilizzati dato che viaggiano a circa 10mila km l'ora e possono colpire un bersaglio a una distanza di mille chilometri.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 15 compagni, ha avuto come tema principale la guerra in Ucraina scoppiata circa un anno fa.
Abbiamo iniziato la discussione analizzando le prese di posizione di alcuni militari italiani, (Leonardo Tricarico e Marco Bertolini) contrari all'invio dei carri armati prodotti in Germania. Si è quindi passati a commentare quanto scrive il generale Fabio Mini nel suo ultimo libro L'Europa in guerra (ed. PaperFIRST, 2023). Una prima considerazione da fare, leggendo i capitoli iniziali del testo, riguarda il fatto che le campagne di denuncia di leniniana memoria sono ormai sostenute dagli stessi generali dell'esercito, motivo per cui i comunisti non si possono fermare a tale livello e devono per forza andare oltre.
In L'Europa in guerra si dice che lo svuotamento degli obsoleti arsenali occidentali, dovuto alle forniture di armi a Kiev, rende necessario il rinnovo degli armamenti e apre le porte all'adozione di nuove risorse tecnologicamente più avanzate ed efficienti. Tali equipaggiamenti, afferma Mini, sono prevalentemente americani e legano sempre più l'Europa agli Stati Uniti, paese che maggiormente investe nella preparazione e nell'impiego di forze militari. Gli alleati NATO dell'Est Europa sono le punte di lancia dell'America nel Vecchio Continente.
Per il generale, l'Ucraina sta combattendo contro l'Europa per e con gli Stati Uniti. E l'obiettivo di quest'ultimi è mantenere l'egemonia sull'Europa e interrompere qualsiasi legame politico ed economico tra Berlino e Mosca, costringendo gli alleati a importare da loro risorse energetiche a costi più alti. In ballo c'è il controllo di un mondo che non accetta più supinamente il dominio del dollaro. Come nota l'Economist ("What Ukraine means for the world"), solo un terzo della popolazione mondiale vive in paesi che hanno condannato la Russia per l'invasione dell'Ucraina e le hanno imposto sanzioni.
La teleriunione di martedì sera, a cui si sono connessi 19 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo il recente attacco subito dall'Iran alla luce della "nostra" teoria della guerra.
Alcuni droni hanno cercato di colpire un sito militare nella città di Isfahan (a sud di Teheran), dove sarebbero immagazzinati missili balistici e droni che la Russia attende dall'Iran. Il ministero della Difesa iraniano ha dichiarato che gli aeromobili a pilotaggio remoto erano tre: uno è stato colpito dal sistema di difesa antiaerea del complesso e gli altri due sono esplosi.
Secondo il Wall Street Journal, che cita fonti USA, l'autore dell'attacco sarebbe Israele, mentre Al Arabiya sostiene il coinvolgimento degli Stati Uniti. In ogni caso, sia Israeliani che Americani hanno tutto l'interesse a contenere la sfera di influenza di Teheran e le sue capacità militari. "Tutte le opzioni sono sul tavolo per impedire che Teheran ottenga l'arma nucleare", ha affermato il segretario di Stato americano Antony Blinken. Nel recente passato è stato eliminato il responsabile del programma nucleare di Teheran, un comandante dei pasdaran; e prima ancora, nel 2010, c'era stato l'attacco informatico condotto dagli USA con il virus Stuxnet all'impianto di arricchimento di Natanz. In seguito, l'Iran ha investito molto sulla cyber security e ha sviluppato un settore informatico militare, l'Iran's Cyber Army, che è stato testato nell'attacco dello scorso anno all'Albania.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, è cominciata commentando la notizia di stampa sull'esaurimento delle scorte di munizioni da parte dei paesi Nato.
Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, dopo la firma della dichiarazione congiunta per la cooperazione tra Nato e Ue, ha dichiarato: "Gli alleati della Nato e i membri dell'Ue hanno esaurito i loro stock per fornire supporto all'Ucraina e questa è stata la cosa giusta da fare perché riguarda anche la nostra sicurezza". Riguardo al conflitto in corso, ha aggiunto: "La Russia ha subito grandi perdite in Ucraina ma non dobbiamo sottostimarla, Mosca sta mobilitando nuove truppe e nonostante le sofferenze sta mostrando la volontà di continuare la guerra. Non c'è alcuna indicazione che Putin abbia cambiato i propri obiettivi sull'invasione dell'Ucraina. Dobbiamo essere preparati ad una lunga guerra e a proseguire il supporto all'Ucraina."
Il supporto all'Ucraina ora comprende l'invio di mezzi di fabbricazione tedesca Leopard 2, tra i migliori carri armati al mondo. Fino all'ultimo, la Germania ha cercato di evitare un coinvolgimento diretto nella guerra ma poi ha dovuto cedere alle pressioni della Polonia e dei Paesi baltici, e degli Stati Uniti, che in cambio hanno promesso di inviare a Kiev carri armati di terza generazione M1 Abrams. Ciò significa che vi sarà un'escalation bellica ("What Western tanks should give Ukraine in the next round of the war", The Economist, 22.01.23).
La teleriunione di martedì 6 dicembre, presenti 18 compagni, è iniziata commentando alcune notizie riguardanti la riduzione della settimana lavorativa.
In Gran Bretagna, dall'inizio di giugno, si è svolto un esperimento sulla riduzione dell'orario di lavoro a trentadue ore su quattro giorni a settimana, mantenendo invariato il salario dei lavoratori. Le aziende interessate sono state circa 70 per un totale di circa 3.300 dipendenti coinvolti. La prova, monitorata da un gruppo di ricercatori indipendenti facenti capo a istituti di ricerca sociale ed economica delle università di Oxford e Cambridge, si è conclusa verso la fine di novembre con risultati positivi, e molte imprese hanno deciso di mantenere questo tipo di organizzazione oraria.
Nel mondo sono in corso diversi esperimenti simili. Numerose aziende, anche molto grandi, soprattutto del settore dei servizi, hanno introdotto o stanno preventivando una riduzione degli orari. In Italia, Lavazza sta testando la settimana lavorativa di quattro giorni. Si tratta di una tendenza generale dettata dallo sviluppo tecnologico, con cui tutti devono fare i conti; il processo ha subito un'accelerazione con la pandemia. La riduzione dell'orario di lavoro e il salario ai disoccupati, rivendicazioni storiche del movimento proletario, sono prese in considerazione dallo stesso capitalismo. Nel dibattito politico italiano imperversa la polemica tra sostenitori e abrogatori del reddito di cittadinanza, ma resta il fatto che a livello mondiale milioni di persone vivono da anni grazie a svariate forme di sussidi statali.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 17 compagni, è cominciata con il commento di alcune notizie riguardo al conflitto russo-ucraino.
Il principale supporter militare dell'Ucraina, gli USA, stanno terminando le munizioni per l'artiglieria pesante. A quanto pare, dal punto di vista delle scorte, gli Americani sono messi peggio dei Russi. Viene in mente quanto successo durante la Guerra del Kippur quando si è raggiunto il massimo indice di consumo dei materiali bellici. Allo stato attuale, si sta combattendo una guerra con le armi di quella precedente, ma non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: ne sono già in cantiere di nuove come, ad esempio, i missili ipersonici (capaci di raggiugere velocità superiori a mach 5, cinque volte la velocità del suono) che, qualora fossero impiegati, trasformerebbero lo scenario bellico in termini di intensità ed estensione.
Un altro cambiamento rispetto al passato è rappresentato dalla guerra elettronica, si pensi al virus informatico Stuxnet, ideato da Americani e Israeliani per sabotare l'impianto di arricchimento di Natanz in Iran, oppure al recente cyberattacco iraniano contro lo stato albanese. Questo tipo di attacchi, anche se virtuali, producono danni fisici e possono mettere in ginocchio un paese.
Come abbiamo scritto nel volantino "La Quarta Guerra Mondiale", se non si blocca al suo scatto, "la guerra delle macchine, dei sistemi e dell'informazione prenderà il sopravvento e gli uomini diventeranno delle loro protesi, come del resto è già successo in fabbrica."
Durante la teleconferenza di martedì sera, connessi 20 compagni, abbiamo parlato dello scontro bellico in corso in Ucraina e delle sue conseguenze a livello internazionale.
Il governo di Zelensky e i media occidentali hanno celebrato la riconquista della città di Kherson da parte dell'esercito ucraino in seguito alla ritirata dei Russi verso est, ma hanno cantato vittoria troppo presto. Il 15 novembre scorso la Russia ha sferrato un attacco missilistico, con oltre 100 razzi, che si è abbattuto sulle infrastrutture energetiche del paese, causando l'interruzione della fornitura elettrica in alcune città. Leopoli è rimasta senza elettricità e riscaldamento. In serata un paio di missili sono caduti in Polonia, vicino al confine con l'Ucraina, facendo scattare l'allarme nelle capitali occidentali dato che il paese dell'Europa centrale fa parte della NATO e l'articolo 5 del Trattato Nord Atlantico sancisce che un attacco armato contro uno stato membro è un attacco contro tutti.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata commentando le ultime notizie riguardo alla guerra in Ucraina.
Trenta deputati del partito democratico americano hanno inviato una lettera al presidente Joe Biden con la richiesta di "raddoppiare gli sforzi per cercare un quadro realistico per un cessate il fuoco". I dem invitano l'amministrazione in carica a cambiare radicalmente la strategia sulla guerra in Ucraina, e sollecitano negoziati diretti con la Russia. I redattori della missiva sono una minoranza, ma questa iniziativa potrebbe determinare una spaccatura all'interno del partito proprio a ridosso delle delicate elezioni di midterm, quando è probabile che la maggioranza del Congresso passi ai repubblicani e che perciò l'approccio americano verso il conflitto in corso cambi. Una settimana fa il leader del Grand Old Party alla Camera, Kevin McCarthy, ha detto che in caso di vittoria del suo partito alle elezioni di medio termine "non ci saranno più assegni in bianco per Kiev".
Il fronte esterno di guerra influenza quello interno, e viceversa. Tutto va inquadrato alla luce della tensione sociale crescente negli Stati Uniti, anche per l'affare Trump. Sono infatti passate in sordina le perquisizioni dell'FBI nella casa dell'ex presidente, accusato di aver "volontariamente sottratto carte relative alla sicurezza nazionale Usa... nascosto o sottratto documenti pubblici" e "ostruito un'indagine federale". Gli apparati statali americani, che non sono così unitari come sembra, temono probabilmente che un'eventuale incriminazione di Trump per i fatti del 6 gennaio a Capitol Hill potrebbe scatenare movimenti di piazza da parte dei suoi sostenitori, i quali il più delle volte sono armati. Sui media americani si registra una certa apprensione verso certi eventi, come appunto le elezioni di midterm, che possono fare da catalizzatori per una resa dei conti tra gli opposti schieramenti.
La teleriunione di martedì sera, connessi 15 compagni, è iniziata commentando i fatti salienti degli ultimi giorni, cercando di inquadrarli alla luce della dottrina del succedersi dei modi di produzione.
Prima di entrare nel particolare è doverosa una premessa teorica di carattere anti-immediatista: nella rappresentazione della società capitalista su un piano cartesiano, ciò che ci interessa non è tanto il singolo punto quanto la curva generale, consapevoli del fatto che tale diagramma non sarebbe possibile senza quel punto significativo che si muove sulla curva e che rappresenta la cosiddetta attualità. La dinamica degli accadimenti ci serve essenzialmente per comprendere cosa accadrà in futuro. Il presente non esiste, tutto è in continuo divenire. Anche il capitalismo ha una freccia nel tempo e i dati che raccogliamo, inseriti nel nostro modello, ci servono per fare previsioni, per registrare la temperatura sociale. La distruzione di un ponte o un bombardamento di una città ci dicono poco se vengono analizzati come fatti a sé, disgiunti dall'insieme di relazioni che li hanno scatenati. Dal punto di vista della teoria marxista, lo sciame di eventi che si sta manifestando sul pianeta, dalla siccità ai gasdotti sabotati, dalla guerra alla pandemia, dimostra che le forze catastrofiche stanno subendo un'accelerazione.
In una visione dinamica dei processi storici, come piaceva dire a Bordiga, a noi interessa la cinematografia di un avvenimento, non la fotografia.
Nel racconto L'anno del diagramma dello scrittore di fantascienza Robert Heinlein, un patito della statistica raccoglie dati insoliti sulla natura e sul comportamento umano, e li organizza in un modello formale che porta deterministicamente ad un esito catastrofico. Il tipo di spiegazione che Heinlein forniva a proposito dei grandi avvenimenti attesi dal protagonista del racconto è significativo: egli non badava né all'economia né alla politica ma collezionava i dati grezzi che formavano degli aggregati trattabili in modo statistico. Pochi fenomeni presi a uno a uno sembravano fatti di pura follia, ma presi tutti insieme dimostravano la marcia collettiva verso una catastrofe sociale.
La teleriunione di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata commentando l'aumento dei casi di covid e l'annuncio del possibile utilizzo dell'atomica tattica da parte della Russia.
Per gli esperti il coronavirus è diventato un mix di varianti con un alto potenziale evolutivo, molto difficile da affrontare. Entro fine mese, in Italia, si prevede un boom di casi (e decessi). Tutti i diagrammi non danno prospettive positive, la borghesia ancora non ha risolto a livello mondiale questo disastro e si conferma una classe non più all'altezza della sua stessa storia. Senza contare la possibilità di nuovi virus (vedi aviaria).
Per quanto riguarda l'atomica tattica, non ci sono grandi novità ammenoché non si siano fatti progressi con le armi sperimentali. Nel caso di impiego di nucleare tattico da parte della Russia, David Petraeus, ex capo della Cia, minaccia una risposta durissima e immediata degli Usa: "Solo per darvi un'ipotesi, risponderemmo guidando uno sforzo della Nato - un sforzo collettivo - che eliminerebbe ogni forza convenzionale russa che possiamo vedere e identificare sul campo di battaglia in Ucraina e anche in Crimea e ogni nave nel Mar Nero". Nella guerra moderna non c'è bisogno di utilizzare le armi nucleari, sono essenziali i nuovi armamenti (informatica, elettronica). La domanda frequente è se questa escalation può far superare la soglia critica per cui la guerra si espande sul territorio e nell'impiego di mezzi. Esiste in effetti una difficoltà oggettiva ad inquadrare l'evoluzione dei fatti, ma fermandosi all'osservazione dei dati sul campo è arduo ipotizzare che possa rientrare tutto con un accordo come suggerisce, ad esempio, Mattarella. Basti pensare al recente sabotaggio dei gasdotti: il Nord stream è rimasto chiuso a lungo con i giornali allarmati per l'avvicinarsi dell'inverno ed il panico sociale che inizia ad avere delle conseguenze.
La teleriunione di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata con il commento del risultato delle recenti elezioni politiche in Italia.
In Europa, ma anche oltreoceano, stanno riscuotendo successo i raggruppamenti populisti riconducibili alla galassia di destra. Ciò dipende dal crescente livello di instabilità sociale dovuta a crisi, miseria, pandemia e guerra. L'Italia, al solito, fa da laboratorio per il resto del mondo. Analizzando la tornata elettorale, il dato su cui soffermarsi è quello che riguarda la rinuncia al voto: quasi il 40% degli aventi diritto non si è recato alle urne, mentre il 26% dei votanti ha dato fiducia ad una forza che stando all'opposizione ha cavalcato il malessere sociale. In un articolo di domenica 25 settembre l'Avvenire riporta un grafico significativo sulla disaffezione dei cittadini verso la politica a partire dal secondo dopoguerra, che mostra una progressione sempre più marcata dell'astensionismo. Le vecchie strutture politiche, i partiti e persino i sindacati perdono iscritti. La volatilità del voto, che tende a premiare i partiti populisti, con le fiammate prima della Lega, poi del Movimento 5 Stelle, e adesso di Fratelli d'Italia, è la logica conseguenza del mancato radicamento dei partiti nella società e della fluidità della situazione.
La teleriunione di martedì sera, connessi 16 compagni, è iniziata commentando gli ultimi sviluppi del conflitto in Ucraina.
La propaganda, da sempre un'arma fondamentale nella guerra, nell'epoca dell'informazione diviene ancor più importante. Le notizie che abbiamo a disposizione per capire quanto accade in Ucraina sono quelle prodotte dagli apparati di imbonimento ideologico, i quali spiegano poco o nulla di quanto sta succedendo sul campo. Esistono siti militari, come Analisi Difesa o Rivista Italiana Difesa, oppure riviste di geopolitica, come Limes, ma bisogna prendere con le pinze quanto scrivono. L'offensiva delle forze ucraine nella provincia nordorientale di Kharkiv sembra essere vittoriosa e secondo l'Economist ha portato alla riconquista di 1000 kmq quadrati di territorio e di decine di insediamenti. I media mainstream occidentali esultano per quella che sarebbe la prima vittoria significativa dell'Ucraina contro la Russia, perchè dimostra che l'esito del conflitto potrebbe cambiare di segno.
Durante la teleriunione di martedì sera, presenti 15 compagni, abbiamo discusso della condizione di crescente instabilità in cui versa il mondo.
Dal 31 agosto scorso il gasdotto Nord Stream 1, il più importante canale europeo per il rifornimento di gas naturale, è chiuso per un guasto ad una turbina; il portavoce del governo russo ha dichiarato che la riapertura, inizialmente prevista per il 2 settembre, non avverrà fino a quando non saranno revocate le sanzioni imposte al suo paese per la guerra in Ucraina, poiché esse impediscono che le operazioni di manutenzione delle unità si svolgano in sicurezza. Il blocco dei flussi di gas a tempo indefinito ha causato un'ulteriore impennata del prezzo della materia prima, la chiusura in forte calo delle borse europee, l'indebolimento dell'euro sul dollaro; e appare come una chiara risposta del Cremlino alla decisione dei paesi del G7 di introdurre un tetto massimo al costo del petrolio russo, e dell'Unione Europea di fare lo stesso per il prezzo del gas.
La crisi europea dell'approvvigionamento di gas sta provocando significative ripercussioni anche a livello sociale, e ha portato alla nascita di movimenti contro il caro energia e il carovita in diversi paesi dell'Unione. Il Civil Unrest Index (CUI), l'indice dei disordini civili stilato dalla società britannica di consulenza strategica Verisk Maplecroft, ha rilevato un aumento inedito del rischio di proteste e rivolte nel secondo e terzo trimestre dell'anno in corso. I dati, raccolti negli ultimi sette anni, individuano più della metà dei paesi presenti nella CUI, 101 su 198, come ad alto o estremo rischio, indicando per i prossimi sei mesi un ulteriore deterioramento dovuto all'impatto dell'inflazione, superiore al 6% nell'80% dei paesi di tutto il mondo, sul prezzo degli alimenti di base e dell'energia. I fari sono puntati sull'Algeria, dove inflazione e siccità hanno colpito duramente la popolazione, ma nell'elenco vengono associati anche paesi che a prima vista hanno poco in comune: Bosnia ed Erzegovina, Svizzera, Paesi Bassi, Germania e Ucraina sono tra gli stati con il maggiore aumento di rischio previsto. Inoltre, tra gli stati maggiormente esposti ad un'ondata di proteste ci sono quelli a reddito medio, che durante la pandemia sono riusciti ad approntare misure di protezione sociale e ora stanno tentando di mantenere alti i livelli di spesa: Bolivia, Egitto, Filippine, Suriname, Serbia, Georgia, Zimbabwe e Bosnia ed Erzegovina.
Durante la teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 13 compagni, abbiamo ripreso gli argomenti trattati durante lo scorso incontro, ovvero la situazione climatica, il riscaldamento globale e il ruolo dell'attività umana (capitalistica).
E' stato segnalato l'articolo "La soluzione capitalista per 'salvare' il pianeta: trasformalo in una classe di asset e vendilo", una lunga intervista a John Bellamy Foster, professore di sociologia ed editore della rivista online Monthly Review. Secondo lo studioso, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, conosciuta anche come COP26, si sarebbe paventato un progetto per la finanziarizzazione dei processi naturali:
"[…] il capitale è alla ricerca di nuovi flussi di entrate. E dopo la crisi finanziaria del 2007-2010, hanno iniziato a guardare sempre più ai servizi ecosistemici (quelli che potremmo chiamare natura e servizi della natura) come base, come base materiale per la finanziarizzazione. Quindi c’è questa finanziarizzazione della natura in corso molto rapida che sta avvenendo. Dove i servizi naturali, i servizi ecosistemici, si stanno trasformando in forme di valore di scambio che possono essere alla base della finanziarizzazione".
La teleriunione di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata con il commento di alcune notizie riguardanti gli scioperi in corso in varie parti del pianeta.
Solo nell'ultima settimana ci sono stati: uno sciopero nazionale in Ecuador indetto dalle comunità indigene; uno sciopero generale in Tunisia che ha visto la partecipazione di tre milioni di lavoratori; uno sciopero a Bruxelles che ha portato in piazza 70 mila manifestanti; il più importante sciopero negli ultimi trent'anni delle ferrovie in Gran Bretagna. Inoltre, è in fibrillazione tutto il settore della logistica, dai portuali tedeschi agli autotrasportatori sudcoreani.
Il filo rosso che lega queste mobilitazioni passa per l'aumento dei prezzi, il carovita, l'inflazione galoppante. Le odierne eruzioni sociali non sono propriamente dei movimenti e non possono riflettere altro che il motivo contingente che spinge in piazza le persone. Ma in un contesto di miseria assoluta crescente, vediamo crescere un senso di disagio profondo che mobilita sia coloro che hanno paura di perdere qualcosa, sia coloro che non hanno più nulla da perdere ("Rivolta contro la legge del valore").
Questo processo provoca contraccolpi sulla sovrastruttura politica borghese e rappresenta una chiave di lettura. Riguardo alle vicende politiche italiane, possiamo utilizzarlo per comprendere la dissoluzione del Movimento 5 Stelle.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 21 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sul tema del salario minimo, in relazione all'accordo raggiunto dall'Unione europea in questi giorni.
L'intesa sui minimi salariali dovrà ora essere ratificata dal Parlamento e dal Consiglio Ue, e toccherà poi ai singoli Paesi membri recepire la direttiva. Non c'è ancora nulla di certo, dunque. La crescita dei prezzi trainata dal rincaro dell'energia sta riducendo il potere d'acquisto dei lavoratori, perciò gli stati dovranno intervenire in qualche modo per cercare di preservare la pace sociale e sostenere i consumi delle famiglie.
Durante un incontro pubblico a Torino il segretario generale della CGIL ha detto che "siamo di fronte a una situazione sociale esplosiva. Non ci sono solo i salari bassi, ma un livello di precarietà nel lavoro e nella vita che non c'è mai stato, una situazione di incertezza, insicurezza." In un'altra occasione ha evocato la necessità di "un contributo di solidarietà da parte dei più ricchi", ovvero l'adozione di un'imposta patrimoniale da "applicare anche alle rendite finanziarie" per aumentare i salari. Pezzi di classe dominante e di burocrazia sindacale sono arrivati all'idea che bisogna agire sulla "propensione marginale al consumo" (la quale ci dice che l'aumento di un reddito basso si traduce comunque in consumo, mentre l'aumento di un reddito alto si traduce tendenzialmente in tesaurizzazione, risparmio o speculazione), anche perché, come scrive The Economist, si sta profilando all'orizzonte una nuova recessione in Europa e negli Stati Uniti (Europe's economy grapples with an acute energy shock", "A recession in America by 2024 looks likely").
La teleriunione di martedì sera, presenti 21 compagni, è iniziata affrontando il tema della crisi alimentare in corso.
L'Economist titola l'edizione del 21 maggio "The coming food catastrophe", accompagnandola con un'immagine di copertina piuttosto macabra nella quale sono raffigurate tre spighe di grano composte da chicchi a forma di teschi. L'immagine, diventata virale sui social network, vuole rappresentare un problema reale che sta catalizzando l'attenzione a livello mondiale. L'articolo del settimanale inglese, sebbene parta da premesse che non solo le nostre (ad esempio dando la colpa di tutto al battilocchio di turno, in questo caso Putin), dimostra che la guerra sta conducendo un mondo già fragile alla rottura.
La difficoltà negli approvvigionamenti delle materie prime e la congestione dei processi logistici (colli di bottiglia) manifestatesi con la pandemia si sono aggravati con la guerra in Europa. Russia e Ucraina forniscono il 28% del grano commercializzato a livello mondiale, il 29% dell'orzo, il 15% del mais e il 75% dell'olio di girasole. Queste forniture sono fondamentali per sfamare Libia, Egitto, Tunisia, diversi paesi africani e in generale tutta quell'area che va dal Sudafrica all'est asiatico. Le prime rivolte per la fame sono già scoppiate in Sri Lanka e Iran. L'Inghilterra si è fatta avanti proponendo la formazione di una "coalizione di volenterosi" per scortare con navi da guerra i mercantili che nel Mar Nero trasportano il grano ucraino.
La teleriunione di martedì sera, connessi 21 compagni, è iniziata con il commento di alcune notizie in merito a quanto sta succedendo in Iran.
Nella repubblica islamica da una decina di giorni si susseguono manifestazioni contro il carovita. Le proteste sono state innescate dal taglio dei sussidi governativi per il grano importato, che ha causato un aumento dei prezzi fino al 300% di una varietà di prodotti a base di farina. Tra il 2019 e il 2020 una serie di manifestazioni molto combattive aveva scosso il paese e si erano verificate delle vere e proprie sommosse. Le agitazioni di questi giorni non hanno un'intensità simile, ma si contano già alcuni morti tra i manifestanti. L'Huffington Post afferma che le insurrezioni viste in Sri Lanka nell'ultimo periodo sono solo l'antipasto di quello che potrebbe succedere nel sud-est asiatico e, aggiungiamo noi, nel resto del mondo. L'India, a causa del blocco del frumento russo e ucraino e di una siccità record, ha deciso che smetterà di vendere il proprio grano all'estero. L'Onu teme una carestia mondiale: sono 25 milioni le tonnellate di grano bloccate in Ucraina. Gli elementi per lo scoppio di una tempesta perfetta ci sono tutti.
Anche la Cina deve far fronte ad una serie di problemi. In seguito ai rigidi lockdown messi in atto per arginare la diffusione del Coronavirus, la produzione industriale e l'export sono crollati e la disoccupazione è cresciuta. Nel paese la percentuale di coloro che si sono sottoposti al percorso vaccinale è bassa, ed inoltre i vaccini cinesi sono risultati meno efficaci di quelli occidentali. Il governo di Pechino sembra abbia intenzione di ripescare la carta della "prosperità condivisa", ovvero la promessa di distribuire fette di valore verso le classi meno abbienti, puntando così sulla propensione marginale al consumo.
Abbiamo iniziato la teleriunione di martedì 3 maggio, a cui hanno partecipato 25 compagni, parlando del Primo Maggio a Torino, giornata che quest'anno si è inserita in un contesto di guerra e di corsa agli armamenti.
Nel capoluogo piemontese la manifestazione ufficiale organizzata dai sindacati ha percorso il tragitto classico, da piazza Vittorio Veneto a piazza San Carlo passando per via Roma. Un ingente schieramento di polizia si è occupato di tenere separato lo spezzone dei confederali da quello degli antagonisti, caricando quest'ultimo a più riprese lungo il percorso. Questi fatti non sono eccezionali, si ripetono quasi ogni anno. Eravamo presenti in piazza e abbiamo distribuito il volantino "La Quarta Guerra Mondiale", riscontrando un certo interesse da parte di chi lo riceveva. Quando la testa del corteo stava giungendo in Piazza San Carlo, alcuni rider hanno cercato di inserirsi entrando da una traversa di via Roma, ma sono stati prontamente bloccati dalle forze dell'ordine e dal servizio d'ordine della CGIL.
La tensione sociale aumenta e, di anno in anno, in occasione del 1° maggio cresce anche il numero di agenti in divisa e in borghese. Tuttavia, finché si accettano le regole del gioco il copione si ripete: i sindacati e le istituzioni arrivano in piazza, iniziano il loro comizio, partono le cariche in coda al corteo contro lo "spezzone sociale", i fotografi scattano tante foto, le istituzioni lasciano libera la piazza, gli antagonisti rivendicano la presa del palco. Quello del Primo Maggio a Torino è un wargame giocato unicamente dalla questura, che ha il controllo della situazione sia in termini di forze che in termini di prevenzione. Mettere in discussione le regole del gioco significa, ad esempio, rifiutare il concetto stesso di manifestazione che inizia al mattino e finisce al pomeriggio, come ha insegnato Occupy Wall Street che pensò bene di piantare le tende a Zuccotti Park e occupare a tempo indeterminato la piazza (dando vita ad un movimento globale). Per (ri)fare ciò è necessario un cambio di paradigma, l'abbandono di vecchie visioni politiche.
Abbiamo iniziato la teleriunione di martedì 10 maggio, a cui si sono collegati 24 compagni, prendendo spunto da una e-mail circolata nella nostra rete di lavoro in merito al mercato mondiale e alle problematiche che stanno emergendo.
Quando è iniziata la guerra in Ucraina, comprendere le motivazioni reali che stavano dietro all'esplosione del conflitto poneva delle difficoltà. Avevamo detto che col tempo si sarebbe chiarito tutto e, in effetti, a distanza di due mesi e mezzo risulta più facile inquadrare i fatti. Elenchiamone alcuni: 1) non si tratta tanto di una guerra tra Russia e Ucraina ma tra Usa e Russia e, presa di mezzo, Europa; 2) come nota Limes, la pace è finita, e questo dipende da una serie di fattori concatenati che indicano un sobbollimento generale dovuto alla crisi del capitalismo senile; 3) il controllo del mondo da parte degli Usa mostra segni di debolezza. Gli Stati Uniti vivono grazie ai flussi di valore che arrivano dal resto del pianeta e, data questa struttura materiale del capitalismo, la loro guerra è, per forza di cose, contro il mondo intero.
I processi di autonomizzazione monetaria sono la diretta conseguenza dell'indebolimento della dittatura del dollaro sul mercato mondiale. L'India ha annunciato di aver iniziato ad acquistare petrolio russo pagandolo in rubli; alla dichiarazione è seguita quella, piuttosto minacciosa, dell'amministrazione Usa che ha ricordato al governo indiano le ripercussioni a cui vanno incontro ignorando le sanzioni contro il paese nemico. Voci sempre più insistenti parlano di una nuova moneta commerciale con cui Russia e Cina intendono sostituire il dollaro ("L'economia e la guerra. Il mondo rischia di spaccarsi anche sul fronte della moneta", L'Avvenire).
La teleriunione di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata prendendo spunto da un articolo del Il Fatto Quotidiano a firma del generale Fabio Mini: "Salvare la dittatura del dollaro: la vera guerra di resistenza USA" (16 aprile 2022). Nel testo viene citato l'ultimo libro del generale cinese Qiao Liang, L'arco dell'impero, con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità, che tratta, tra le altre cose, della "invenzione della finanza Usa che riesce a staccare la moneta dalla realtà economica e da qualsiasi valore oggettivo di riferimento e convertibilità".
Per spiegare le origini del conflitto in Ucraina Mini ricorda alcuni fatti salienti che hanno segnato il corso del capitalismo, in primis la strabiliante capacità degli Usa di colonizzare finanziariamente il mondo. Nel 1944, con gli accordi di Bretton Woods, il dollaro diventa la moneta utilizzata per i maggiori scambi commerciali mondiali, nel 1971 si sgancia dall'oro e successivamente, con Nixon, si lega al petrolio (Petrodollaro). Nel 2000 Saddam Hussein annunciò di voler vendere petrolio iracheno in euro, qualcosa di simile dichiarò anche Gheddafi; sappiamo che fine hanno fatto i due leader. Oggi, dice Mini, si stanno formando unioni economico-commerciali (Eaeu, Bri) che mettono a repentaglio il dominio del dollaro; il conflitto in Ucraina è quindi l'ultimo episodio della politiguerra americana al mondo, tesa a mantenere l'egemonia del capitale a stelle e strisce. Le "guerre senza fine" del Pentagono, scrive il generale Qiao, sono progettate per garantire "che non solo i dollari fluiscano senza problemi fuori dal Paese (sotto forma di cessioni finanziarie e di crediti), ma anche che il capitale in movimento nel mondo torni negli Stati Uniti".
Da segnalare anche l'interessante intervista di Giulio Chinappi a Gal Luft, consulente senior del Consiglio per la sicurezza energetica degli Stati Uniti ("Gli USA, la guerra nucleare finanziaria contro la Russia e il nuovo ordine finanziario globale").
La teleriunione di martedì sera, connessi 15 compagni, è cominciata con una richiesta di chiarimento rispetto a quanto abbiamo scritto nell'ultimo resoconto, ovvero che gli Usa "sono anche colonizzatori di sé stessi, agendo come alieni verso le popolazioni occupate e pure verso la propria".
Il riferimento al moderno colonialismo a stelle e strisce, emerso durante lo scorso incontro on line, si richiamava al nostro articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" (capitolo V. L'invasione degli ultracorpi), nel quale affermiamo che anche alcune frange borghesi comprendono che per milioni di americani il loro stesso Stato è un alieno, un qualcosa che non fa parte del paese. Si pensi, ad esempio, alla trilogia dell'impero di Gore Vidal (La fine della libertà, Le menzogne dell'impero, Democrazia tradita).
La riunione è proseguita riprendendo la discussione sulla guerra in Ucraina e le sue conseguenze.
La teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 20 compagni, è iniziata dal commento della video-presentazione del nuovo numero di Limes intitolato "La fine della pace" (3/22).
Nel corso dell'analisi, il direttore Lucio Caracciolo afferma che la guerra in Ucraina chiude irreversibilmente la fase cosiddetta pacifica che si è avuta in Occidente dopo la Seconda guerra mondiale, e apre allo scontro tra due grandi paesi: la Russia, che combatte sul terreno ucraino, e l'America, che utilizza forze altrui sul campo di battaglia. Tra le conseguenze del conflitto la possibile disgregazione della Federazione Russa, che porterebbe ad uno scenario pericolosissimo per l'intera area centro-asiatica data la presenza sul territorio russo di migliaia di testate nucleari.
A nessuno conviene una balcanizzazione della Russia, anche perché essa potrebbe scatenare il caos all'interno del paese e non solo. Va ricordato che, nonostante gli ultimi eventi, Russia e Usa continuano la collaborazione bellica in Siria e i negoziati sull'Iran. I due paesi non sono diretti concorrenti e, dal punto di vista della possibile interruzione dell'importazione del gas, a soffrirne sarebbero maggiormente gli stati europei. Questa è una guerra al cuore dell'Europa, non dell'Ucraina, e chi la sta combattendo sono in primis gli Usa.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 25 compagni, è iniziata riprendendo l'argomento toccato in chiusura della scorsa riunione, ovvero la teoria della rendita agraria e immobiliare nel moderno capitalismo in relazione al conflitto in Ucraina, che ormai coinvolge, a diversi livelli, tutto il mondo.
Gli attori che giocano a questo wargame sono tanti, ma in testa ci sono le potenze maggiori. Abbiamo parlato della rendita partendo dal problema della fornitura del gas russo, dato che Mosca ha paventato la possibilità di interrompere i flussi verso l'Europa, evento che innescherebbe conseguenze dal punto di vista politico, economico e sociale. La Russia ha comunicato ai paesi ritenuti ostili, quelli che hanno messo in atto delle sanzioni, che se vogliono continuare ad acquistare gas russo dovranno pagarlo in rubli; e a quelli ritenuti amici, che sta valutando se accettare pagamenti in bitcoin.
Durante la teleriunione di martedì sera, a cui si sono connessi venti compagni, abbiamo ripreso la discussione sulla guerra in Ucraina.
In un'intervista sul conflitto in corso l'ex ufficiale della Cia Larry C. Johnson dipinge uno scenario diverso rispetto a quello proposto dai media mainstream occidentali. Secondo l'analista militare, la Russia ha già vinto la guerra ed ora non le rimarrebbe che un lavoro di pulizia. Già a 24 ore dall'inizio delle operazioni militari, gli attacchi russi avrebbero distrutto le capacità radar ucraine mettendo così fuori combattimento la forza aerea del paese; il fatto che la lunga colonna di carri armati russi, posizionata a ridosso di Kiev, non abbia subito nessun tipo di attacco ne sarebbe la riprova. A questo si aggiungono i pesanti bombardamenti alle basi di Yavoriv e Zhytomyr, de facto basi Nato in quanto utilizzate dall'Alleanza come centri di addestramento e logistici per fornire armi e combattenti all'Ucraina.
L'analisi di Johnson, che tutto sommato offre chiavi di lettura più coerenti rispetto a quelle della propaganda ufficiale, conferma quanto detto durante la scorsa teleriunione e cioè che la Russia non si sta ritirando perché in difficoltà, ma ha invece raggiunto parte dei suoi obiettivi (il controllo della fascia che va dal Donbass alla Crimea, e di quella più a nord che segue il confine russo-ucraino), e ora sta riposizionando le proprie truppe. Da stabilire, anche alla luce dei negoziati in corso, se una configurazione di questo tipo possa bastare per chiudere le ostilità.
La guerra potrebbe estendersi nell'Indo-Pacifico con un'azione militare cinese contro Taiwan?
La teleconferenza di martedì sera, presenti 23 compagni, è iniziata con la segnalazione di alcune news sulla Cina.
Secondo The Economist ("Why foreign investors are feeling jittery about China"), dall'inizio di marzo gli investitori internazionali hanno ritirato circa 11,5 miliardi di dollari dalla Cina. La fuga preoccupa il governo di Pechino, che però ufficialmente minimizza l'accaduto. Le cause alla base di questo deflusso di capitali esteri vanno cercate nei problemi dell'immobiliare cinese (caso Evergrande), nella maggiore ingerenza dello stato nell'economia, nel sostegno di Xi Jinping a Putin, nel timore di una possibile invasione cinese di Taiwan, ma anche nel fatto che la strategia "contagi zero", adottata dal paese per arginare la diffusione del Covid-19, non ha funzionato. In seguito alla crescita dei casi (5 mila in un solo giorno), sono state messe in lockdown diverse metropoli, tra cui Shenzhen (17,5 milioni di abitanti) e l'importante polo industriale di Shenyang (9 milioni). Ad Hong Kong la situazione è fuori controllo, i tassi di mortalità hanno raggiunto livelli mai visti prima: 26.000 nuovi casi al giorno su una popolazione di 7,2 milioni di abitanti, e un tasso di mortalità che è il più alto mai registrato in un paese industrializzato. I severi lockdown messi in atto dal governo cinese avranno un impatto altrettanto importante sull'industria, sui trasporti e sul movimento di uomini e merci.
Nella teleconferenza di martedì 15 marzo, a cui si sono connessi venti compagni, abbiamo ripreso alcuni temi affrontati durante l'85° incontro redazionale, nello specifico quello della guerra in Europa.
Le conseguenze sociali della guerra si fanno già sentire in Italia e altrove. Preoccupano la crescita dei prezzi di energia, gas, carburante e beni di prima necessità, e il profilarsi all'orizzonte della stagflazione (crescita bassa e aumento generale dei prezzi). L'Onu ha lanciato l'allarme: l'impennata dei prezzi e la minaccia alle forniture delle principali colture di base sta mettendo milioni di persone a rischio fame.
Per parlare correttamente della guerra in Ucraina è d'obbligo inquadrare la questione nel più ampio contesto globale, trattandola secondo invarianti osservabili.
Tutti i paesi, a diversi gradi, sono coinvolti nel conflitto, ma i giocatori principali di questo wargame sono Stati Uniti, Russia e Cina. Non possiamo invece considerare l'Europa come soggetto politico (anche se in questi giorni si sente parlare di esercito europeo), perché alla UE mancano politiche coerenti di aggiustamento dei conti e di circolazione delle merci, nonché di coesione degli interessi tra i paesi membri. Naturalmente, nessun attore statale è dotato di libera volontà e fa ciò che vuole, neppure gli Usa: nell'epoca del capitalismo di stato è il primo che controlla il secondo e che lo fa ballare alla propria musica. Le guerre scaturiscono dalla maturazione dei rapporti di produzione, sono fattore e prodotto di nuovi rapporti interimperialistici, di nuovi assetti del capitalismo mondiale.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 20 compagni, è stata dedicata nuovamente a quanto sta accadendo sul territorio ucraino.
Almeno dalla Comune di Parigi, i comunisti in Europa sanno che non si deve parteggiare per questa o quell'altra fazione borghese, per questo o quell'altro governo, ma che bisogna contare solo sulle proprie forze, sulle forze della propria classe. E in caso di guerra la consegna per i militanti è quella di praticare il disfattismo rivoluzionario (con scioperi, manifestazioni, ecc.), cioè l'opposizione attiva e operante ad ogni sforzo bellico del proprio paese.
La borghesia è la classe che detiene il potere ed essa deve difenderlo. Il proletariato per sua natura non ha nulla da difendere (Manifesto) e qualsiasi movimento intraprenda è sempre all'attacco: in quanto classe "oppressa", può solo pretendere di più rispetto a ciò che ha, e di fronte alla guerra deve rigettare le ideologie pacifiste e difesiste. Nel filo del tempo "Onta e menzogna del "difesismo"" (1951) si afferma:
"Ininterrottamente, coerentemente, da Marx a Lenin, i rivoluzionari socialisti non hanno mai ricalcata la balorda figura borghese dello 'scongiuratore di guerre', scemo quanto impotente, ma si sono preparati ad essere, nel senso rivoluzionario, opposto a quello del superimperialismo, i 'profittatori di guerra'. Lenin eresse la dottrina del disfattismo e la condusse ad una clamorosa vittoria storica... Quando i partiti proletari sono stati, ad opera del tradimento, messi a 'desiderare' la vittoria di alcuni governi, e a combattere per essi, le forze della rivoluzione mondiale sono andate in rovina."
Durante la teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 20 compagni, abbiamo parlato della situazione in Ucraina e delle sue implicazioni.
La Russia si sente accerchiata. Alcune cartine pubblicate dalla rivista Limes (n. 1/16, "Il mondo di Putin") evidenziano le pressioni a cui essa è sottoposta da tutti i lati, e che la spingono a reagire. Dalla caduta del Muro di Berlino e dalla fine del vecchio assetto dualistico del mondo (condominio Usa-Urss), la nazione più estesa del pianeta si sente insicura ai propri confini e ha la necessità di preservare il proprio status geopolitico, compromesso dall'allargamento della Nato. Nel 2020 la notizia della possibilità di uno spostamento in Polonia delle armi nucleari americane dislocate in Germania è stata accolta dalla Russia come una provocazione, al pari dell'ingresso nella Nato, nel 2004, di altri paesi dell'area ex-sovietica (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia).
Negli ultimi anni la Nato si è spinta sempre più ad est, e Usa e Inghilterra hanno accresciuto la loro influenza in Ucraina con la rivolta di piazza Maidan del 2014. Il presidente d'allora, Viktor Janukovič, fu costretto a fuggire in Russia e in seguito alla "rivoluzione" ucraina Mosca rifiutò di riconoscere il nuovo governo ad interim prendendo, per tutta risposta, il controllo della Crimea.
Durante la teleconferenza di martedì sera, connessi 20 compagni, abbiamo discusso di quanto sta accadendo in Ucraina.
Un compagno ha segnalato un video su Youtube nel quale viene proposta un'analisi di natura sia tecnica che strategica dei gasdotti sottomarini che dalla Russia, attraverso il Mar Baltico, pompano gas in Germania, in relazione al fatto che gli Stati Uniti non vedono favorevolmente un avvicinamento tra Berlino e Mosca.
Subito dopo il riconoscimento da parte della Russia degli stati separatisti del Donbass (Lugansk e Doneck), il neocancelliere tedesco Scholz ha dovuto annunciare lo stop al progetto del gasdotto Nord Stream 2. Nel discorso alla nazione Putin ha affermato che "l'Ucraina non è un Paese confinante, ma parte integrante della nostra storia, cultura, spazio spirituale". E ha aggiunto: "Sono nostri compagni, spesso gli ucraini stessi si considerano parte della Russia, siamo uniti da sempre".
Il generale Von Klausewitz diceva che "la guerra è un atto di forza per costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà". Ovviamente, non viene precisato come si debba concretizzare l'atto di forza, ma soltanto che la forza è il mezzo e la sottomissione dell'avversario è lo scopo. Nel testo della nostra corrente "Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe" (1946-48) si afferma che non c'è bisogno di veder scorrere il sangue perché ci sia violenza, poiché essa nella maggior parte dei casi raggiunge il suo scopo rimanendo allo stato potenziale.
Durante la teleriunione di martedì 15 febbraio, a cui si sono collegati 18 compagni, abbiamo parlato di "marasma sociale e guerra", come titola un articolo della nostra rivista (n. 29).
In Canada non si fermano le manifestazioni dei camionisti "no vax" che nei giorni scorsi hanno bloccato l'Ambassador Bridge, il più importante valico di frontiera con gli Usa, e assediato il parlamento di Ottawa. Il premier canadese Justin Trudeau ha invocato l'Emergencies Act, lo stato di emergenza pubblica nazionale (mai utilizzato prima in Canada), che gli concede più poteri in tema di ordine pubblico. La protesta, anche grazie al tam-tam su Facebook e Telegram, si è presto estesa ad altri paesi (Usa, Australia, Nuova Zelanda, Francia, Austria e Belgio), e ha causato blocchi del traffico e concentramenti in varie capitali, raccogliendo il sostegno dell'estrema destra, del variegato mondo "no green pass" e di Donald Trump. L'hashtag #FreedomConvoy è presto diventato globale.
Il primo numero del 2022 della rivista mensile Limes s'intitola "L'altro virus" e nel suo sommario riporta: "Due anni di epidemia di Covid-19 lasciano un segno che non è e non può essere solo medico. I morti restano l'effetto più tragico e tangibile del virus, ma non sono l'unico. C'è l'impatto economico. C'è lo sconvolgimento delle abitudini individuali, più o meno limitate nel loro libero esercizio dalle misure d'igiene collettiva. C'è un effetto psicologico ancora non pienamente emerso, ma le cui ricadute geopolitiche cominciano a palesarsi."
I borghesi più lucidi, più legati ai fatti e meno alle ideologie, si rendono conto che i processi di disintegrazione politica e sociale aumentano e si intensificano, così come abbiamo scritto in apertura dell'ultima newsletter (n. 245, 19 gennaio 2022): "Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale."
Durante la teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 21 compagni, abbiamo commentato l'articolo "The technology of seeing and shooting your enemies", apparso sulla rivista The Economist e dedicato all'analisi della guerra occorsa nel 2020 tra Azerbaigian e Armenia per il Nagorno-Karabakh, un'enclave di etnia armena all'interno del territorio azero.
L'approfondimento proposto dal settimanale inglese è interessante perché mette in luce le dinamiche che si sono sviluppate durante il conflitto. L'Azerbaigian dispone di un equipaggiamento militare risalente all'era sovietica ma si procura da Israele e Turchia i droni TB2 e Harop, che si rivelano fondamentali per la vittoria. I velivoli acquistati, in grado di lanciare bombe e missili e di effettuare attacchi "kamikaze" ai radar nemici, sbaragliano in pochissimo tempo i mezzi d'artiglieria e le postazioni missilistiche armene. Lo scontro, seppur breve (è durato 44 giorni), è seguito con attenzione dagli esperti militari di tutto il mondo, poiché individuano in esso alcuni degli elementi che potrebbero caratterizzare i futuri conflitti, anche ad una scala maggiore.
La teleriunione di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata commentando gli sviluppi della situazione di tensione determinatesi in Ucraina.
La Russia non può perdere la sua influenza sull'Ucraina. Se ai confini occidentali essa vede crescere l'ascendente dei paesi della Nato, a oriente assiste al grandeggiare della Cina, mentre a sud, verso l'Hearthland, registra una situazione di crescente instabilità (vedi Kazakistan). Almeno dal 2013, dalla rivolta di Euromaidan, l'Ucraina è al centro di uno braccio di ferro tra Occidente e Oriente; allora fu la sospensione da parte del governo ucraino dell'accordo di libero scambio con l'Unione europea a sollecitare lo scontro sociale nel paese, che portò prima manifestazioni pro-europee e poi all'intervento della Russia nella regione del Donbass e all'annessione della Crimea. L'entrata dell'importante paese dell'Europa orientale nella NATO, con i suoi 600 mila kmq e con oltre 40 milioni di abitanti (è l'ottavo paese per numero di abitanti in Europa), sarebbe considerata da Mosca come un atto ostile da parte degli Stati Uniti.
Diversi osservatori di geopolitica hanno dato una lettura dei fatti ucraini utilizzando come paradigma lo scenario della Jugoslavia degli anni '90, ma ampliato al mondo intero, cioè ipotizzando una balcanizzazione del pianeta. Durante quel conflitto il vero obiettivo degli Stati Uniti era contenere la Germania che si stava espandendo commercialmente e politicamente verso l'area balcanica. In Slovenia, in Croazia, e persino in Serbia, prima del collasso jugoslavo circolava da tempo il marco tedesco come moneta parallela al dinaro. Va poi ricordato che durante la guerra le forze della NATO lanciarono numerosi attacchi aerei, uno dei quali colpì "incidentalmente" l'ambasciata cinese di Belgrado. Secondo gli osservatori, l'Ucraina è il classico vaso di coccio tra vasi di acciaio, e l'obiettivo degli Usa è impedire un avvicinamento tra la Germania, paese esportatore netto di merci e capitali, e la Russia, che esporta gas e materie prime ma non possiede una struttura produttiva e finanziaria in grado di impensierire seriamente gli Stati Uniti. Cresce la pressione a stelle e strisce sulla Germania per fermare il progetto del gasdotto Nord Stream 2, che mira a raddoppiare la portata del gasdotto Nord Stream 1, in funzione dal 2011. Entrambi i gasdotti sono offshore e collegano direttamente il paese con la Russia passando sotto al Mar Baltico. Se Nord Stream 2 (la cui costruzione è iniziata nel 2018 ed è terminata nel settembre del 2021) diventerà operativo, consentirà alla Germania una maggiore indipendenza sul mercato energetico europeo.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 17 compagni, è iniziata con la segnalazione di alcuni articoli di giornale in merito alla pagina del social network Reddit "Antiwork: Unemployment for all, not just the rich!" (Antilavoro: disoccupazione per tutti, non solo per i ricchi!).
Qualche settimana fa abbiamo affrontato il tema delle grandi dimissioni negli Stati Uniti e in Europa, un fenomeno acutizzatosi con la pandemia e che riguarda milioni di persone; sui media mainstream si individua la causa di quest'ondata di rifiuto del lavoro nei sussidi o nei redditi di cittadinanza troppo generosi, elargiti dagli stati. Ma quando è la stessa società capitalistica a liberare forza lavoro in modo irreversibile, offrendo lavoretti malpagati e precari, c'è poco da dire: lavorare diventa una dannazione. Il gruppo R/Antiwork è nato nel 2013, contando per alcuni anni su circa 100mila iscritti, ma poi nel settembre-ottobre del 2021, proprio in parallelo alla grande ondata di scioperi negli Usa, il numero dei sostenitori è schizzato in alto, arrivando a 1,3 milioni. La pagina raccoglie storie di disoccupati, di lavoratori provati da turni massacranti, di lavoro precario e di vita senza senso; ma non si tratta solo di uno sfogatoio, è anche un luogo di incontro e di coordinamento (vedi campagna #BlackoutBlackFriday). Fino a pochi anni fa parlare di lotta contro il lavoro era appannaggio di qualche sparuta minoranza di anarchici o marxisti, oggi sta diventando un fenomeno di massa.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 17 compagni, è iniziata commentando gli ultimi sviluppi del conflitto in Afghanistan.
La condizione in cui versa il paese asiatico non è importante in sè, ovvero per la delicata situazione interna, ma per i risvolti internazionali. L'Heartland è un'importante crocevia, è il cuore del mondo, così come lo definiva il geografo Mackinder.
Prima l'Inghilterra, poi la Russia, ed infine gli Usa si sono impantanati in questo territorio difficile da controllare soprattutto per la sua conformazione: appostati all'imboccatura delle valli, bastano pochi uomini per fermare una colonna corazzata (come ha potuto verificare l'esercito russo). Durante la loro permanenza, gli Stati Uniti hanno provato a stanare i guerriglieri dalle grotte utilizzando Daisy Cutter (in italiano taglia margherite), una tipologia di ordigno noto per la sua capacità di radere al suolo una sezione di bosco di circa 1500 m.
Durante la teleconferenza di martedì sera, presenti 26 compagni, abbiamo ripreso i temi affrontati durante lo scorso incontro redazionale (13-14 marzo 2021). In particolare, abbiamo approfondito alcuni aspetti della relazione di sabato mattina, "Il rapporto Cina-Stati Uniti nel corso della cosiddetta crisi sistemica", riguardo gli scenari di guerra futuri.
Da tempo escludiamo la possibilità dello "scoppio" di una guerra di tipo classico, con schieramenti netti e con grandi colossi, ad esempio Cina ed Usa, contrapposti apertamente sul campo. Alcune discussioni all'interno del vecchio partito comunista internazionale vertevano proprio intorno alla validità della proposizione bolscevica "trasformare la guerra imperialista in guerra rivoluzionaria". Amadeo Bordiga, quando parlava di terza guerra mondiale, ipotizzava un conflitto esteso a livello globale, e in occasione del conflitto in Iraq nel 2003 abbiamo avuto conferma della validità di tale posizione: il mondo è troppo grande per il controllo ad opera di un solo paese, ma è altresì troppo piccolo per garantire sviluppo e profitti a tutti. Anche gli esperti borghesi sono giunti a prevedere una guerra futura generalizzata, mentre Papa Francesco, già da qualche anno, fa riferimento ad una terza guerra mondiale combattuta a pezzi. Ogni guerra inizia dove finisce l'altra: indubbiamente l'attuale assetto imperialistico è quello determinatosi nel 1945 alla fine della seconda guerra mondiale, però oggi gli Stati Uniti e il resto del mondo non sono più gli stessi. Nessun paese è in grado di scalzare gli Usa, con le loro 800 basi militari disseminate su tutto il pianeta, alla guida del mondo, ma allo stesso tempo il gendarme mondiale si mostra sempre più acciaccato ed economicamente dipendente dall'estero.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata facendo il punto sulla pandemia da Coronavirus.
Al 24 novembre 2020 i decessi nel mondo a causa di Covid-19 hanno raggiunto la cifra di un milione e 400 mila, mentre sono quasi 60 milioni i contagiati. L'Italia è il terzo paese per letalità (rapporto tra ammalati e morti) con un totale di 50 mila deceduti. Si ipotizza che ciò sia dovuto all'età media piuttosto alta della popolazione o al tipo di assistenza sanitaria. Dopo un'estate all'insegna del "liberi tutti" per salvare la stagione e rilanciare l'economia, a settembre si è verificata una nuova impennata dei contagi e sono state attuate nuove (blande) misure di contenimento; ora governatori di regione e imprenditori spingono per la riapertura delle attività commerciali, probabilmente mettendo in conto una terza ondata.
La motivazione principale di chi sostiene l'alleggerimento delle restrizioni è l'arrivo nei primissimi mesi del prossimo anno del vaccino, che incarna la speranza di un ritorno alla "normalità" ed alla vita di prima. Nel frattempo in Italia più della metà delle aziende ha fatto ricorso alla cassa integrazione, e dall'inizio della pandemia il governo ha adottato diverse misure di sostegno al reddito, a lavoratori, esercenti, imprenditori, ha bloccato il pagamento dei mutui, ha concesso deroghe per gli adempimenti fiscali. Questo insieme di normative ha impedito il crollo dell'economia, ma esse ora rischiano di diventare strutturali, allarmando già qualche liberista che lamenta un eccesso di statalismo. Se la capacità industriale, nonostante tutto, è rimasta intatta, essa però altro non fa che rendere oltremodo saturo un mercato già ingolfato. Lo Stato non ha scelta, deve sostenere i consumi; allo stesso tempo, così facendo, concorre alla determinazione di una situazione di transizione che rappresenta qualcos'altro rispetto all'economia di mercato.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 22 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo la pandemia, con particolare riferimento ad un articolo del Corriere della Sera, "Covid, 7 principi razionali per un cambio di passo" (2.11.20), di Alessandro Vespignani e Paolo Giordano.
Nello scritto vengono individuati sette principi per affrontare in modo razionale la pandemia in corso: 1) la centralizzazione dell'informazione e delle decisioni; 2) la granularità, ovvero l'esigenza di flessibilità del sistema sanitario; 3) la presenza di automatismi per il contrasto alla circolazione del virus, "senza lo stillicidio dei veti incrociati e delle consultazioni, che ritardano e depotenziano gli interventi"; 4) un coordinamento nazionale per la raccolta delle informazioni, "perché nei dati ci sono verità importanti da estrarre, istruzioni su come procedere"; 5) la trasparenza sui dati, sulle proiezioni e sulle decisioni, "altrimenti ogni opinione è dettata dal pregiudizio personale, i dibattiti girano a vuoto"; 6) una comunicazione lontana dai talk show, una voce unica "che sappia opporsi autorevolmente alla disinformazione"; 7) il coinvolgimento dei cittadini in un percorso di contenimento della pandemia ben definito, in modo che essi non siano considerati "soggetti passivi che mettono o no la mascherina, che si comportano bene o male o così così, e poi subiscono le conseguenze delle loro mancanze".
La teleconferenza di martedì sera, presenti 18 compagni, è iniziata con le notizie riguardo gli ultimi sviluppi della situazione libanese, a cominciare dall'esplosione avvenuta nella zona del porto di Beirut.
Da giorni le piazze del paese mediorientale si riempiono di migliaia di manifestanti che si scontrano violentemente con la polizia e lanciano slogan contro il governo e contro Hezbollah. A Beirut, sabato 8 agosto, sono stati presi d'assalto i ministeri dell'Energia, degli Esteri e dell'Economia, mentre decine di manifestanti sono riusciti ad entrare nella sede dell'Associazione delle Banche del Libano. L'esercito è intervenuto per sgomberare il ministero degli Esteri, dove gli occupanti avevano issato uno striscione con la scritta "Beirut capitale della rivoluzione".
A Chicago, negli Stati Uniti, è stato imposto il coprifuoco e i quartieri del centro, dopo una notte di scontri e saccheggi, sono stati isolati dal resto della città. Da mesi le principali città americane sono in fibrillazione; a Portland gli incendi e gli scontri con le forze dell'ordine continuano tutte le notti da oltre 60 giorni. Anche in Bielorussia, a Minsk, ci sono state decine di manifestazioni, che hanno visto la partecipazione del mondo del lavoro: hanno scioperato i metallurgici, i minatori, i lavoratori dell'azienda del gas e quelli degli zuccherifici. Durante le assemblee si è sentito parlare di "sciopero fino alla vittoria".
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 15 compagni, è iniziata commentando le ultime notizie in merito alla diffusione del coronavirus.
In Italia il primo caso di infezione da Covid-19 è stato annunciato lo scorso 21 febbraio. Nel giro di pochi giorni sono risultate infette decine di persone tra Lombardia e Veneto, e ad oggi le cifre ufficiali contano 325 contagiati e 11 decessi. Durante la scorsa teleconferenza avevamo notato che la paura legata al virus è dovuta non tanto alla mortalità (stimata tra il 2 e il 3%) quanto al potenziale di persone contagiate da un soggetto infetto che, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, (OMS) si aggira tra l'1,4 e il 3,8. Se chi è infetto non contagia altri, la diffusione si arresta da sola; al contrario, se il rapporto di trasmissione è maggiore di 1, siamo in presenza di un principio di epidemia. Di fronte a questa situazione le opinioni si sovrappongono ai fatti o addirittura li sostituiscono. Ad esempio sta diventando virale (in sintonia con l'oggetto in discussione) la convinzione che le misure di contenimento adottate dal governo italiano siano esagerate, perché, tutto sommato, quella prodotta dal coronavirus non è che un'influenza e, paragonando le cifre, produce meno morti di un morbo stagionale. L'assunto dell'esagerazione è semplicemente un falso: il coronavirus ha causato finora meno decessi delle influenze stagionali solo perché il suo contenimento, bene o male, è stato attuato, mettendo in pratica i protocolli definiti dall'OMS.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 13 compagni, è iniziata parlando di quanto accade in Iran.
Come avevamo detto nella scorsa teleconferenza ("La guerra nel mondo globalizzato esiste sempre"), non è "scoppiata" nessuna particolare guerra tra America e Iran, per la semplice ragione che quest'ultimo paese non ha i mezzi per rispondere alla potenza militare degli Usa; l'attacco dell'8 gennaio alle basi irachene che ospitano anche i militari Usa, non solo ha causato pochi danni, ma secondo alcune fonti giornalistiche sarebbe stato annunciato preventivamente alle autorità locali. Abbattendo il volo ucraino con 176 passeggeri a bordo, l'Iran ha compiuto un grande errore militare, scambiando un aereo civile per un velivolo nemico. In seguito a questa tragedia, gli studenti iraniani hanno manifestato contro il governo e i vertici del regime islamico, in primis contro l'ayatollah Khamenei. Dopo la rivolta di novembre dello scorso anno, repressa nel sangue dalle forze di polizia, la propaganda di regime degli ultimi giorni descriveva una società compatta contro il nemico americano, ed invece le proteste sono tornate mostrando un fronte interno tutt'altro che pacificato.
La cosa importante del presente "ciclo" di manifestazioni in Libano, Iraq, Cile, Francia, Iran, e in ultimo Martinica e Guadalupe, è il fatto che i manifestanti prendono di mira il proprio governo, la propria borghesia, arrivando alla conclusione che il nemico è prima di tutto in casa.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'attacco missilistico americano vicino all'aeroporto di Baghdad, che è costato la vita al generale iraniano Qassam Soleimani e alla sua scorta.
Contrariamente a quanto affermato dal settimanale l'Internazionale, gli Stati Uniti non hanno iniziato con questa azione una guerra contro l'Iran, dato che un conflitto è già in corso da tempo: nel mondo globalizzato d'oggi la guerra esiste sempre, anche quando tacciono i cannoni. Nell'articolo "Dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio", analizzando le trasformazioni avvenute negli ultimi cinquant'anni, abbiamo scritto che "la guerra all'ultimo sangue tra concorrenti non avviene più per conquistare aree di sbocco alle proprie merci e capitali ma per ripartire il plusvalore prodotto in un mondo ormai interamente conquistato dal Capitale."
Soleimani rappresentava un importante hub nella rete di rapporti che l'Iran ha costruito negli anni in Libano, Yemen, Siria e Iraq, ottenendo risultati militari e politici non indifferenti. Il missile che ha colpito il suo generale nella capitale irachena è quindi un avvertimento, al quale potrà rispondere solo con azioni simboliche, o al massimo creando fastidi intorno all'importante stretto di Hormutz. Ma in ogni caso non potrà pestare troppo i piedi agli Stati Uniti, per il semplice motivo che non ne ha la forza.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata con il commento di un articolo del Corriere della Sera sulla flessione del mercato immobiliare italiano.
Secondo i dati raccolti dall'Osservatorio Fiaip (Federazione italiana degli agenti immobiliari professionali), negli ultimi 10 anni il prezzo delle case è crollato mediamente del 30%, con situazioni particolarmente gravose nei quartieri periferici di Roma, Milano, Napoli e Torino. Storicamente il mattone rappresenta un bene rifugio nei momenti di crisi, ma quando non adempie più a questo compito diventa indice di guai seri per l'economia. Anni fa l''Economist, nell'articolo da cui prendemmo spunto per scrivere il testo "Le case che salvarono il mondo", ammetteva che le abitazioni "hanno protetto l'intera economia mondiale da una profonda recessione". Se il mercato immobiliare oggi si trova in queste condizioni, vuol dire che il sistema nel suo complesso è in grave sofferenza.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 12 compagni, è iniziata commentando il recente attacco in Arabia Saudita ai siti petroliferi di Abqaiq, uno dei principali giacimenti del paese, e Khurais.
Dall'iniziale ipotesi dell'invio di droni da parte dei ribelli Houthi, attivi in Yemen contro la coalizione a guida saudita, nel giro di poche ore le maggiori agenzie di stampa sono passate ad identificare l'azione di guerra come un qualcosa di più strutturato, condotta con decine di missili cruise e con velivoli comandati a distanza provenienti, probabilmente, da Iraq o Iran. Secondo la Rivista Italiana Difesa, sono stati inviati fino a 40 razzi, soprattutto da crociera, 19 dei quali hanno colpito e distrutto il bersaglio. I danni hanno causato il dimezzamento della produzione del complesso petrolifero, il più grande del mondo, con un calo del 5% della produzione mondiale ed un aumento immediato del 19% del prezzo del petrolio.
Certamente non si tratta di un attacco di combattenti irregolari, poiché per un'operazione del genere occorrono sistemi complessi e conoscenze al di fuori della portata di eserciti partigiani. D'altra parte, è difficile che paesi come l'Iran o l'Iraq, esecutori diretti o passivi consenzienti, corrano il rischio di rappresaglie "proporzionate". In ogni caso, si sono innescati meccanismi automatici che potrebbero sfociare in un'escalation militare. In seguito all'episodio alcuni senatori americani hanno chiesto il bombardamento delle raffinerie iraniane, mentre il governo iraniano ha parlato di "compellenza". Il termine, che significa forzare qualcuno a fare qualcosa che lo danneggi, non ha riscontro nella lingua italiana, ma nella guerra moderna ha più valore degli stessi armamenti.
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Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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